Cosa succede all’Unione europea se vince Donald Trump?

Con il tycoon al potere negli Stati Uniti, l’Ue o si fortifica o si sgretola: ecco quali sfide dovranno affrontare gli Stati membri
4 mesi fa
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Donald Trump Fg Ipa

L’Unione europea è pronta a un Donald Trump bis? Questa è una delle tante domande che si stanno ponendo studiosi e politologi. Per la stragrande maggioranza, la risposta è “No”. Joe Biden sembra non essere il favorito nei sondaggi americani e le prossime elezioni di novembre potrebbero vederlo perdere a favore del suo avversario politico. A confermarlo sono le previsioni dell’Economist secondo le quali il repubblicano Trump è in vantaggio, anche se di poco, nei sondaggi politici. In controtendenza, invece, quelle di Fox News, definite “spazzatura” dal Tycoon che si è, però, dichiarato pronto a dibattere contro il conservatore Biden. Il prossimo scontro tv andrà in onda il 27 giugno sulla Cnn. Ma cosa accadrà all’Unione europea se vincerà Donald Trump? Vediamo i possibili scenari insieme.

Le conseguenze di un’America trumpiana

Grazie ai suoi legami con Vladimir Putin, l’ex presidente Usa si è ripromesso di risolvere il conflitto russo-ucraino in meno di 24 ore. E pare non abbia intenzione di contribuire alle risorse economiche e militari che l’Ue sta elargendo alla difesa dell’Ucraina. I 61 miliardi di dollari a Kiev che il Congresso ha appena approvato potrebbero essere l’ultima tranche di aiuti militari, mentre le divergenze economiche francesi e tedesche potrebbero inasprire le conseguenze che l’elezione di Trump potrebbe avere sull’Ue. Ma non è tutto. Donald Trump potrebbe decidere di avviare degli accordi bilaterali con le destre conservatrici europee contribuendo a bloccare le norme europee su clima e ambiente.

Lo scetticismo del candidato repubblicano nei confronti della Nato aumenta i rischi del quattro volte primo ministro Mark Rutte, che prenderà il testimone di Jens Stoltenberg come segretario generale a ottobre. Fortuna vuole che il presidente olandese sia il meno ostile alla destra che avanza e ha già chiarito che “dialogheremo con chiunque alla Casa Bianca”.

A creare degli ipotetici scenari futuri, però, è stato il think thank European Council on Foreign Relations (ECFR) che ha ipotizzato i primi mesi del 2025 nel caso in cui Donald Trump dovesse vincere le elezioni. Dalla sicurezza agli accordi bilaterali, fino ai patti con la Russia, ecco quali saranno le conseguenze di un Trump 2.0:

