Come è cambiata von der Leyen dall’inizio della sua carriera politica ad oggi?

Dal Green Deal come pilastro dell’Europa all’apertura verso Giorgia Meloni: l’evoluzione di Ursula von der Leyen dagli albori del 1990 alla (doppia?) presidenza della Commissione Ue
4 mesi fa
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Ursula Von Der Leyen Amarcord
Ursula von der Leyen da giovane

Dopo le elezioni di giugno, Ursula von der Leyen ha il difficile compito di trovare i giusti equilibri politici in attesa di essere riconfermata alla guida della Commissione Ue.

Ma come è cambiata la politica di von der Leyen negli anni?

L’inizio nella politica tedesca

Ursula von der Leyen ha iniziato la sua carriera politica nel 1990, entrando a far parte della CDU (Unione Cristiano-Democratica). Nel 1996, ha iniziato a essere attivamente coinvolta nella politica della Bassa Sassonia, lo stato federale che suo padre aveva governato dal 1976 al 1990. In quel contesto ha ricoperto una serie di incarichi locali e statali, dimostrando sin da subito una forte dedizione alle questioni sociali e politiche.

Nel 2005, von der Leyen è stata nominata Ministro per la Famiglia, gli Anziani, le Donne e i Giovani nel governo di Angela Merkel. È stata la prima occasione per vedere l’attuale presidente della Commissione europea impegnata sul contesto nazionale tedesco. Il suo mandato si è caratterizzato per
le politiche a favore della famiglia, come l’introduzione del congedo parentale retribuito e l’espansione dei servizi di assistenza all’infanzia che hanno avuto un impatto importante sulla società tedesca, anche al fine di promuovere l’uguaglianza di genere. La sua carriera, però, era solo all’inizio.

Nel 2009, von der Leyen è stata nominata Ministro del Lavoro e degli Affari Sociali. Durante il suo mandato, ha affrontato la crisi economica globale, implementando misure per sostenere l’occupazione e proteggere i lavoratori. Ha anche lavorato per migliorare le condizioni di lavoro e promuovere l’inclusione sociale, concentrandosi su politiche che favorissero l’equilibrio tra vita lavorativa e privata. Sicuramente queste due esperienze ministeriali abbiano posizionato l’inizio della carriera politica di von der Leyen nell’area progressista.

Ursula Von Der Leyen candidata con cdu
Ursula Von Der Leyen candidata con CDU

Ministro della Difesa

Nel 2013, a 54 anni, Ursula von der Leyen è diventata la prima donna a ricoprire il ruolo di Ministro della Difesa in Germania.

Durante il suo mandato, la presidente attuale e in pectore del prossimo esecutivo europeo ha affrontato diverse controversie. Una delle principali critiche che le sono state mosse è stata la condizione delle forze armate tedesche, alle prese con problemi di equipaggiamento e di personale, ma il più grande scossone è stata l’indagine per presunti illeciti nell’uso di consulenti esterni, con accuse di corruzione e violazione delle norme sugli appalti pubblici. Questi scandali hanno eroso la sua popolarità tra gli elettori tedeschi, ma non hanno impedito la sua ascesa a livello europeo.

Nella sua carriera politica interna, von der Leyen è stata l’unica politica ad aver prestato servizio ininterrottamente dall’inizio della cancelleria di Angela Merkel (2005) fino al 2019. Un percorso di spessore che ha portata la rappresentante classe ’58 ad emergere nella scelta della presidente della Commissione europea di quell’estate.

La presidenza Ue e il Green Deal

È il 2 luglio 2019 quando Ursula von der Leyen viene nominata presidente donna della Commissione europea, succedendo a Jean-Claude Juncker. Ursula diventa così la prima donna nella storia a ricoprire l’incarico più importante dell’Unione europea.

