Una lampadina al neon illumina la redazione del Washington Post. Due giornalisti — interpretati da Dustin Hoffman e Robert Redford — interrogano una fonte, verificano un documento, incrociano i dati. È il 1976, “Tutti gli uomini del presidente” diventa il manuale cinematografico del giornalismo investigativo. Quarantanove anni dopo, mentre l’Europa scrive le regole per piattaforme, algoritmi e disinformazione, quel metodo — domandare, verificare, rendere conto — resta la bussola per navigare ecosistemi informativi sempre più complessi e, allo stesso tempo, sempre più fragili.
La morte di Robert Redford, avvenuta oggi, 16 settembre 2025 all’età di 89 anni, chiude un’epoca ed è l’occasione per riflettere sulla sua eredità cinematografica. L’attore che ha incarnato Bob Woodward ci lascia non solo l’iconografia del cronista che sfida il potere, ma una grammatica della verifica che l’Unione europea sta traducendo in norme, strumenti e policy per i suoi cittadini. Dal Digital Services Act ai programmi di alfabetizzazione mediatica, l’Europa costruisce le infrastrutture per quella “cittadinanza informata” che il film di Alan J. Pakula aveva reso popolare.
Anche se Oltreoceano, qualcuno non è d’accordo e ritiene la regolamentazione europea dannosa, oltre che eccessiva.
Il metodo che diventa norma
“Segui il denaro”, suggeriva Gola Profonda nel parcheggio sotterraneo. Suggerimento utile per ricostruire i flussi sospetti, come nello scandalo Watergate, ma non più sufficiente: oggi bisogna seguire (anche) gli algoritmi delle piattaforme, i veri protagonisti che influenzano la nostra vita e le nostre scelte. Chi decide cosa vediamo nelle nostre timeline, quali criteri orientano le raccomandazioni, quanto costa far girare un contenuto sponsorizzato? Il Digital Services Act, entrato in vigore nel 2024, obbliga le grandi piattaforme a rispondere rendendo trasparenti i meccanismi che amplificano o riducono la visibilità delle informazioni e dei contenuti.
Il principio è lo stesso di quello descritto in “Tutti gli uomini del presidente”: rendere visibili i processi decisionali che influenzano l’opinione pubblica. Non a caso, Elon Musk, proprietario di X, si è scontrato più volte con Bruxelles.
Woodward e Bernstein dovevano convincere le fonti a parlare, l’Ue impone alle tech company di “parlare” attraverso report di trasparenza, algoritmi spiegabili e strumenti di controllo per gli utenti. Il regolamento prevede sanzioni fino al 6% del fatturato globale per chi non rispetta gli obblighi di trasparenza. Una prospettiva invisa al presidente americano Donald Trump, che promette sanzioni contro chiunque applichi il Dsa.
Parallelamente, il Digital Markets Act disciplina i “gatekeeper” dell’informazione — Google, Meta, Apple, Amazon — impedendo pratiche che distorcono la concorrenza nell’ecosistema delle notizie. È il corrispettivo normativo della domanda centrale del film: chi controlla l’informazione e come?
L’European Media Freedom Act: tutelare chi domanda
L’European Media Freedom Act (Emfa), approvato nel 2024, estende la protezione ai giornalisti europei con strumenti che Woodward e Bernstein potevano solo sognare. Sia per questioni di tempo, che per questioni di spazio, essendo gli Stati Uniti molto meno interessati alla regolamentazione.
Il regolamento vieta le “Strategic Lawsuits Against Public Participation” (Slapp), cause legali intimidatorie usate per mettere a tacere inchieste scomode. Nonostante ciò, nel 2023, Reporter Senza Frontiere ha documentato 916 attacchi legali contro cronisti nell’Ue, il 34% in più rispetto al 2022, segno che non si può abbassare la guardia.
L’Emfa introduce anche garanzie per la protezione delle fonti giornalistiche, rendendo più difficile per governi e aziende accedere ai dati di comunicazione tra reporter e informatori. È la versione digitale della segretezza che proteggeva Gola Profonda: nell’era della sorveglianza tecnologica, servono tutele specifiche e moderne per chi racconta verità scomode.
