Concentrare o non concentrare, questo è il dilemma. Un recente studio della Direzione Generale della Concorrenza della Commissione europea stravolge la teoria dominante degli ultimi anni e tanto cara a Mario Draghi. Quella teoria che punta sul consolidamento delle imprese europea la strada per rendere l’economia comunitaria più competitiva a livello globale.
I report di Draghi e Letta sull’economia europea
Mentre esce il report della DG COMP aumentano le nubi sul report sulla competitività europea affidato dalla Commissione a Mario Draghi, anche perché la pubblicazione è stata nuovamente spostata, questa volta a settembre. Il suo contenuto è stato comunque anticipato al vertice di La Hulpe e condivide i pilastri di un altro report altrettanto importante anche se meno chiacchierato.
Infatti, negli stessi giorni in cui Ursula von der Leyen affidava all’ex presidente della Bce il report sulla competitività (settembre 2023), il Consiglio chiedeva ad Enrico Letta di preparare un dossier sul mercato interno europeo. A Bruxelles ci fida degli italiani, non c’è dubbio.
A differenza di quello draghiano, il dossier di Enrico Letta è stato già presentato al Consiglio in occasione del vertice del 18 aprile. Le considerazioni di base sono le medesime e sono ben riassunte dalle parole dell’ex premier dem: “È l’ultima finestra di opportunità per mettere fine alla frammentazione e agire insieme“. Non c’è bisogno di aspettare la pubblicazione del report di Draghi, invece, per conoscere la sua ricetta sulla competitività per due motivi: in primis perché la sua filosofia, complici i suoi diversi incarichi nazionali e comunitari, è ben nota, e poi perché il suo rapporto è stato parzialmente anticipato al vertice di La Hulpe.
Come il suo connazionale, anche l’ex governatore di Bankitalia ha indicato nel consolidamento la via per rilanciare la competitività europea, che sta perdendo terreno rispetto agli Usa: “il ripristino della nostra competitività non è qualcosa che possiamo ottenere da soli o battendoci a vicenda – spiega Draghi – Dobbiamo agire come Unione europea come non abbiamo mai fatto prima. I nostri rivali ci stanno battendo perché possono agire come un unico Paese con un’unica strategia e allineare tutti gli strumenti e le politiche necessarie”.
È soprattutto guardando agli Stati Uniti e alla Cina che l’Ue, secondo Draghi, deve cambiare rotta: “Le loro politiche sono progettate per reindirizzare investimenti verso le loro economie a scapito delle nostre; e, cosa peggiore, sono state pensate per renderci permanentemente dipendenti da loro”. Recentemente l’ex presidente della Bce ha esortato l’Ue ad usare l’arma dei dazi contro la concorrenza sleale cinese.
Nel frattempo l’economia europea sta perdendo terreno rispetto a quella americana, e (quasi) tutti concordano sulla necessità di un “cambiamento radicale”, auspicato da Draghi.
Quando però si passa al “come”, si palesa la spaccatura interna all’Ue: qual è la strada da seguire? Quella del consolidamento o, invece, quella di una maggiore concorrenza?
Le risposte che arrivano dal report del DG Comp “Protecting competition in a changing world: evidence on the evolution of competition in the EU during the past 25 years” potrebbero non piacere ai “consolidatori” e a chi punta sui campioni europei per rilanciare il Vecchio Continente. Di sicuro, il prossimo Commissario alla Concorrenza post Vestager non avrà vita facile.
Report DG Comp, serve più concorrenza
In quasi duecento pagine, il report della Direzione Generale della Competitività europea offre diversi spunti di riflessione sull’applicazione della concorrenza negli ultimi 25 anni, in Ue.
In questo lasso di tempo, sia la concentrazione di mercato che i mark-up (i margini di profitto) sono aumentati, anche se non hanno raggiunto i livelli degli Usa. La DG Comp invita a tenere distinte le dinamiche: non è detto che i margini di profitto siano aumentati perché è aumentata la concentrazione, anzi, a fronte dell’innovazione tecnologica la crescita dei mark-up è stata piuttosto modesta.
