La Corte europea “boccia” Apple e Google: “Nessuno è al di sopra della legge”

La vicepresidente esecutiva della Commissione con delega alla Concorrenza Margrethe Vestager: “Sentenza che dimostra che anche le potenti compagnie digitali devono rispondere del loro operato”
4 settimane fa
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Giustizia Europea Canva

L’Irlanda incasserà 13 miliardi di tasse arretrate da Apple. Google dovrà pagare una multa da 2,4 miliardi per abuso di posizione dominante. Queste le decisioni della Corte di giustizia europea che ha confermato quanto disposto dalla Commissione negli anni precedenti.

Il primo contezioso riguardava il caso irlandese e la concessione alla Apple di un aiuto illegale e che ora lo Stato è tenuto a recuperare. Dall’altro lato, un “abuso del potere commerciale” di Google ha visto una vittoria schiacciante e a nulla è valso il ricorso del gruppo di Mountain View della società, rigettato dalla Corte.

“È un caso simbolico – ha commentato la vicepresidente esecutiva della Commissione con delega alla Concorrenza Margrethe Vestager, in conferenza stampa a Bruxelles -, perché ha dimostrato che anche le potenti compagnie digitali devono rispondere del loro operato. Nessuno è al di sopra della legge“.

Ma andiamo con ordine.

La vicenda Apple

Tra il 1991 e il 2007, l’Irlanda aveva concesso due “ruling fiscali” alle società Apple. Nello specifico, la Apple Sales International e la Apple Operations Europe avevano ricevuto dei vantaggi fiscali che riguardavano il trattamento degli utili generati dalle loro attività.

Bruxelles nel 2016 aveva ha deciso che, essendo le attività della Apple svolte negli Stati Uniti, non potevano beneficiare di tali ruling. Una prima sentenza è arrivata nel 2020: il Tribunale aveva annullato la decisione comunitaria ritenendo che quest’ultima non avesse sufficientemente dimostrato l’esistenza di un vantaggio selettivo a favore della multinazionale californiana.

Secondo la Commissione europea, tali agevolazioni avrebbero determinato una riduzione della base imponibile alle società Apple e quindi una riduzione dell’imposta dovuta dalle stesse in base al regime ordinario di tassazione degli utili societari in Irlanda. In questo modo avevano conferito un vantaggio selettivo alle stesse società ai fini dell’articolo 107, paragrafo 1, del Tfue.

Oggi, la Corte ha annullato la sentenza del Tribunale e statuito definitivamente sulla controversia, confermando al contrario la decisione della Commissione. Secondo le stime effettuate dalla Commissione, l’Irlanda avrebbe concesso alla Apple vantaggi fiscali illegali per un totale di 13 miliardi di euro che ora dovrà riavere indietro.

“Questo caso non ha mai riguardato la quantità di tasse che paghiamo, ma il governo a cui siamo tenuti a pagarle – ha scritto Apple in una nota -. Paghiamo sempre tutte le tasse che dobbiamo ovunque operiamo e non c’è mai stato un accordo speciale. Apple è orgogliosa di essere un motore di crescita e innovazione in Europa e nel mondo e di essere sempre uno dei maggiori contribuenti al mondo. La Commissione europea sta cercando di cambiare retroattivamente le regole, ignorando che, come previsto dal diritto tributario internazionale, il nostro reddito era già soggetto a imposte negli Stati Uniti. Siamo delusi dalla decisione odierna, poiché in precedenza la Corte di Giustizia aveva riesaminato i fatti e annullato categoricamente il caso”.

Il caso Google

E mentre Apple incassava il duro colpo, la Corte di Giustizia dell’Ue ne sferrava un altro contro Google. Oggi, infatti, è stata altrettanto confermata una multa di 2,4 miliardi di euro inflitta dalla Commissione Europea alla società per “aver abusato della sua posizione dominante”, favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti.

Il riferimento va a quando la Commissione aveva rilevato che Google, in 13 Paesi dello Spazio economico europeo, valorizzava i risultati del proprio comparatore di prodotti con box visivi, mentre quelli dei concorrenti erano relegati a semplici link generici, compromettendo il principio di concorrenza leale. La conclusione? Abuso della propria posizione dominante sul mercato dei servizi di ricerca generale su Internet, nonché su quello dei servizi di ricerca specializzata di prodotti.

Per questo motivo, la Commissione aveva inflitto un’ammenda di 2.424.495.000, per il pagamento della quale Alphabet, socia unica di Google, è stata ritenuta responsabile in solido per un importo 523.518.000 euro. Le due contestarono la decisione della Commissione davanti al Tribunale dell’Ue, il quale, nel 2021 ha, essenzialmente, respinto il ricorso e confermato la multa. Per contro, il Tribunale ha ritenuto che non fosse dimostrato che la pratica di Google avesse avuto effetti anticoncorrenziali, anche solo potenziali, sul mercato della ricerca generale.

La Corte ricorda che il diritto dell’Ue sanziona non l’esistenza stessa di una posizione dominante, ma soltanto lo sfruttamento abusivo di quella posizione.

Il ricorso presentato da Google e Alphabet, informa la Corte, è respinto. “Siamo delusi dalla decisione della Corte – ha detto un portavoce Google all’Adnkronos -. Questa sentenza si riferisce a un insieme di fatti molto specifici. Abbiamo apportato modifiche nel 2017 per conformarci alla decisione della Commissione Europea e il nostro approccio ha funzionato con successo per oltre sette anni, generando miliardi di clic per oltre 800 servizi di comparazione prezzi”.

Si chiudono così i fronti aperti con due delle maggiori big tech internazionali che vedono l’Unione europea prendere una decisione chiara e netta sulla gestione del proprio operato all’interno dei confini degli Stati membri.

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