Un po’ come avvenuto in patria, anche gli inizi della sua carriera politica comunitaria sono all’insegna del progressismo. Questa tendenza emerge prepotentemente con il Green Deal europeo, il vero cavallo di battaglia con cui von der Leyen si presenta nel panorama Ue. Qui inizia il percorso della Ursula von der Leyen nota ai più.

A dicembre 2019, vdL presentava l’ambizioso piano per rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050 nel dicembre 2019. Il suo discorso al Parlamento Europeo è passato alla storia: “Non possiamo permetterci di fallire. Per i nostri figli e per il nostro pianeta”, diceva agli europarlamentari presentando il Green Deal come “la nostra nuova strategia di crescita”.

Fiutando le critiche che le sarebbero state mosse di lì a poco dalla parte destra dell’emiciclo, von der Leyen aveva presentato il Green Deal non solo come un piano per rispondere alla crisi climatica, ma anche come un’opportunità per creare nuovi posti di lavoro e stimolare l’innovazione tecnologica. “Dovremmo sfruttare il potere di trasformazione connesso alla duplice transizione, digitale e climatica, per rafforzare la nostra base industriale e il nostro potenziale di innovazione”. Dalle sue parole, la convinzione che, anche alla luce delle sfide energetiche ed economiche richieste dalla sostenibilità, l’Ue fosse in grado di “dare forma a un ordine mondiale migliore”.

Sappiamo che da allora, le cose non sono andate esattamente come von der Leyen sperava, nonostante la riduzione delle emissioni di CO2 prodotte dall’Ue. Nel tempo, è cresciuta la voce delle destre europee che vedono nel Green Deal un disastro per l’Unione, un clamoroso autogol europeo targato von der Leyen.
Una tornata elettorale dopo, neanche von der Leyen ha dato spazio al Green Deal parlando al dibattito per il “candidato comune”. Un passo indietro significativo che ritroveremo anche in altre scelte e motivato dalla necessità di trovare una base di consenso abbastanza ampia da riconfermarla alla guida della Commissione Ue. Von der Leyen sa bene che con la batosta subita dai Verdi alle europee e l’ascesa delle destre, è meglio evitare il tema. Quante cose possono cambiare in cinque anni.

Il Digital Compass e Digital Decade

La politica di von der Leyen è stata particolarmente attenta anche al progresso tecnologico. Parallelamente al Green Deal, von der Leyen ha quindi lanciato il Digital Compass, una strategia per guidare la trasformazione digitale dell’Europa entro il 2030. Nel suo discorso del 2021, ha delineato quattro punti chiave per il decennio digitale:

  • Competenze digitali: garantire che almeno l’80% della popolazione europea abbia competenze digitali di base e formare 20 milioni di specialisti ICT;
  • Trasformazione digitale delle imprese: assicurare che il 75% delle aziende europee utilizzi tecnologie avanzate come il cloud, l’intelligenza artificiale e i big data;
  • Infrastrutture digitali sicure e sostenibili: migliorare la connettività con gigabit per tutti e raddoppiare la quota dell’UE nella produzione globale di semiconduttori;
  • Digitalizzazione dei servizi pubblici: rendere il 100% dei servizi pubblici online e garantire che tutti i cittadini abbiano accesso a un’identità digitale.

Von der Leyen ha sottolineato il ruolo cruciale della transizione tecnologica per la competitività dell’Europa e per garantire che nessuno venga lasciato indietro: “Il nostro futuro è digitale. Dobbiamo investire nelle persone e nelle tecnologie per costruire un’Europa più forte e resiliente”. Il progressismo non è più ancorato solo alla transizione ma abbraccia anche quella tecnologica, nella consapevolezza che la prima ha un urgente bisogno della seconda.