Gran parte dei risultati migliorativi può essere attribuita a due fattori principali:
- Cambiamenti strutturali: Le aziende stanno utilizzando meglio le tecnologie dell’informazione (IT) e beneficiando di una maggiore globalizzazione. Questi fattori hanno permesso alle imprese di diventare più efficienti e competitive, migliorando così il loro modo di creare valore e guadagnando una posizione di mercato dominante;
- Cambiamenti istituzionali: l’innalzamento delle barriere regolamentari ha reso più difficile per nuove imprese entrare nel mercato o competere con le imprese già esistenti. Queste barriere possono includere regolamentazioni più severe, costi di conformità elevati, o altre restrizioni che favoriscono le imprese già affermate.
Questo contesto non si traduce necessariamente in un maggior benessere generale dell’economia europea.
La teoria è ampiamente dimostrata dal fatto che in alcuni casi, come nel settore retail della Danimarca, si osservano prezzi più bassi nonostante un’alta concentrazione di mercato.
La rivelazione più tranchant del rapporto è che dal 2000 in poi l’indebolimento della concorrenza ha portato a un calo del PIL del 5-7%. Questo contrasta con l’idea di schermare i cosiddetti campioni europei dalla competizione, suggerendo invece che il successo internazionale si ottiene attraverso una forte concorrenza interna.
Il rapporto ricorda le forti e coerenti prove empiriche della letteratura economica secondo cui i settori che sperimentano una maggiore concorrenza mostrano una crescita della produttività più forte, mentre la concorrenza debole mina la crescita della produttività. La crescita della produttività a sua volta è il principale motore della competitività delle imprese europee e della crescita a lungo termine.
Il sondaggio tra gli imprenditori
A scanso di equivoci e scetticismi non sono i “burocrati di Bruxelles” a sostenere che serva più concorrenza (e non una contrazione), ma gli stessi imprenditori. Infatti, i risultati di un sondaggio incluso nel rapporto della DG Comp dimostrano che anche per le imprese esportatrici europee una concorrenza interna efficace all’interno del mercato unico è un importante motore della loro competitività globale nelle esportazioni.
L’80% delle aziende rispondenti conferma un impatto positivo percepito della concorrenza per gli input fisici. Gli “input fisici” si riferiscono ai materiali, alle risorse e ai beni tangibili che un’azienda utilizza nel processo di produzione dei suoi prodotti. Questo può includere materie prime, componenti, macchinari e altre risorse fisiche necessarie per la produzione di beni destinati alla vendita. La qualità e il costo di questi input fisici sono cruciali per la competitività di un’azienda, specialmente nei mercati di esportazione, poiché influenzano direttamente i costi di produzione e la qualità finale del prodotto.
Al contrario, solo una quota trascurabile del 9% dei rispondenti ritiene che la concorrenza a monte per gli input fisici non sia importante per il loro successo nelle esportazioni. Questo risultato supporta l’argomento secondo cui avere accesso a beni di input di qualità a prezzi bassi è un fattore importante per la capacità di un’azienda di essere competitiva sui mercati di esportazione. Seguendo la stessa logica, il 67% dei rispondenti evidenzia anche l’importanza significativa dei mercati di input competitivi per i servizi per il loro successo nelle esportazioni.
In altre parole, due su tre dei rispondenti al sondaggio indicano che affrontare la concorrenza diretta in patria è un fattore importante per essere un esportatore di successo, mentre solo una piccola parte (21%) dei rispondenti non vede un impatto importante della concorrenza diretta sul loro successo nelle esportazioni.
Come la concorrenza spinge la produttività
Il report dimostra che la concorrenza migliora la performance economica, sia a livello microeconomico che macroeconomico, agendo su vari canali. A livello microeconomico, la concorrenza può migliorare le performance aziendali influenzando tre aspetti principali: efficienza allocativa, efficienza produttiva ed efficienza dinamica.
