La recente ministeriale della Nato, tenutasi a Bruxelles, ha evidenziato un forte consenso tra gli alleati sull’aumento delle spese militari e sulla necessità di un rafforzamento delle capacità difensive. Al quartier generale Nato, ieri, l’incontro dei responsabili della Difesa dei 32 Stati membri ha confermato tale orientamento comune verso investimenti più consistenti nel settore della sicurezza, con un’attenzione particolare alla deterrenza nei confronti della Russia.
E se da un lato c’è chi corre per armarsi e raggiungere il 5% di spesa del Pil degli Stati membri, perché altrimenti toccherà “imparare il russo”; dall’altro lato c’è chi pensa che tale atteggiamento rappresenti in qualche modo già un attacco preventivo contro Mosca.
Obiettivi di spesa e capacità militari
Ad aprire i lavori è stato il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, che ha ribadito la centralità dell’incremento della spesa militare, sottolineando l’intenzione di portare tale impegno al 5% del Pil per tutti i membri dell’Alleanza. Questo obiettivo, secondo Hegseth, sarà formalmente discusso al summit dell’Aja – in programma il 24 e il 25 giugno – e prevede un focus sulle capacità pronte al combattimento.
“Non credo che nessuno abbia fatto più del presidente Donald Trump per portare avanti la causa della Nato – ha spiegato Hegseth -. Dev’esserci qualcosa di più di tenere conferenze: servono capacità pronte al combattimento. Siamo qui per continuare il lavoro iniziato dal presidente, con un impegno a portare la spesa per la difesa al 5%” del Pil “in tutta l’Alleanza, cosa che crediamo accadrà al summit dell’Aja”. E ha aggiunto: “Il nostro focus è spesa al 5% e forze credibili e capaci. Poi, assicurarci che la Nato si focalizzi sulla sua missione principale, cioè la difesa continentale, dove gode di un vantaggio comparativo”, conclude.
Anche Mark Rutte, segretario generale della Nato, ha confermato la volontà di fissare il nuovo target di spesa, così articolato:
- 3,5% nella spesa per la difesa ‘core’, basato sui costi stimati per i nuovi obiettivi di capacità appena concordati dai ministri, sui quali Rutte ha spiegato di non poter dare troppi dettagli per ovvi motivi.
- 1,5% del Pil all’anno per investimenti correlati alla difesa e alla sicurezza, come le infrastrutture e l’industria.
“Questo è il motivo – ha dichiarato Rutte – per cui è previsto che all’Aia si decideranno obiettivi di spesa molto più alti, per tutte le nazioni della Nato. Dobbiamo investire nei nostri sistemi di difesa aerea, nei missili a lungo raggio, in formazioni terrestri, in sistemi di comando e controllo manovrabili. Tutto questo deve accadere”, il che significa ingenti “investimenti, che servono in tutto il territorio della Nato”.
Occorre, quindi, far sì che, in termini di spesa per la difesa, “il Canada e l’Europa si equivalgano con gli Stati Uniti. Questo è importante, perché vogliamo una Nato giusta, in cui tutti gli alleati” spendano per le forze armate in uguale misura. Sulla tempistica però, pare ci sia ancora tempo per trovare un punto di incontro.
“Armarsi o imparare il russo”
La questione del conflitto russo-ucraino è rimasta centrale nelle discussioni della ministeriale di ieri a Bruxelles. Kaja Kallas, Alta Rappresentante dell’Ue, ha evidenziato il ruolo strategico degli attacchi con droni condotti dall’Ucraina, che stanno riscrivendo la storia militare. L’utilizzo di droni a basso costo contro velivoli ben più costosi rappresenta, secondo Kallas, un cambio di paradigma destinato a influenzare il futuro dei conflitti.
Ma è il segretario Usa Rutte che in tal senso ha acceso i fari su una problematica ben più complessa: la Russia “produce in tre mesi le munizioni di base che la Nato, che è 25 volte più grande, produce in un anno. Se non agiamo ora, tra tre-cinque anni saremo veramente sotto minaccia”.
Ancora più incisive le parole della ministra della Difesa lituana Dovilė Šakalienė, a margine della ministeriale Difesa di ieri nella capitale belga, secondo la quale le opzioni saranno due: “armarsi o imparare il russo”.
“Tutti noi capiamo che, se vogliamo davvero garantire che la Russia non pensi nemmeno di violare i nostri confini, anche se probabilmente espanderà il suo impero in ogni caso, ma rivolgendosi altrove e non verso la Nato – ha affermato la ministra – allora dobbiamo anche rendere visibile la forza che abbiamo. Ciò significa diventare più robusti sia nelle capacità dell’industria della difesa, sia nelle dimensioni effettive delle nostre forze armate, sia nel numero dei diversi sistemi d’arma di cui abbiamo bisogno”.
Se tutto questo, continua il suo intervento, “non accadrà nei prossimi due anni e se, Dio non voglia, non verranno prese decisioni interessanti riguardo alle sanzioni contro la Russia o ai negoziati con l’Ucraina, allora potremmo avere non tre o cinque anni, ma due o tre anni. E quando ci riuniremo di nuovo qui e diremo ‘Ok, abbiamo fallito un po’. Forse dobbiamo iniziare a imparare il russo'”, ha concluso.