La gestione della pandemia

La sfida più importante del suo mandato è stata la gestione della pandemia Covid-19. Una di quelle catastrofi su cui si tempra la prontezza, l’elasticità e il coraggio di un personaggio politico. In tal senso, è indubbio che von der Leyen abbia lanciato un messaggio chiaro nel periodo più buio degli ultimi decenni: l’Unione europea sa rispondere alle minacce esterne come una entità unica e solida. Un principio scandito in maniera netta, una sorta di “whatever it takes” ursuliano che sarebbe tornato di lì a due anni per rispondere all’aggressione russa in Ucraina. Sul punto, von der Leyen è stata altrettanto chiara: alla Democrazia (e all’Ue) serve uno scudo contro le aggressioni esterne.

La risposta iniziale dell’Unione Europea alla crisi sanitaria è stata criticata per la mancanza di coordinamento e per le risposte unilaterali dei singoli Stati membri, ma von der Leyen è riuscita a centralizzare la risposta dell’Ue, promuovendo una strategia comune per l’acquisto e la distribuzione dei vaccini.

L’accordo con Pfizer

Uno degli aspetti più controversi della gestione della pandemia è stato l’accordo con Pfizer per l’acquisto di 1,8 miliardi di dosi di vaccino. Questo accordo, negoziato in parte tramite messaggi privati tra von der Leyen e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, è stato oggetto di indagini da parte della Procura Europea per presunti illeciti, inclusi conflitti di interesse e distruzione di messaggi. Nonostante le critiche, l’accordo ha permesso all’Ue di garantire una fornitura sufficiente di vaccini per tutti gli Stati membri, contribuendo a una campagna di vaccinazione di massa che ha salvato innumerevoli vite.

Nella gestione della pandemia, Ursula von der Leyen ha dato grande sfoggio a quella Realpolitik che avremmo rivisto in occasione delle elezioni europee 2024.

Recovery Plan e la linea von der Leyen sulla condivisione del debito

Con l’Ue travolta dalla pandemia, Von der Leyen ha solidificato l’Unione nel fronteggiare non solo l’emergenza sanitaria, ma anche quella economica provocata dal lockdown.
Un altro pilastro del suo mandato, infatti, è il Recovery Plan, noto anche come Next Generation EU, un pacchetto di 750 miliardi di euro per sostenere la ripresa economica degli Stati membri. Come il Green Deal, anche questo piano ha rappresentato un momento storico per l’Ue: con il Next Gen Eu, von der Leyen ha introdotto la condivisione comunitaria del debito per la prima volta nella storia europea.

Questa scelta ha segnato una cesura importante tra vdL e la Germania che da sempre sostiene una politica di rigore fiscale e si oppone alla mutualizzazione del debito. Il Recovery Plan prevede dunque che la Commissione Europea emetta obbligazioni comuni per finanziare sovvenzioni e prestiti agli Stati membri, promuovendo la solidarietà e la coesione all’interno dell’Unione, con buona pace dei “Paesi frugali”.

L’allontanamento dal rigore tedesco sulla condivisione del debito pubblico è stato accolto positivamente da molti Stati membri, in particolare quelli più colpiti dalla pandemia, come l’Italia e la Spagna, ma ha suscitato critiche da parte di alcuni Paesi del Nord Europa, che temevano un aumento del rischio finanziario e una maggiore dipendenza economica tra gli Stati membri.

A bocce ferme, però, è emersa chiaramente la leadership e la prontezza di von der Leyen nel contrastare un’emergenza senza precedenti nella storia europea.

Apertura a Giorgia Meloni e strategia politica

Neanche il tempo di prendere fiato per l’allentamento della morsa pandemica, che l’Ue ha dovuto subito fronteggiare una minaccia diversa, questa volta di natura umana: l’aggressione di Putin in Ucraina, alle porte dell’Ue. La guerra ha provocato grossi scossoni all’economia europea, che si è improvvisamente “riscoperta” dipendente dal gas russo, e ha alimentato il clima di paura in tanti Paesi europei, soprattutto quelli più vicini alla Russia.

Questo contesto ha dato un’accelerazione all’avanzata delle destre in Europa, un fenomeno che già stava interessando diversi Paesi membri.
Tra questi c’è l’Italia, dove le elezioni politiche di settembre 2022 hanno disegnato il Parlamento più a destra della storia del Paese. A capo del governo, Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, la “evoluzione” della vecchia Alleanza Nazionale.

