Il ‘barbecue’ europeo, come lo chiamano i giornali internazionali, è iniziato. Il vero e proprio ‘grill’, cioè le audizioni all’Europarlamento dei commissari proposti dagli Stati membri e organizzati nella nuova Commissione dalla sua presidente Ursula von der Leyen, partirà solo tra un mese, il 4 novembre. Ma la grigliata di fatto è stata avviata con la presentazione delle autodichiarazioni da parte dei candidati dei propri interessi finanziari e dunque di potenziali conflitti di interesse. Una fase essenziale per poter accedere alle audizioni.
La competente commissione per gli Affari legali dell’Europarlamento, Juri, ha iniziato questa settimana l’esame delle autodichiarazioni, e non è per niente contenta. Lo dimostra un dato semplice semplice: delle 26 documentazioni presentate, solo 3 hanno convinto i deputati (MEP).
Chi ha passato l’esame? Dubbi su Fitto
Chi sono i tre che hanno passato questo primo esame? Diciamo subito che tra essi non c’è Raffaele Fitto: si tratta invece dell’olandese Wopke Hoekstra, del polacco Piotr Serafin e dell’ungherese Olivér Várhelyi.
In 10 altri casi sono state chieste informazioni aggiuntive da produrre entro il 10 ottobre, data entro cui la Conferenza dei presidenti (che riunisce la presidente e i capigruppo europarlamentari) presenterà una serie di domande scritte, cui i commissari designati dovranno rispondere entro il 22 ottobre.
Infine, nel caso delle restanti 13 autodichiarazioni, sono state richieste informazioni aggiuntive e una nuova compilazione delle carte.
Chi sono invece i candidati più complessi? Per la co-capogruppo di The Left, la francese Manon Aubry, sarebbero Fitto, per delle partecipazioni immobiliari e per i procedimenti giudiziari non tutti chiusi; la portoghese Maria Luís Albuquerque, per una sua precedente collaborazione con Morgan Stanley; la slovena Marta Kos, per la sua attività con la società di consulenza Kreab, che ha clienti del calibro di Amazon.
Le critiche: un processo opaco e politicizzato
I MEP lamentano che le dichiarazioni presentate sono lacunose e scarne, ma in generale l’intero processo è stato contestato perché poco trasparente, tanto da essere stato definito da The Left (La sinistra) “una farsa totale, profondamente imperfetto e politicizzato e non riesce a tenere conto delle complessità dei potenziali conflitti di interesse”. Oltretutto si svolge a porte chiuse, il che agevola eventuali giochi politici.
Non solo: le dichiarazioni devono includere anche precedenti datori di lavoro, azioni di società, beni, coinvolgimento con think thank, partiti politici e ong, ma solo per se stessi, per il partener e per figli, escludendo gli altri membri della famiglia. Inoltre, i candidati hanno la libertà di scegliere se non inserire determinati dati se non li considerano potenziali conflitti di interesse.
La sinistra europea ha puntato il dito proprio sulla mancanza di approfondimento sul passato lavorativo dei candidati designati, perché rimangono zone d’ombra rispetto, ad esempio, ai clienti per cui il commissario in pectore ha lavorato: vengono dichiarati solo “gli interessi finanziari personali e quelli di coniugi, partner e figli minorenni: dunque, non possono essere esaminate altre situazioni potenzialmente problematiche come investimenti in aziende o ruoli di consulenza”, ha spiegato il gruppo in un nota. Juri in sostanza non ha “gli strumenti necessari per condurre una revisione efficace, affidandosi solo alle autodichiarazioni dei commissari designati, senza la possibilità di verificare l’accuratezza o la completezza di queste informazioni”.
“Il processo è opaco e imperfetto perché non fornisce gli strumenti e le informazioni necessarie ai membri della commissione per svolgere i compiti loro assegnati”, ha confermato Mario Furore, coordinatore per la sinistra in Juri.
Una commissione dalle armi spuntate, ma un commissario può cadere già in questa fase
In poche parole, Juri non ha i mezzi effettivi per portare avanti – e a termine – il proprio lavoro, e c’è da considerare anche il fattore tempo: i MEP hanno pochissimi giorni a disposizione per esaminare tutta la documentazione.
Va poi sottolineato che spesso è un discorso di sfumature: conoscere la situazione finanziaria attuale del candidato è sicuramente il punto di partenza; tuttavia, i conflitti di interesse sono molto più complessi da individuare, perché possono concretizzarsi in lavori, azioni, investimenti, dati in risposta alle decisioni che un politico prende.
Spesso è davvero difficile individuare un conflitto di interesse, e lo è ancora di più per Juri che può chiedere dettagli e documentazione ma non documenti privati, ovvero non ha mezzi né potere né risorse per condurre una vera indagine.
Inoltre, non c’è modo di confrontare la ricchezza di un commissario prima che assuma l’incarico e quando lo termina.
C’è anche un altro elemento da tenere in conto, di tipo politico: i MEP fanno parte di partiti e gruppi nell’Europarlamento, perciò sono portati a non sollevare troppi dubbi su un commissario designato in modo da evitare che vengano sollevate questioni sul proprio.
In tutto ciò, comunque, non è affatto scontato che un commissario passi. Nel 2019, ad esempio, non hanno passato questa fase la francese Sylvie Goulard, la romena Rovana Plumb e l’ungherese László Trócsányi.
Juri ora ha due settimane di tempo per emettere il primo verdetto per i candidati in pectore.