  1. “La questione ucraina”
    Per il Tycoon, una delle priorità sarà quella di fermare il conflitto russo-ucraino. Non è chiaro in che modo intenderà farlo, ma dalle sue dichiarazioni passate è emerso chiaramente che per lui, l’Ucraina potrebbe tranquillamente far parte della Russia. Lo scenario più plausibile, quindi, è che l’accordo con Vladimir Putin ricalchi la “proposta” dello zar, con il controllo russo su Crimea, Donetsk, Luhansk, Kherson e Zaporizhzhia. L’adesione dell’Ucraina alla Nato, inoltre, sarebbe fuori discussione. E le ricadute che tutto ciò avrebbe sull’Europa riguarderebbero la piena assunzione di responsabilità da parte dell’Ue in merito al finanziare la ricostruzione dell’Ucraina e la sua sicurezza. Sicurezza, fino ad oggi, garantita all’Ue dagli stessi Stati Uniti.
  2. Gli accordi sul clima
    Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi nel 2017, dimostrando la sua ostilità ad uno specifico pacchetto di azioni volte alla salvaguardia del Pianeta. Il suo punto di vista era che questo accordo, reputato ingiusto, imponeva “oneri finanziari ed economici draconiani” agli Stati Uniti mentre Cina e India, si intende, ne ottenevano un vantaggio. Questa volta, Trump potrebbe decidere di ridurre drasticamente le norme che limitano la produzione di combustibili fossili. E lo scenario plausibile è che crei un “dominio energetico”. Nel 2023, le emissioni di CO2 legate all’energia negli Stati Uniti sono ridotte del 3%, ovvero di 134 milioni di tonnellate. La maggior parte di questa diminuzione si è verificata nel settore dell’energia elettrica, con riduzioni minori nei settori “residenziale” e “commerciale”. Le emissioni dei settori “industriale” e dei “trasporti” sono rimaste come quelle del 2022. Liberare l’uso del gas naturale, del petrolio, del carbone pulito e dell’energia nucleare degli Stati Uniti consentirebbe il dominio energetico e ridurrebbe le emissioni globali di carbonio. Per l’Europa, ciò vorrebbe significare rallentare le politiche del Green deal e ridurre le proteste degli agricoltori che vedrebbero in un modello economico ambientale differente una soluzione alle proprie problematiche.
  3. Addio alla Nato
    La vittoria di Donald Trump, secondo un altro scenario presentato dall’Ecfr potrebbe portare ad una riduzione di soldati in Europa. In seguito all’invasione russa dell’Ucraina, gli Stati Uniti hanno rafforzato la loro presenza in Ue, con circa 90mila soldati in totale, 10mila dei quali dislocati a Camp Kosciuszko, in Polonia. Il Dipartimento della Difesa, secondo le indicazioni del neopresidente, potrebbe decidere di ridurre a 10.000 il limite massimo delle truppe in servizio attivo in Germania mentre un’esigua parte sarebbe distribuita alle nazioni che avrebbero contribuito maggiormente all’alleanza politica. In altre parole, si prefigura che gli Stati Uniti darebbero priorità alla sfida cinese nell’Indo Pacifico, compresa la produzione massiccia di armi d’attacco come i sistemi missilistici HIMARS e ATACMS e droni tattici, nonché sistemi difensivi come i missili Patriot, Stinger e Javelin che possono resistere a un attacco d’invasione, come quello che potrebbe verificarsi a Taiwan. Questi sistemi d’arma avrebbero nel 2025 la priorità per il teatro asiatico rispetto a quello europeo lasciando scoperta l’Ue.
  4. Conflitti in Medio Oriente
    Il primo viaggio di Trump all’estero sarebbe quello in Israele. Insieme a una delegazione del Congresso, il presidente si recherebbe nelle zone colpite dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre e a nord di Gaza, un’area priva di civili e ancora protetta dall’esercito israeliano. Trump non è stato molto esplicito sulla questione israelo-palestinese dopo l’attacco contro Israele del 7 ottobre. Ma nel suo primo mandato, ha presentato un quadro di sostegno a Israele che ha superato persino il forte livello di impegno di Biden per la sicurezza del Paese. È quindi plausibile pensare che “possa voler normalizzare la posizione di Israele in Medio Oriente – scrive l’Ecfr – ampliando gli accordi di Abramo che stabilivano relazioni diplomatiche tra Israele e alcuni dei suoi vicini arabi”. Il risultato? Uno stato palestinese privo di militari e con poteri politici ridotti.

Divergenze economiche Franco-tedesche e conseguenze

A questo punto non resta che chiedersi se l’Unione europea è pronta ad affrontare un panorama transatlantico con Donald Trump al comando e come le divergenze economiche presenti tra gli Stati più influenti in Ue contribuiranno ad un peggioramento della situazione.

Oggi, il quadro francotedesco si è complicato con lo scioglimento delle camere da parte del presidente Emmanuel Macron in seguito alla vittoria della destra conservatrice di Le Pen alle europee. Una spinta di ultradestra in tutta Europa ha accelerato il possibile aumento delle divergenze economiche con la Germania. Reuters ha così sintetizzato la questione: “Le azioni francesi e l’euro sono crollati a causa dell’incertezza politica in Francia e della possibilità di un parlamento dominato dall’estrema destra che ha spaventato gli investitori, mentre il divario tra i costi di prestito dei governi francese e tedesco è salito alle stelle – e continua -. L’euroscettico partito di Marine Le Pen è in testa nei sondaggi di opinione dopo la decisione a sorpresa del Presidente Emmanuel Macron di indire un voto lampo, mentre i partiti di sinistra francesi hanno formato una nuova alleanza per vincere all’Eliseo. La preoccupazione dei mercati è che un primo ministro francese di estrema destra possa perseguire politiche economiche ‘France first’ ad alta spesa, aumentando l’ingente debito del Paese. Alcuni investitori hanno iniziato a parlare del rischio di rottura della zona euro, anche se ciò rimane lontano”.

E in Germania la situazione non è tanto differente. Il banco di prova è stato ancora una volta quello delle elezioni europee alle quali i conservatori del Cdu-Csu hanno vinto con circa il 30%. Ma a festeggiare è stato l’Afd, partito arrivato secondo con il 15,9%, superando così l’Spd del cancelliere tedesco Olaf Scholz (13,9%). “Ringrazio i giovani – aveva detto il co-segretario di Afd, Tino Chrupalla dopo il risultato elettorale -. Il voto ai sedicenni ci ha premiato non poco. Abbiamo il 40% in più di nuovi elettori. Ciò dimostra che nelle vecchie case di famiglia resistono i valori tradizionali quotidianamente attaccati nelle nostre scuole”. Un’ondata di destra, quindi, che l’unione Scholz-Macron non potrà fronteggiare con semplicità.