In questo contesto, è il primo ministro ungherese Viktor Orbán a fare da contraltare con una posizione nettamente critica nei confronti dell’Unione europea, sostenendo che Bruxelles stia prolungando il conflitto in Ucraina nell’ambito di una strategia di attacco preventivo contro Mosca.
“Mentre Bruxelles si prepara al conflitto, dobbiamo sostenere le iniziative contro la guerra”, ha sottolineato Orbán, aggiungendo che il problema più grande per gli ungheresi, così come per gli altri popoli che vivono nella regione dei Carpazi, è il conflitto militare in corso alle porte dell’Ue.
Germania e Olanda punti strategici
L’esercito tedesco avrà bisogno di ”altri 50-60mila soldati” nei prossimi anni. Lo ha dichiarato il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius parlando a margine del vertice: “Riteniamo, ma non è una stima approssimativa, di aver bisogno di 50mila o 60mila soldati in più nelle forze armate” per rispondere alle nuove capacità di difesa richieste dalla Nato.
Mentre l’Olanda si candida a “Paese di transito” per il trasferimento di forniture militari. Il ministro della Difesa olandese Ruben Brekelmans, ha spiegato che i grandi porti, ad esempio il porto di Rotterdam, in termini di logistica, è essenziale “per poter trasportare equipaggiamento militare dai nostri porti all’Europa orientale”. Ma, secondo il ministro, “i costi sono importanti per noi. Penso che sarebbe anche opportuno includerli nella spesa per la difesa. Il summit della Nato a fine giugno sarà un vertice “storico” e un “successo”, anche se l’Olanda sarà senza un governo nel pieno dei suoi poteri, dopo che il Pvv di Geert Wilders ha tolto il sostegno all’esecutivo di Dick Schoof.
“Noi come governo provvisorio – ha spiegato il ministro – abbiamo deciso di agire come se fossimo un governo normale e di continuare il lavoro come al solito, perché le minacce internazionali non diminuiscono se ci sono problemi di politica interna nei Paesi Bassi. Continueremo allo stesso modo, anche in preparazione del vertice dell’Aja che mi aspetto sarà un vertice storico”. In qualità di “Paese ospitante, vogliamo che questo sia un grande successo. Faremo tutti i preparativi necessari per fare in modo che questo vertice sia un successo e che i partecipanti non vedano o vivano nulla di diverso, anche se ora nei Paesi Bassi abbiamo un governo per gli affari correnti”, ha concluso.
Il ruolo dell’Italia e il dibattito interno sulla spesa militare
Il dibattito alla Nato ha coinvolto i diversi ministri della Difesa, tra i quali l’italiano Guido Crosetto, che ha espresso il sostegno dell’Italia alla proposta inglese di posticipare al 2035 gli obiettivi di capacità richiesti dalla Nato. Il ministro ha inoltre sottolineato come il raggiungimento della soglia del 3,5% del Pil in spese militari sia un obiettivo realistico, da perseguire con gradualità.
In Italia, il tema dell’aumento della spesa per la difesa è stato discusso anche a livello governativo, con un incontro a Palazzo Chigi che ha visto la partecipazione della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dei principali ministri competenti. L’Italia ribadirà il proprio impegno a raggiungere il 2% del Pil in spese militari, ma la possibilità di incrementare tale valore al 5% appare complessa.
All’interno della maggioranza, la Lega ha espresso una posizione prudente, sottolineando la necessità di evitare scostamenti di bilancio o nuovo indebitamento per finanziare il rafforzamento della difesa. Guido Crosetto ha inoltre chiarito che non è ancora certo se l’Italia attiverà la clausola nazionale di salvaguardia prevista dal piano ReArmEu per permettere un aumento della spesa militare.
“Non penso – ha spiegato Crosetto – che Giancarlo Giorgetti abbia deciso definitivamente per il sì o per il no”, anche perché “auspicava un cambio delle regole” e pensava che non sarebbe durata solo “quattro o cinque anni”. In realtà, osserva, per “avere un senso” la clausola dovrebbe durare “venti o trent’anni”, dato che le spese per la difesa sono per definizione a lungo termine, richiedendo un elevato grado di programmazione.
Nel frattempo, la premier Meloni prosegue nella preparazione dei prossimi appuntamenti internazionali, dopo il vertice del “disgelo” con il presidente francese Emmanuel Macron, andato in scena martedì scorso a Palazzo Chigi. Un incontro utile a rafforzare l’intesa tra Roma e Parigi su diversi fronti strategici, dalla difesa allo spazio. E, soprattutto, un asse che i due leader potrebbero sfruttare anche nei colloqui con la Casa Bianca, per cercare di evitare – o quantomeno rallentare – un eventuale disimpegno di Trump dalla Nato, anche sul piano della presenza militare in Europa.
In sintesi, se il piano proposto da Rutte verrà formalmente approvato, la Nato si troverà ad affrontare una fase di intensificazione degli sforzi per colmare i gap nelle capacità difensive e garantire una deterrenza efficace nei confronti delle minacce emergenti. Tuttavia, restano interrogativi sui costi finanziari e sulla sostenibilità politica di un impegno economico così rilevante per tutti i membri dell’Alleanza. Per l’ufficialità di qualsiasi posizione servirà attendere il vertice dei capi di Stato e di governo dei 32 Stati membri dell’organizzazione.