Consapevole dei cambiamenti politici europei, Ursula von der Leyen ha adottato una strategia di apertura e collaborazione con il nuovo governo italiano. Per molti, è un tentativo di mantenere l’unità all’interno dell’Unione Europea evitando l’isolamento di un importante Stato membro, come l’Italia, per altri è la scelta di un’abile stratega. La collaborazione tra von der Leyen e Meloni ha incluso visite ufficiali, discussioni su temi chiave come l’immigrazione e la sicurezza, e un impegno comune per affrontare le sfide economiche e sociali. In ogni dibattito, von der Leyen ha rimarcato l’unione di intenti e l’affidabilità del governo Meloni fino all’apertura nel dibattitto degli Spitzenkandidaten.

Motivazioni strategiche

La stessa von der Leyen non ha nascosto la necessità di creare un “centro forte” e la necessità di fare dei compromessi.

Con l’ascesa di movimenti euroscettici e populisti, von der Leyen ha cercato di costruire ponti con leader di destra per evitare fratture all’interno dell’Unione e di perdere il consenso necessario alla sua rielezione. Collaborare con Meloni ha permesso a von der Leyen di garantire il sostegno dell’Italia su questioni cruciali e di promuovere una maggiore coesione tra gli Stati membri. Non mancano elementi più controversi: secondo Politico.eu ci sarebbe la mano della presidente dietro lo stop al dossier sulla libertà di stampa in Italia e l’apertura all’accordo Ita-Lufthansa.

Le elezioni europee 2024 hanno restituito un Ppe rafforzato, ma anche l’avanzamento delle destre europee costringendo von der Leyen a delicati calcoli di opportunità.

La strategia della presidente ha anche mirato a bilanciare le forze politiche all’interno dell’Unione. Collaborare con Meloni ha permesso a von der Leyen di strizzare l’occhio alla destra conservatrice, cercando di ottenere il loro sostegno senza alienare completamente i suoi alleati di centro-sinistra.

L’apertura di von der Leyen a Meloni è stata duramente criticata da parte dei leader dei principali partiti europei di centro sinistra. In occasione del dibattito degli Spitzenkandidaten, dove von der Leyen ha “ufficializzato” l’apertura a Giorgia Meloni, il principale candidato socialista Nicolas Schmit, ha chiesto alla presidente della Commissione cosa significhi per lei essere europeista, “L’idea di Europa di Giorgia Meloni non è la stessa che avete voi”. Dal canto suo vdL ha ricordato quanto il momento sia delicato per l’Ue rispolverando un pieno approccio Realpolitik già accennato in questo articolo.

La presidente della Commissione ha specificato di volersi alleare solo con le parti del gruppo Ecr (Conservatori e riformisti europei), che soddisfino i tre criteri: essere favorevoli all’Ue; schierarsi contro la Russia di Putin; sostenere lo stato di diritto, tutti principi che Giorgia Meloni ha sempre portato avanti pubblicamente.

Allentamento delle politiche ambientali

D’altronde, si sa, la politica (seppure con la “p” minuscola) è compromesso e i passi indietro di vdL non sono iniziati due settimane prima delle elezioni.
Negli anni, Ursula von der Leyen ha dovuto bilanciare le pressioni interne all’Unione Europea, in particolare tra le forze politiche del Partito Popolare Europeo (PPE) e il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) in ambito green. Per mantenere il sostegno di queste fazioni, von der Leyen ha adottato una strategia di “dumping” delle politiche ambientali, inteso come l’allentamento di alcune misure ecologiche per venire incontro alle richieste dei conservatori.

