Il caso Georgescu incendia la Romania

L’interrogatorio fiume del leader populista e la reazione dei suoi sostenitori: tra accuse di ingerenza russa e teorie di cospirazione, il caso divide il paese
2 giorni fa
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Georgescu Afp
Il candidato presidenziale Calin Georgescu saluta i sostenitori mentre lascia il quartier generale della Procura generale a Bucarest (Afp)

Cinque ore di interrogatorio serrato nel cuore di Bucarest, centinaia di sostenitori radunati davanti al Parchetului General, slogan gridati con rabbia e la sensazione che qualcosa di grosso stia accadendo. Călin Georgescu, il politico populista che ha scosso la Romania con la sua ascesa fulminea, è stato messo sotto inchiesta per reati che vanno dall’istigazione ad azioni contro l’ordine costituzionale alla diffusione di informazioni false. Non un arresto, ma un duro colpo per la sua corsa presidenziale.

Il suo volto impassibile all’uscita dell’ufficio del procuratore generale, la voce ferma: “Non molliamo”. Il messaggio è chiaro, la sfida lanciata. Mentre la magistratura lo mette sotto controllo giudiziario per 60 giorni, vietandogli di lasciare il Paese, i suoi seguaci vedono nella vicenda il segno di una cospirazione orchestrata dai poteri forti. Dietro questo momento si cela una storia complessa, fatta di ascesa improvvisa, retorica incendiaria, sospetti di ingerenza russa e un consenso che non accenna a diminuire.

L’uomo che ha sfidato l’establishment

Chi è davvero Călin Georgescu? La sua carriera è un percorso che attraversa le molteplici sfaccettature della politica e dell’attivismo, passando dalle istituzioni internazionali all’ascesa come figura di riferimento del populismo di destra in Romania. Laureato in pedologia, ha iniziato il suo percorso come burocrate presso il Ministero dell’Ambiente, per poi affermarsi come specialista nello sviluppo sostenibile. Ha ricoperto ruoli di prestigio a livello internazionale, tra cui relatore speciale delle Nazioni Unite, presidente del Centro europeo di ricerca del Club di Roma e direttore esecutivo dell’Istituto dell’Indice di Sostenibilità Globale delle Nazioni Unite a Ginevra.

Tuttavia, il suo profilo è cambiato radicalmente negli ultimi anni: da esperto di tematiche ambientali a tribuno del popolo, ha intercettato il malcontento diffuso tra i romeni delusi dalle élite tradizionali, costruendo un discorso incentrato sulla sovranità nazionale e sul rifiuto delle influenze esterne. Ex membro dell’Aur, il partito ultranazionalista che ha catalizzato le proteste contro Bruxelles e la Nato, Georgescu ha scelto nel 2022 di staccarsi dalla formazione per intraprendere una corsa solitaria verso la presidenza. Il suo messaggio si è fatto sempre più netto: nazionalismo radicale, sovranismo economico e una ferma opposizione alle alleanze occidentali, una narrativa che lo ha reso un simbolo di rottura con il sistema politico tradizionale.

Nonostante le accuse, nonostante la macchina giudiziaria si sia mossa contro di lui, Călin Georgescu resta una figura amata. Perché? La risposta sta nel suo modo di comunicare e nella capacità di intercettare le paure e le speranze di una parte del Paese. Ha costruito la sua popolarità con un linguaggio semplice, diretto, lontano dalle formule ingessate dei politici tradizionali: la Romania deve tornare padrona del proprio destino.

I suoi discorsi parlano alla pancia delle persone: la sovranità alimentare, il ritorno ai valori della tradizione ortodossa, la denuncia dell'”occupazione economica” da parte delle multinazionali. Insomma, Georgescu dice quello che molte persone vogliono sentire. A questo si aggiunge un elemento emotivo: l’orgoglio nazionale. Georgescu non parla solo di politica, ma di identità. Evoca un passato glorioso, rivendica le tradizioni, si presenta come il difensore della Romania autentica contro le forze che vogliono sradicarla. Questo tocco sentimentale lo rende un simbolo, quasi un profeta di un risveglio nazionale. Molti dei suoi sostenitori non credono necessariamente a tutte le sue posizioni, ma lo vedono come l’unico che ha il coraggio di sfidare il sistema. Ogni attacco della stampa internazionale, ogni accusa di fascismo o estremismo non fa che rafforzarlo. Georgescu incarna il sogno del riscatto per un elettorato che si sente tradito. Quando i media occidentali lo definiscono un pericolo, per molti rumeni diventa una prova del fatto che il sistema ha paura di lui.

A differenza dei suoi avversari, Georgescu ha capito il potenziale dei social media, in particolare TikTok. Il suo account ha registrato un’impennata impressionante prima del primo turno delle presidenziali: milioni di visualizzazioni, decine di video in cui corre su una pista d’atletica, si allena a judo, prega in chiesa o pronuncia discorsi infiammati. Le persone lo vedono come uno di loro, un uomo autentico, lontano dall’immagine dei tecnocrati di Bruxelles.

E poi c’è la sua visione geopolitica. Mentre il governo rumeno rafforza la sua posizione atlantista, lui guarda altrove. Non si definisce filorusso, ma ha espresso più volte ammirazione per Vladimir Putin, descritto come un leader forte e patriottico. Ha attaccato l’Unione Europea e la Nato, ritenendole strumenti di controllo straniero, e ha parlato di pace con una retorica che richiama apertamente le posizioni del Cremlino. Georgescu, infatti, è stato accusato di essere il volto di un’operazione di ingerenza russa nelle elezioni rumene. L’annullamento del ballottaggio presidenziale dopo la sua inaspettata vittoria al primo turno ha alimentato il sospetto che Mosca abbia manipolato la campagna elettorale a suo favore. Lui respinge ogni accusa, definendo la vicenda un golpe giudiziario orchestrato dalle élite occidentali per impedirgli di governare.

Il caso giudiziario: persecuzione o legittima difesa della democrazia?

Le accuse mosse contro Georgescu sono pesanti e potrebbero costargli la carriera politica. L’incitamento contro l’ordine costituzionale e la promozione di figure condannate per genocidio non sono semplici reati d’opinione: sono violazioni che, in un paese con una memoria storica complessa come la Romania, toccano corde molto sensibili.

Tuttavia, la gestione del caso non è stata esente da critiche. Il lungo interrogatorio, la decisione di metterlo sotto controllo giudiziario e impedirgli di lasciare il paese sono misure che, agli occhi dei suoi sostenitori, rafforzano la narrativa della persecuzione politica. Se l’obiettivo era fermarlo, il rischio è quello di farlo apparire come un martire.

A complicare le cose c’è il contesto internazionale. Il caso ha ormai varcato l’Atlantico, diventando terreno di scontro tra diverse visioni di democrazia e libertà d’espressione. Figure come Elon Musk e il vicepresidente americano JD Vance hanno espresso apertamente sostegno a Georgescu, criticando l’annullamento delle elezioni. L’affaire Georgescu può trasformarsi in un nuovo campo di battaglia tra sovranisti e globalisti, tra chi vede la Romania come un baluardo dell’Occidente e chi la immagina più autonoma e distante da Bruxelles.

Quello che è certo è che il destino di Călin Georgescu non si deciderà solo nei tribunali. La sua vicenda è ormai un simbolo di una frattura profonda nella società rumena. Per alcuni, è un visionario che sfida il potere. Per altri, un demagogo pericoloso. Ma in politica, si sa, le etichette contano poco: ciò che conta è il consenso. E quello, per ora, rimane saldo.

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