Parola d’ordine? “Accordi bilaterali”

La parola d’ordine dello scenario appena descritto è “Accordi bilaterali”. Sono quegli accordi che si prevede possa voler fare Donald Trump solo con una parte degli Stati Ue: quelli di stampo conservatore che hanno avuto la meglio in molti dei Paesi membri alle recenti elezioni in Ue. Resta di fatto un problema: la difesa americana non è detto che sarà garantita ulteriormente ed è per questo motivo che l’Unione europea dovrà darsi da fare per accelerare il suo processo di crescita. L’Ue, con un’America repubblicana, o si rafforza dimostrandosi un concorrente valido dal punto di vista economico e militare, o si sgretola definitivamente.

Lo ha chiarito anche l’ex presidente della Bce Mario Draghi. Intervenendo nelle scorse settimane al Monastero di San Jeronimo de Yuste in Estremadura, dove ha ricevuto dal re Felipe VI di Spagna il Premio Europeo Carlos V, l’ex premier italiano ha detto: “L’Ue dovrà crescere più velocemente e meglio. E il modo principale per ottenere una crescita più rapida è aumentare la nostra produttività”. Come? “L’Europa dovrà non solo incrementare il livello della domanda attraverso una spesa più elevata, ma anche garantire che questa si concentri all’interno dei nostri confini e che venga aggregata a livello europeo. Il modo più efficiente per generare questa domanda sarebbe quello di aumentare la spesa comune europea. Ma in assenza di un tale approccio centralizzato, possiamo ottenere molto coordinando più strettamente le politiche degli appalti pubblici e applicando requisiti più espliciti di contenuto locale per i prodotti e i componenti prodotti nell’Ue”.

Le previsioni economiche

Secondo l’Asset management Amundi, si prevede una crescita nella zona Euro rispettivamente di + 0,8% nel 2024 e + 1,2% nel 2025. L’occupazione è cresciuta dello 0,3% nel primo trimestre, confermando l’evidenza empirica che il mercato del lavoro sta diventando progressivamente più forte, con le aziende che assumono in modo massiccio forza lavoro in previsione di una ripresa della crescita. Il quadro occupazionale varia però sensibilmente da Paese a Paese e da settore a settore.

“Quest’anno – spiegano gli analisti finanziari – la Germania probabilmente sarà il fanalino di coda a causa del debole andamento degli investimenti e delle esportazioni. I Paesi come la Spagna dovrebbero invece ottenere risultati migliori. Il settore dei servizi è in crescita, mentre quello manifatturiero rimane sotto pressione. L’unico Paese in cui entrambi i settori sono in espansione è la Spagna. Nel 2025 prevediamo nella zona Euro una ripresa più generalizzata supportata da un maggior potere d’acquisto e da un allentamento delle condizioni finanziarie”.

E le prospettive per la Francia? “Dopo un marcato rallentamento congiunturale nel secondo semestre del 2023, la crescita del PIL dovrebbe riprendere slancio molto gradualmente nel 2024 (0,9%) e ritornare al tasso potenziale nel 2025 (1,3%) – continuano i ricercatori -. I consumi delle famiglie dovrebbero essere il driver principale grazie a una ripresa dei salari reali e all’allentamento delle condizioni del credito. Le misure per la riduzione del debito annunciate dal governo peseranno sulla crescita senza però mettere a repentaglio la ripresa. L’inflazione dovrebbe scendere sensibilmente, così come sta succedendo nella zona Euro, soprattutto grazie ai prezzi più bassi dell’energia e delle materie prime. L’inflazione dovrebbe calare al 2,1% nel 2025, dopo il 5,7% nel 2023 e il 2,5% nel 2024. Il deficit pubblico si ridurrà leggermente, passando dal 5,5% del PIL nel 2023 al 5,3% nel 2024 e al 5,0% nel 2025, ma probabilmente rimarrà al di sopra del 3% nel 2027 (al 4,5% secondo le stime del FMI), un livello di gran lunga superiore a quello previsto dal governo francese nel suo Programma di stabilità presentato in aprile (2,9%)”.

In sintesi, in Francia, potrebbe essere avviata una procedura per deficit eccessivo (EDP). E in assenza di ulteriori misure di consolidamento fiscale, il debito pubblico raggiungerà il 112% del PIL nel 2024, il 114% del PIL nel 2025, e sul medio termine aumenterà di circa 1,5 punti percentuali all’anno. Ciò potrebbe comportare un aumento del costo del debito, costringendo il governo ad adottare misure di consolidamento più incisive, con un potenziale impatto sul potere d’acquisto e sulla crescita. In questo contesto gli investitori seguiranno con attenzione l’impegno del prossimo governo francese a contenere la spesa pubblica.