L’internazionale sovranista. Chi c’è nel partito europeo di Trump

Meloni unica leader Ue alla cerimonia di insediamento. Spiccava per la sua assenza Orbán, che sembra ridimensionato. Ecco chi sono gli alleati di Trump in Europa
3 settimane fa
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Trump insediamento cerimonia
Saul Loeb/Pool/Afp

“L’età dell’oro è appena iniziata”, ha promesso Donald Trump nel suo discorso inaugurale. La frase è riecheggiata anche in Europa, che come gli Stati Uniti sta assistendo a una rimonta delle forze politiche a destra del centro. “Il vento sta cambiando” è stato un ritornello di quelle forze al Parlamento europeo, dove in settimana si è discusso del nuovo presidente Usa in plenaria, con una varietà di declinazioni – dalle bordate contro la sinistra al “Make Europe Great Again” – ma con lo stesso senso di soddisfazione nel vedere un alleato politico insediarsi nella Casa Bianca.

Dunque la destra europea ha abbracciato Trump? Dipende. E soprattutto, a giudicare da chi c’era alla sua inaugurazione, l’abbraccio non sembra essere ricambiato in toto. La premier italiana Giorgia Meloni era l’unica leader di un Paese Ue presente alla cerimonia, che addirittura aveva anticipato con una visita a Mar-a-Lago – dopo cui Trump l’aveva definita una “donna fantastica”.

Da oltreoceano confermano la sintonia che c’è tra Meloni e il mondo Maga: come ha detto in un vodcast Adnkronos James Carafano, Senior Fellow del think tank di area trumpiana Heritage Foundation (gli autori del famigerato Project 2025), “negli anni a venire si parlerà di Meloni, Trump, Elon Musk, Narendra Modi e Xavier Milei come oggi si parla di Ronald Reagan, Margaret Thatcher e Giovanni Paolo II”.

Che è successo a Viktor Orbán?

Il premier ungherese spiccava per la sua assenza, cosa notevole per uno che ha “passato così tanto tempo a corteggiare il mondo Maga”, come sottolineava all’Adnkronos il saggista Thibault Muzergues riferendosi al movimento trumpiano Make America Great Again. Come aveva ammesso il portavoce di Orbán, Zoltán Kovács, “nessun rappresentante del governo ungherese ha ricevuto un invito ‘ufficiale’ all’insediamento del presidente americano”.

Questi e altri elementi fanno pensare che il bagno caldo in schiuma trumpiana che si aspettava il premier ungherese sia diventato una doccia fredda. Primo fra tutti il modo in cui Trump ha suggerito a Vladimir Putin di “trovare subito una soluzione a questa guerra ridicola”. In caso contrario, ha scritto il nuovo presidente, non avrà “altra scelta che introdurre tasse, dazi, e sanzioni di alto livello su qualsiasi cosa venduta dalla Russia agli Stati Uniti e a diversi altri Paesi partecipanti”.

Decisamente non la posizione che si aspettava il leader europeo più vicino al Cremlino. Sono i giorni in cui l’Ue deve rinnovare (e aumentare) le sanzioni sulla Russia, e come da copione Orbán aveva fatto intendere di voler porre il veto suggerendo di aspettare l’insediamento di Trump, memore delle sue aperture al presidente russo e certo che il cambio di rotta Usa avrebbe impattato anche la postura dell’Ue. Ma la minaccia di Trump a Putin ha raffreddato gli animi a Budapest: stando a Politico, che ha sentito cinque diverse figure coinvolte nei negoziati, Orbán sarebbe già pronto a cedere.

La lista degli invitati

Se la partecipazione all’inaugurazione è segnale di vicinanza politica, allora è facile determinare quali gruppi in Parlamento europeo siano già nelle grazie della Casa Bianca trumpiana: i Patrioti (di cui fa parte la Lega), i Conservatori e riformisti europei (Ecr, a cui appartiene Fratelli d’Italia) e l’Europa delle nazioni sovrane (Esn), guidato dai tedeschi di Afd. I partiti nazionali rappresentati a Washington: lo spagnolo Vox, l’ungherese Fidesz, il francese Rn, il portoghese Chega, il polacco PiS, il romeno Aur, il ceco Ano, il croato Domino, l’estone Ekre e il lettone Na, oltre ad AfD e FdI. Tutti compresi nell’arco che va dalla destra moderata (o in via di moderazione) all’ultranazionalismo.

Alla cerimonia di insediamento c’era Mateusz Morawiecki, ex primo ministro polacco, membro di spicco del Pis e da poco presidente del gruppo Ecr in sostituzione di Giorgia Meloni. C’erano anche diversi volti noti dall’area di destra nazionalista del Vecchio continente: il belga Tom Van Grieken, leader di Vlaams Belang (Patrioti); Santiago Abascal, presidente del partito spagnolo Vox (Patrioti); e Nigel Farage, a capo di Reform UK e architetto della Brexit.

C’era anche il francese Eric Zemmour, leader del partito francese Reconquête (Esn), ma non Marine le Pen di Rn, che insieme al suo delfino e presidente del partito Jordan Bardella hanno adottato una postura molto più cauta rispetto a The Donald (nonostante diversi membri di Rn abbiano partecipato alla cerimonia). E c’era anche Tino Chrupalla, co-leader di AfD insieme ad Alice Weidel (intervistata poco fa da Elon Musk sulla sua piattaforma social X).

A completare il quadro di leader di partiti europei: Martin Helme dell’estone Ekre, George Simion del romeno Aur e Andre Ventura del portoghese Chega. Tra gli invitati ma non presenti: il leader dell’Fpö Herbert Kickl, impegnato nella formazione del prossimo governo austriaco, e il capo del bulgaro Vazrazhdane Kostadin Kostadinov, oltre a Weidel.

Fuori dal coro: l’eurodeputato danese Anders Vistisen, che pur essendo membro del gruppo dei Patrioti ha mandato a quel Paese Trump dal Parlamento europeo per via delle sue mire sulla Groenlandia.