Nuovo regolamento Ue sui rimpatri: cosa cambia?

L'Unione Europea introduce il 'European Return Order' e centri nei Paesi terzi: ecco come cambieranno le politiche di espulsione
2 settimane fa
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Migrante

Nel centesimo giorno del suo secondo mandato, Ursula von der Leyen presenta il nuovo regolamento europeo sui rimpatri. L’obiettivo dichiarato è chiaro: rendere più efficiente un meccanismo che, fino ad ora, ha mostrato evidenti falle. Attualmente, meno del 20% dei migranti destinatari di un ordine di espulsione lascia effettivamente il territorio dell’Unione Europea. Questo accade non solo per la difficoltà pratica di eseguire i rimpatri, ma anche per la mancanza di cooperazione tra i vari Stati membri. Ogni paese adotta infatti regole proprie, e il reciproco riconoscimento delle decisioni di espulsione è un’eccezione piuttosto che la norma.

Il regolamento, che consta di 52 articoli suddivisi in nove capitoli, mira ad armonizzare le procedure tra gli Stati membri e a rendere obbligatorio, a partire dal 1° luglio 2027, il mutuo riconoscimento degli ordini di espulsione. Questo significherebbe che un cittadino di un Paese terzo a cui viene negato il permesso di soggiorno in uno Stato membro non potrà semplicemente trasferirsi in un altro paese dell’Ue per aggirare il provvedimento. Un altro elemento chiave del regolamento è la volontà di istituire il cosiddetto European Return Order, un divieto d’ingresso fino a 10 anni (estendibile a 15) per chi viene espulso con la forza.

Von der Leyen ha dichiarato che la nuova normativa punterà a impedire fughe e irreperibilità, uno dei principali problemi del sistema attuale. Secondo il Commissario europeo per la Migrazione, l’austriaco Magnus Brunner, “dobbiamo assicurarci che chi deve essere rimpatriato non possa semplicemente scomparire”. Questo suggerisce che le misure previste potrebbero includere anche la detenzione dei migranti in attesa dell’espulsione, con la creazione di centri di rimpatrio all’interno e all’esterno del territorio europeo.

Il modello Albania

Uno degli aspetti più controversi della nuova proposta riguarda la possibilità di creare centri di detenzione per i migranti in attesa di rimpatrio in Paesi terzi definiti “sicuri”. Questa soluzione, che già fa discutere, potrebbe ricalcare il modello dell’accordo tra Italia e Albania per la gestione dei flussi migratori. Il regolamento prevede infatti che un Paese terzo possa ospitare questi centri solo se rispetta determinati standard internazionali sui diritti umani e sul principio di non respingimento. Inoltre, l’Ue istituirebbe un organismo indipendente di monitoraggio per garantire l’effettivo rispetto delle regole.

La proposta ha trovato l’appoggio di diversi Stati membri, soprattutto quelli più esposti agli arrivi di migranti, come Italia, Grecia e Malta. Tuttavia, altri governi, tra cui quelli di Spagna, Portogallo, Irlanda e Belgio, hanno espresso forti perplessità. Le preoccupazioni principali riguardano le possibili violazioni dei diritti umani e le difficoltà pratiche di gestione di questi centri. Le organizzazioni umanitarie hanno già messo in guardia dai rischi di detenzione in condizioni inadeguate e dall’eventuale impossibilità per i migranti di far valere i loro diritti. L’Agenzia Ue per i Diritti Fondamentali ha avvertito che i centri potrebbero essere accettabili solo se accompagnati da garanzie chiare e stringenti.

Un altro nodo critico riguarda la questione dei minori. Secondo l’articolo 17 del regolamento, i minori non accompagnati e le famiglie con minori non potranno essere trasferiti nei centri di rimpatrio situati in Paesi terzi. Tuttavia, rimane il dubbio su come verranno trattati i casi familiari e su quali alternative l’Ue metterà in campo per gestire situazioni particolarmente delicate.

Divieto d’ingresso e accelerazione delle procedure di espulsione

Uno degli elementi più innovativi del nuovo regolamento è l’adozione di norme procedurali comuni per l’emissione delle decisioni di rimpatrio. Il nuovo European Return Order stabilisce regole più severe per chi non ha diritto alla protezione internazionale. Tra i criteri che comporteranno un divieto di ingresso figurano il rifiuto di cooperare con le autorità durante il processo di rimpatrio, lo spostamento in un altro Stato membro senza autorizzazione, il mancato rispetto della data di partenza prevista e la valutazione del soggetto come rischio per la sicurezza. Il divieto di ingresso può variare da un minimo di tre anni fino a un massimo di 10, con la possibilità di estensione a 15 anni nei casi più gravi.

Per garantire l’efficacia di queste misure, il regolamento introduce anche il principio della detenzione preventiva per chi è in attesa di espulsione. Il capitolo 5 della normativa specifica che la detenzione può essere applicata per prevenire il rischio di fuga o in caso di mancata cooperazione con le autorità. Sebbene von der Leyen abbia assicurato che “questa proposta garantisce che i rimpatri siano condotti nel rispetto della dignità umana, del diritto alla vita e della proibizione della tortura”, restano dubbi sull’applicazione pratica di queste norme e sulle garanzie effettive per i migranti.

Essendo un regolamento e non una direttiva, le nuove norme saranno immediatamente vincolanti per tutti gli Stati membri senza necessità di recepimento nei singoli ordinamenti nazionali. Ciò significa che, una volta approvato dal Parlamento e dal Consiglio europeo, il nuovo sistema di rimpatri diventerà operativo in tutta l’Ue senza margini di interpretazione o adattamento da parte dei governi nazionali. Questo potrebbe portare a una maggiore uniformità nell’applicazione della normativa, ma anche a possibili tensioni politiche tra gli Stati favorevoli a una politica più rigida sui rimpatri e quelli che invece vedono con preoccupazione un inasprimento delle misure.

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