“Il futuro dell’automotive sia made in Europe”, Vestager e le proposte dei Paesi membri per rilanciare il settore

Presentati due non-paper al Consiglio Ue della Competitività: rivedere le regole e i finanziamenti prima che sia troppo tardi
2 settimane fa
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Margrethe Vestager Ex Commissaria Ue Concorrenza Afp
la vicepresidente con delega alla Concorrenza, Margrethe Vestager_afp

Il “futuro dell’industria dell’automotive deve essere made in Europe”. Con queste parole, in stile “Make Europe great again”, la vicepresidente con delega alla Concorrenza, Margrethe Vestager, ha commentato la crisi del settore in sessione pubblica al Consiglio Ue della Competitività.

Qualche ora prima, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, aveva detto all’emiciclo di voler convocare un dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica in Europa, ascoltando le opinioni di tutti i protagonisti, incluso, quindi, chi chiede un cambio di rotta all’Ue. In cima a questa lista c’è l’Italia, che da mesi avverte Bruxelles sulla necessità di ammorbidire i criteri green fissati per evitare il definitivo tracollo dell’automotive Ue.

Il crollo del settore e l’apertura di Bruxelles

La crisi delle materie prime, ma soprattutto delle vendite, ha travolto anche i colossi del settore, con Volkswagen costretta a chiudere tre stabilimenti nel Vecchio Continente e uno in Cina. Gli operatori hanno chiesto al capo dell’esecutivo europeo di rivedere i limiti di emissione, per evitare che dall’anno prossimo una scure da “15 miliardi di euro” di multe si abbatta su un settore già zoppo. La preoccupazione è tangibile, tanto che i concessionari europei di Stellantis hanno scritto una lettera a von der Leyen chiedendo di posticipare almeno al 2027 l’entrata in vigore della riduzione dei limiti sulle emissioni auto, attualmente fissata al 2025.

Le richieste sono rimaste inaudite per diverso tempo, ma il tempo della speranza è finito: il tracollo di Northvolt, nata come promessa delle batterie elettriche europee e ora prossima al fallimento, ha reso improrogabile l’apertura annunciata da von der Leyen all’emiciclo. Ora è tempo di ascoltare tutte le parti. O di leggere, come nel caso dei due non-paper arrivati sul banco del Consiglio competitività da parte di otto Stati membri. Un non-paper è un documento non ufficiale, che viene fatto circolare a scopo esplorativo, per tastare il terreno su potenziali futuri.

Anticipare la revisione e cambiare le regole

Il primo vede l’Italia in cima ai firmatari, seguita da Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Austria, e Polonia. Rispetto alla richieste di qualche mese, la linea è un po’ ammorbidita: tenere fermo l’obiettivo di piena decarbonizzazione al 2035 (prima oggetto di forti critiche) ma creare le condizioni per giungere competitivi a quell’obiettivo. “Chiediamo che siano anticipate all’inizio dell’anno prossimo le clausole di revisione già previste per la fine 2026 per i veicoli leggeri e nel 2027 per i veicoli pesanti”, scrivono i 7 Paesi membri in relazione al Fit for 55 del Green deal europeo.

In pratica, i Paesi chiedono di anticipare al 2025 il controllo sui conti del settore, convinti che i numeri disastrosi convinceranno Bruxelles a cambiare rotta: “È un bollettino di guerra: ogni giorno vengono annunciate la rinuncia a realizzare gigafactory o la chiusura delle gigafactory già create nel nostro continente. E ogni giorno vengono annunciate chiusure degli stabilimenti con licenziamenti di decine di migliaia di operai, perché le imprese automobilistiche non vogliono cadere sotto le penalità miliardarie che dal prossimo anno saranno loro somministrate”, ha dichiarato il ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso a margine del Consiglio Ue sulla Competitività.

Le multe dipendono dalle emissioni di CO2 medie delle case produttrici. Fino alla fine del 2024, scattano sopra la soglia media di 116 gr/km di CO2 (95 se con la vecchia omologazione NEDC), ma quasi tutte le aziende sono riuscite a evitarle tra vendita di auto elettriche e ibride plug-in e acquisto di crediti di carbonio. La situazione, ora controllata a stento, rischia di precipitare dal prossimo anno quando il limite scenderà a 94 gr/km (-19%). A meno che le regole non vegano cambiate, come chiedono l’Italia e gli altri sei Paesi a Bruxelles.

Hanno aderito alla linea italiana anche Confindustria, Bdi e Medef, le associazioni imprenditoriali di Italia, Germania e Francia, che hanno sottoscritto un documento nel sesto forum trilaterale che si è svolto a Parigi venerdì 22 novembre. Anche Confapi, insieme alle maggiori Associazioni europee delle Pmi industriali (Germania, Francia, Austria, Repubblica Ceca) che fanno parte di European Entrepreneurs Cea-Pme, la Confederazione europea delle Pmi, ha sottoscritto un documento di supporto per la proposta italiana.

Il primo non-paper sembra influenzato anche dal ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump e della sua politica protezionista. I firmatari, infatti, chiedono all’Ue di garantire “una politica commerciale di tutela della concorrenza leale, come fanno altri continenti”, e “un sostegno importante, attraverso un piano automotive, anche alle famiglie europee che oggi non si possono permettere di comprare un’auto elettrica o ecologicamente sostenibile”. Una volta messo sul tavolo, altri otto Paesi hanno firmato il documento: Malta, Estonia, Cipro, Croazia, Grecia, Slovenia, Belgio e Lettonia.

Spagna, Danimarca, Svezia e Irlanda, invece, hanno espresso parere contrario alle richieste di Italia e company. La Germania, dove la crisi dell’automotive rischia già di allargarsi ad altri settori, non si è espressa, mentre la Francia si è resa disponibile ad un confronto. Berlino e Parigi, insieme a Stoccolma, sono protagoniste del secondo non-paper recapitato all’Ue.

Rendere competitive le gigafactory europee

Germania, Francia e Svezia hanno scritto al Consiglio della Competitività Ue per chiedere più sforzi sulle batterie delle auto elettriche. I tre Paesi chiedono a Bruxelles di mettere le gigafactory nelle condizioni di produrre l’elemento essenziale delle auto elettriche su cui la Commissione ha puntato fortemente per la transizione energetica. Senza auto elettriche non decolla il Green Deal, senza batterie non si arresta il crollo dell’automotive. Non a caso, il documento portato avanti pone l’accento anche sull’importanza di adottare il principio di neutralità tecnologica aprendo la strada a una gamma più ampia di soluzioni per l’alimentazione a basse emissioni, compresi i motori a combustione interna alimentati in modo sostenibile.

Nel secondo non-paper, Berlino, Parigi e Stoccolma hanno poi ricordato la difficoltà di “stabilire nuove industrie a causa di una competizione globale non basata su un livello di concorrenza comune”. Il riferimento (neanche tanto) implicito è a Pechino, che ormai è in aperta guerra commerciale con l’Unione europea. “Abbiamo bisogno di mandare un segnale forte che restiamo forti dietro gli sforzi concordati per assicurare una catena del valore delle batterie competitiva e sostenibile in Europe”, si legge nel documento firmato dai tre Paesi.

Il momento storico è decisivo, l’equilibrio difficile: l’Ue dovrà riuscire a conciliare i rischi climatici (che, come ricordato da Mario Draghi, sono anche rischi economici) con la tenuta di un settore strategico per l’economia del continente.

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