Due Ong fanno causa all’Ue: “I target climatici sono insufficienti”

Gli obiettivi dell’Unione europea per ridurre le emissioni di gas serra, per molti, non sono sufficienti. Per qualcun altro, invece, sono proprio illegali: ecco perché
3 mesi fa
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Ong Contro Ue Canva

Gli obiettivi dell’Unione europea per ridurre le emissioni di gas serra, per molti, non sono sufficienti. Per qualcun altro, invece, sono proprio illegali rispetto agli impegni internazionali e al diritto ambientale. Parliamo delle Organizzazioni non governative (Ong) Glan e CAN Europe che hanno sfidato la Commissione europea su quel “55% in meno di gas serra entro il 2030”. L’obiettivo target rientra nel più generale Green Deal e, per gli ambientalisti, è limitante e scorretto.

Secondo le due Ong, l’Ue avrebbe “agito illegalmente” quando si è rifiutata di “rendere più ambiziosi i target”. Per questo motivo, Glan e Can Europe hanno presentato le argomentazioni scritte finali in una causa accelerata sul clima avviata a febbraio di quest’anno.

Cosa sta accadendo oggi? E cosa rischia l’Unione europea?

Contrastare la crisi climatica “è un dovere”

L’inadeguatezza della politica nel contrastare la crisi climatica costituisce una grave violazione dei diritti umani”: lo ha stabilito lo scorso aprile la Corte europea dei diritti umani (Cedu) a Strasburgo, in una causa intentata da un gruppo di anziane donne svizzere.

La causa riguardava l’associazione Klima Seniorrinen Schweize, un gruppo di attiviste che chiedeva di prendere misure concrete di contrasto ai cambiamenti climatici alla Svizzera. Con la storica sentenza, la Corte di Strasburgo si è espressa a favore del gruppo di donne, riconoscendo il diritto alla protezione del clima come un diritto umano.

Le due Ong, oggi, fanno riferimento proprio a quella sentenza. Per questo motivo, hanno fatto richiesta di una revisione interna delle assegnazioni nazionali di emissione basate sull’obiettivo fissato al 2030. La legislazione Ue attua la Convenzione di Aarhus delle Nazioni Unite, Convenzione che prevede di effettuare una richiesta (che potrebbe essere respinta) sull’accesso alle “informazioni, la partecipazione dei cittadini e alla giustizia in materia ambientale”. I gruppi della società civile, quindi anche le Ong, non hanno accesso diretto ai tribunali di Lussemburgo e chiedono, oggi, di prenderne visione.

L’obiettivo 55% entro 2030

Il target che fissa al 55% la riduzione di emissioni entro il 2030 fa parte del più ampio Green Deal europeo, l’ambizioso piano per rendere l’Europa il primo continente a impatto climatico zero entro il 2050.

Si tratta di un obiettivo intermedio verso uno più grande e finale che comporta una serie di misure e politiche volte a ridurre le emissioni in vari settori, come l’energia, i trasporti, l’industria e l’agricoltura.
Le misure vanno dall’aumento delle rinnovabili alla promozione del riutilizzo, dal riciclo alla riduzione dei rifiuti, così come alla decarbonizzazione dei trasporti.

Cosa vogliono le Ong?

Quello che gli ambientalisti chiedono è che l’obiettivo sia quanto più vicino al 65%, il che significa dimezzare le emissioni rispetto ai livelli attuali in tutto il blocco dei 27 Stati membri fino al 2030.

Da febbraio, mese in cui le Ong si sono rivolte al Tribunale Ue, il presidente di quest’ultimo ha concesso alla causa una priorità maggiore rispetto ad altri casi: mossa che le Ong hanno ritenuto un riconoscimento dell’urgenza di un’azione per il clima.

In particolare, i ricorrenti sostengono che: “L’Unione era tenuta a fare una valutazione adeguata delle riduzioni globali delle emissioni necessarie per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C, ma non ha effettuato tale valutazione quando ha adottato l’obiettivo per il 2030 – scrivono in una nota -. Doveva valutare cosa costituisce una misura ragionevole della sua giusta quota delle riduzioni delle emissioni a livello globale, ma non ha effettuato tale valutazione in fase di adozione dell’obiettivo per il 2030. L’Unione era obbligata a valutare le riduzioni delle emissioni domestiche fattibili per l’UE da raggiungere entro il 2030 e non ha fatto tale valutazione quando ha adottato l’obiettivo per il 2030. L’UE – concludono – ha esplicitamente deciso di non valutare se riduzioni superiori al 55% fossero fattibili. L’Unione era tenuta a valutare gli impatti dei cambiamenti climatici sui diritti fondamentali, nella valutazione d’impatto dell’obiettivo per il 2030, e non ha effettuato tale valutazione”.

La Commissione europea ha chiesto al tribunale di archiviare il caso, di ordinare alle Ong di coprire i costi e ha sostenuto che il caso riguarda un obiettivo fissato nella legislazione europea e quindi non rientra nell’ambito di applicazione del Regolamento di Aarhus al quale le Ong hanno fatto riferimento. L’esito della causa dipenderà da come il tribunale dell’Ue interpreterà questa distinzione giuridica e potrebbe costituire un precedente per le future sfide al diritto ambientale dell’Ue.

La legge sul clima prevede anche che la Commissione proponga un obiettivo intermedio per il 2040. La presidente Ursula von der Leyen si è impegnata a raggiungere il 90% minimo raccomandato da un gruppo indipendente di scienziati del clima.

Strasburgo, Ursula Von Der Leyen Rieletta Presidente Della Commissione Europea Con 401 Voti
Ursula von der Leyen (IPA/Fotogramma)

Cosa succede se vincono le Ong?

Se le Ong vincessero il ricorso contro l’Unione Europea, secondo previsioni di esperti, le conseguenze potrebbero essere sia politiche che normative:

  • Revisione degli obiettivi climatici dell’UE.
    L’Ue potrebbe essere costretta a innalzare il suo obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra per il 2030, passando dal target attuale del 55% a valori più ambiziosi come il 60% o il 65%. Questo comporterebbe un rafforzamento delle politiche ambientali e nuove misure legislative.
  • Impatto sulle politiche nazionali.
    Gli Stati membri dovrebbero aggiornare i loro Piani Nazionali Energia e Clima (PNEC) per conformarsi ai nuovi obiettivi, il che potrebbe implicare misure più rigorose in settori chiave come energia e trasporti, con effetti economici e occupazionali variabili.
  • Precedente giuridico.
    Una vittoria delle Ong potrebbe creare un precedente legale importante, rafforzando il diritto ambientale e incentivando ulteriori ricorsi contro politiche climatiche ritenute insufficienti.
  • Spinta economica.
    Potrebbe portare a nuove regolamentazioni o al rafforzamento di quelle esistenti, con maggiore investimento in energie rinnovabili e accelerazione della decarbonizzazione.

I due gruppi ambientalisti hanno appena presentato le argomentazioni finali al Tribunale e la Commissione dovrà inviare la sua risposta scritta il mese prossimo. Il caso passerà a un’udienza pubblica e le Ong sperano di ottenere una sentenza nel corso del prossimo anno.