“Affronteremo il tema dei dazi con determinazione e pragmatismo”, assicura la presidente del Consiglio italiano Giorgia Meloni nel suo videomessaggio condiviso durante il Congresso della Lega. Promette che verranno messi in campo “tutti gli strumenti – negoziali ed economici – necessari per sostenere le nostre imprese e i nostri settori che dovessero risultare penalizzati”, pur precisando che, dal suo punto di vista, la preoccupazione sui dazi imposti da Donald Trump è eccessiva: “Non ne farei la catastrofe che sto ascoltando in questi giorni che mi preoccupa paradossalmente più del fatto in sé”, ha detto Meloni.
Ben più preoccupante, per la premier, è la posizione dell’Ue a cui chiede “con forza” di “rivedere le normative ideologiche del Green Deal e l’eccesso di regolamentazione in ogni settore, che oggi costituiscono dei veri e propri dazi interni che finirebbero per sommarsi in modo insensato a quelli esterni”.
Green Deal, l’attacco di Meloni
Parlando dall’Amerigo Vespucci a Ortona, la presidente del Consiglio ha chiesto a Bruxelles di intervenire subito: “Forse dovremo ragionare di sospendere le norme sul Green Deal in tema di automotive, settore colpito dai dazi” di Trump, in vigore dal 2 aprile scorso. Dazi del 25% sulle importazioni di auto extra Usa, un’aliquota superiore a quel 20% che il commissario al Commercio Ue Maros Sefcovic aveva definito “devastante” per l’economia europea. Sugli altri beni esportati negli Usa, l’aliquota è proprio del 20%.
Da Bruxelles, a margine della ministeriale degli Esteri della Nato, il ministro Antonio Tajani ha ricordato che qualsiasi negoziazione con Washington spetta all’Ue: “La competenza del commercio internazionale è della Commissione Europea, quindi tratta il Commissario Sefcovic, ascoltando e confrontandosi con noi”. Il presidente Usa Donald Trump ha detto che potrebbe fare marcia indietro sui dazi solo nei confronti di quei Paesi che offrono “qualcosa di fenomenale“, il ministro Tajani si augura che “si possa arrivare a una riduzione della metà, cioè arrivare soltanto ad un aumento del 10% dei dazi“.
Bruxelles ha già sgonfiato il Green Deal
In questo contesto commerciale è lecito chiedersi che fine farà il Green Deal, anche se qualche indizio c’è già.
Quello più concreto riguarda proprio il settore automotive citato da Meloni. Come annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen, la Commissione europea proporrà un “emendamento mirato” alle norme sulle emissioni inquinanti dei veicoli, in modo da dare più tempo alle case automobilistiche per rispettarli. Nel secondo meeting nell’ambito del Dialogo strategico sul futuro dell’industria automotive europea si è discusso anche della “transizione verso una mobilità pulita. C’è una chiara richiesta di maggiore flessibilità sugli obiettivi di Co2. Il principio chiave è l’equilibrio: da un lato abbiamo bisogno di prevedibilità ed equità per i first mover, coloro che hanno svolto con successo i loro compiti”, e quindi “dobbiamo attenerci agli obiettivi concordati”, ha spiegato von der Leyen. Il rischio, più volte sottolineato da Bruxelles, è che una netta inversione di rotta finisca per penalizzare quelle aziende che hanno investito tanto e bene nella elettrificazione.
Dopo mesi di accesi dibattiti, Bruxelles ha aperto alle richieste delle imprese e di molti Paesi membri, Italia in primis: “dobbiamo ascoltare le voci e le parti interessate, che chiedono più pragmatismo, in questi tempi difficili, e neutralità tecnologica, specialmente se parliamo degli obiettivi del 2025 e delle relative sanzioni in caso di non conformità”.
La soluzione trovata da Bruxelles per sospendere le multe al settore auto consiste in un disallineamento temporale: “Per affrontare il problema in modo equilibrato, proporrò questo mese un emendamento mirato al regolamento sugli standard Co2: invece del rispetto annuale, le aziende avranno tre anni. Gli obiettivi rimangono gli stessi, devono rispettarli“.
Ma la revisione del Green Deal potrebbe andare ben oltre le auto, soprattutto dopo il ritorno di The Donald.
Le richieste del Ppe
Il 2025 si era già aperto con una chiara presa di posizione del Partito popolare europeo sul Green Deal. Dopo essersi riuniti a Berlino il 18 e 19 gennaio, i leader del Ppe hanno chiesto alla ‘loro’ Ursula von der Leyen di congelare per due anni le direttive Ue sulla rendicontazione della sostenibilità aziendale e sulla due diligence. La legislazione sulla sostenibilità aziendale “si sta rivelando eccessiva e onerosa, con immensi effetti a cascata per le Pmi europee”, si legge nel documento approvato a Berlino, nel quale si chiede chiede di congelare anche le norme “correlate” tra cui il regolamento sulla tassonomia e il meccanismo di adeguamento del carbonio alla frontiera (Cbam).
Il Ppe suggerisce di limitare per due anni l’applicazione di queste normative alle aziende con un organico superiore ai mille dipendenti. La proposta prevede anche una riduzione di almeno il 50% nei carichi di rendicontazione per le grandi aziende in modo da creare un ambiente normativo più chiaro e meno oneroso per tutte le imprese europee interessate. Per le Pmi, i Popolari chiedono di armonizzare le legislazioni attuali (che causano confusione e doppie rendicontazioni) e di eliminare gli effetti indiretti della legislazione ambientale su tutte le piccole e medie imprese europee.
La critica all’eccessiva regulation di Bruxelles è netta: “Negli ultimi tre anni abbiamo perso oltre 300.000 posti di lavoro nell’industria tedesca, anche a causa dell’eccessiva regolamentazione nazionale ed europea”, ha chiosato il leader della Cdu e con ogni probabilità prossimo cancelliere tedesco Friedrich Merz in conferenza stampa con il presidente del Ppe, Manfred Weber.
Proprio in quei giorni, Donald Trump si insediava alla Casa Bianca. Da allora, le preoccupazioni si sono moltiplicate.
Dazi, le stime dei danni e Meloni negli Usa
Domani pomeriggio, 8 aprile, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni riunirà la task force di ministri per valutare le ricadute dei dazi Usa settore per settore. Ci saranno i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia), Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy), Francesco Lollobrigida (Agricoltura e sovranità alimentare) e Tommaso Foti (Affari europei, il Sud, le politiche di coesione e per il Pnrr) e i vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini.
La premier ha ribadito che non basta la via “economica”, per reagire ai dazi di Trump serve anche quella “negoziale”, che significa dialoghi, telefonate, incontri vis a vis. Prima ancora che il vicepresidente americano JD Vance (18-20 aprile) atterri a Roma, la premier Meloni potrebbe fare il percorso inverso per trattare sui dazi.
La Casa Bianca avrebbe dato una disponibilità di massima a incontrare la presidente del Consiglio italiano nella prima metà della settimana pasquale. Una conferma in tal senso sarebbe il fatto che gli Usa non hanno ancora confermato il vertice intergovernativo con la Turchia, previsto il 16 e 17 aprile.
Visti gli ottimi rapporti con Donald Trump, Giorgia Meloni è sempre stata considerata l’unico ponte possibile tra l’Ue e gli Usa. Le prossime settimane diranno se sarà davvero così.