In questo senso, vanno anche le recenti modifiche al regolamento sui pesticidi e la nuova Pac.
Anche il vicepresidente del Senato Gian Marco Centinaio, intervistato dall’Adnkronos nell’ambito del progetto Eurofocus, si è chiesto: “Se non fossimo stati a ridosso della campagna elettorale per le europee, l’Europa sarebbe stata così pronta?.

È probabile che le logiche dietro queste scelte sono simili a quelle che hanno animato l’apertura di von der Leyen a Giorgia Meloni. In entrambi i casi, von der Leyen ha cercato di costruire alleanze strategiche per mantenere la stabilità politica e garantire il sostegno necessario per la sua riconferma e, in fondo, per portare avanti le sue politiche, seppure rinunciando ad alcuni punti. L’alternativa potrebbe piacere ancora meno a chi oggi critica le aperture a destra di vdL.

Un programma per il futuro

Sul finire dello scorso anno, von der Leyen ha commissionato all’ex presidente della Bce Mario Draghi un rapporto sulla competitività economica dell’Ue. Nelle intenzioni della politica tedesca, questo piano servirà da base per il programma della prossima Commissione e mira a rafforzare la posizione economica dell’Europa a livello globale.

Dal canto suo Draghi, non si è certo risparmiato di fronte ai presidenti delle commissioni parlamentari: “Fate qualcosa, non si può dire sempre di no”, ha chiosato a febbraio quello che per alcuni è un nome caldo per la presidenza del prossimo Consiglio Ue.

Tra gli obiettivi principali del piano ci sono:

  • Innovazione tecnologica: promuovere l’adozione di tecnologie avanzate come l’intelligenza artificiale e il cloud computing per migliorare la competitività delle imprese europee;
  • Transizione verde: continuare a sostenere la transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio, nonostante le concessioni fatte ai gruppi conservatori;
  • Riduzione delle dipendenze strategiche: rafforzare l’autonomia strategica dell’Europa, riducendo la dipendenza per risorse critiche e tecnologie avanzate da Paesi terzi. Un concetto ripreso due settimane fa in Spagna, dove Draghi ha citato testualmente “Paesi di cui non ci possiamo più fidare”.

Illustrando il dossier che gli è stato affidato da von der Leyen, Draghi ha tracciato la linea che l’Ue deve seguire per il futuro: “Le chiamavamo riforme strutturali. È quello che dobbiamo fare ora: riforme strutturali, a livello di Unione Europea. Il mercato unico è altamente imperfetto: ci sono centinaia di direttive che non vengono attuate, o che vengono attuate in modo diverso a seconda dei Paesi”. Poi c’è il riferimento, altrettanto significativo, al mercato elettrico. “È un altro settore cui dobbiamo guardare, perché chiaramente l’Europa non può essere competitiva, se paghiamo l’elettricità tre volte tanto quanto costa negli Usa e il gas naturale cinque o sei volte tanto. Ci sono molte cose che dobbiamo fare, delle quali i soldi sono solo una”.

La definizione dei top jobs

Intanto l’Unione Europea ha ormai definito la delicata questione dei tob jobs. L’accordo, che sarà ufficializzato durante il vertice di Bruxelles, vede Ursula von der Leyen, Antonio Costa e Kaja Kallas come i candidati principali per guidare le istituzioni europee nei prossimi cinque anni.

Fonti diplomatiche confermano che l’intesa è solida e pronta per essere formalizzata. Ursula von der Leyen, attuale presidente della Commissione Europea, è pronta per un secondo mandato. Il Partito Popolare Europeo (PPE) ha raggiunto un accordo per confermarla, ma per ottenere l’incarico definitivo von der Leyen dovrà assicurarsi il supporto di una maggioranza qualificata tra i leader dell’Ue che rappresentino almeno 20 Paesi e il 65% della popolazione europea.

Un obiettivo che sarebbe stato impossibile da raggiungere senza un cambiamento, per alcuni troppo profondo rispetto ai suoi primi passi nella politica, oltre vent’anni fa. Di sicuro indispensabile per essere ancora alla guida dell’Unione europea.

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