Efficienza allocativa
La concorrenza permette un miglior utilizzo delle risorse disponibili. In un mercato competitivo, nuove imprese possono entrare e crescere mentre le imprese meno efficienti sono spinte a ridimensionarsi o a uscire dal mercato. Questo processo riduce il potere di mercato delle imprese già esistenti (incumbent) e le spinge a fissare prezzi più vicini ai costi effettivi di produzione. Così, i prezzi tendono a diminuire e l’allocazione di lavoro e capitale diventa più efficiente, migliorando la produttività complessiva del settore.
Efficienza produttiva
La concorrenza spinge le aziende a migliorare i loro metodi di produzione. All’interno delle imprese, manager e lavoratori hanno maggiori incentivi a riorganizzare il lavoro e a ottimizzare i processi per ridurre i costi e migliorare l’efficienza. Questo porta a una gestione più efficace delle risorse e a una maggiore produttività.
Efficienza dinamica
La concorrenza stimola le imprese a innovare. Sebbene il legame tra concorrenza e innovazione sia dibattuto, molti economisti concordano sul fatto che le pressioni competitive sono essenziali per creare incentivi all’innovazione. Innovare permette alle imprese di differenziare i loro prodotti, ottenendo un vantaggio sui concorrenti e migliorando la propria posizione di mercato. La relazione tra concorrenza e innovazione è spesso descritta come una curva a U rovesciata: troppa o troppo poca concorrenza può ridurre l’innovazione, ma un livello moderato di concorrenza può stimolarla.
In sintesi, la teoria economica suggerisce che la concorrenza rende le imprese più efficienti sia da un punto di vista statico che dinamico. In un contesto di concorrenza sana, queste efficienze maggiori (come mark-up più bassi e maggiore produttività) portano benefici ai consumatori sotto forma di prezzi più bassi, migliore qualità e prodotti più innovativi.
Gli effetti della concorrenza sui consumatori
Il report DG Comp spiega che l’impatto positivo della concorrenza a livello microeconomico, in termini di mark-up più bassi, maggiore produttività e prezzi più bassi, è un importante motore del benessere e della crescita a livello macroeconomico grazie all’impatto positivo sui consumatori finali, che in questo caso sono i cittadini europei.
Ci sono due canali principali attraverso cui un aumento della concorrenza può influenzare positivamente la performance macroeconomica:
- La riduzione dei mark-up e dei livelli dei prezzi stimola la domanda dei consumatori: per soddisfare questa maggiore domanda, le imprese investono nella capacità produttiva e assumono più lavoratori, portando a un aumento degli investimenti privati e dell’occupazione;
- la riallocazione delle risorse verso imprese più produttive e l’aumento dell’innovazione stimolano il dinamismo aziendale e la produttività, contribuendo alla crescita del PIL a lungo termine.
Altro che deregulation
Il rapporto della Direzione Generale della Concorrenza della Commissione europea riecheggia, almeno in parte quanto già visto su queste pagine con il paper The False Choice Between Digital Regulation and Innovation di Anu Bradford, l’autrice di Brussels Effect.
La teoria è che viene attribuita una eccessiva responsabilità alla regolamentazione europea, considerata ridondante (iper-regulation) e unica responsabile del ritardo economico e digitale dell’Ue rispetto agli Stati Uniti e alla Cina.
In quella occasiona Bradford ha sottolineato che il gap è provocato da altre quattro macro cause, praticamente ignorate nella discussione: l’eccessiva frammentazione regolamentare del mercato unico digitale; la frammentazione dei mercati finanziari; la rigidità delle norme fallimentari e l’incapacità di attrarre competenze.
Il paper non demonizza la regolamentazione, lo studio della DG Comp la esalta indirettamente perché la concorrenza, individuata dallo studio di Bruxelles come l’asset più importante per la competitività europea, ha bisogno di una regolamentazione complessa e rispettata da tutti gli operatori. Solo un mercato animato da più protagonisti, ricorda il rapporto, può avere effetti positivi sia sulla competitività europea che sull’economia interna.
D’altronde, i campioni diventano tali all’interno di una competizione. E la competizione ha bisogno di regole. Altrimenti i campioni rischiano di giocare da soli in un torneo senza premi.