Il regolamento prevede inoltre meccanismi di allerta rapida quando l’indipendenza dei media è a rischio in uno Stato membro, con possibili procedure d’infrazione per chi non rispetta gli standard europei. La lezione di Watergate — che il giornalismo indipendente è un bene pubblico da proteggere — trova così traduzione normativa nell’architettura istituzionale dell’Unione.
Gli attacchi ai giornalisti in Ue
Secondo uno studio del Parlamento europeo sui casi aperti tra gennaio 2022 e agosto 2023, sono state documentate 47 azioni legali contro 102 convenuti, con l’Italia che concentra il 25,5% dei casi totali e il 44,1% delle azioni rivolte direttamente contro singoli giornalisti. La Piattaforma del Consiglio d’Europa per la sicurezza dei giornalisti ha registrato 285 avvisi per gravi minacce nel 2023, mentre la Coalizione Europea anti-Slapp documenta un’escalation preoccupante: dai 570 casi del 2022 agli 820 del 2023, con un incremento del 44% che dimostra come l’intimidazione legale sia diventata strumento sistematico contro il controllo democratico dell’informazione.
Cittadinanza digitale, Robert Redford e l’importanza di avere dubbi
L’eredità più profonda del film di Pakula non sta nell’eroismo dei protagonisti, ma nella pedagogia del dubbio che trasmette al pubblico. Ogni scena insegna un gesto: confrontare le versioni, cercare documenti, identificare i conflitti d’interesse. L’Europa sta sistematizzando questo approccio attraverso programmi di alfabetizzazione mediatica che raggiungono scuole, biblioteche e centri per l’impiego.
Il Digital Education Action Plan 2021-2027 della Commissione europea include moduli specifici per insegnanti su competenze digitali e verifica delle fonti, mentre la rete eTwinning ha lanciato seminari dedicati alla formazione professionale dei docenti sulla media literacy. L’obiettivo non è creare giornalisti, ma cittadini capaci di applicare un metodo critico al consumo quotidiano di informazioni.
Secondo l’indagine condotta da Eurobarometro nella fascia 16-30 anni, i social media sono la principale fonte di informazione sulle questioni politiche e sociali per quasi un giovane su due. La piattaforma più utilizzata (anche) a tal fine è Instagram (47%), seguita da TikTok (39%). Chiude la classifica X (ex Twitter) che è utilizzata solo dal 21% del campione. In Italia l’utilizzo di Instagram come fonte di notizie è di ben 12 punti percentuali superiore rispetto alla media Ue (59%), mentre scende la percentuale di TikTok (35%, – 4 punti rispetto alla media dei Venisette).
Il 76% dichiara di essere venuto a contatto con informazioni false o fuorvianti negli ultimi sette giorni (l’indagine è stata pubblicata lo scorso marzo) ma, allo stesso tempo, il 70% è fiducioso di saper riconoscere le fake news.
Il rapporto evidenzia un altro dato interessante: il 57% degli intervistati ha utilizzato strumenti di intelligenza artificiale per generare contenuti. Nulla di strano, purché si resti nell’ambito della verità. In tal senso il pericolo è dietro l’angolo, come dimostra la vicenda di Margaux Blanchard (pseudonimo di Tim Boucher), l’uomo che ha mandato in tilt diverse testate importanti facendo creare all’Ai notizie del tutto inventate.
Per approfondire: Notizie fake: rilanciate da importanti testate, ma inventate con l’Ai
Insomma, i cittadini devono imparare a gestire una nuova era della comunicazione, dove diventa sempre più difficile distinguere le notizie false da quelle vere.
I programmi Ue puntano a rafforzare queste competenze attraverso l’Italian Digital Media Observatory (Idmo) che monitora la disinformazione generata con l’Ai e offre strumenti di verifica per cittadini ed educatori.
L’approccio europeo si distingue da quello americano sia per l’importanza data alla verifica delle fonti che per l’enfasi sulla dimensione collettiva. L’Ue, infatti, non punta solo sulle competenze individuali, ma cerca di creare reti territoriali di verifica: biblioteche civiche, associazioni di categoria e redazioni locali collaborano in “hub di trasparenza” che offrono servizi di controllo delle notizie a livello regionale.
Le inchieste nell’era delle piattaforme
Il giornalismo investigativo europeo ha imparato a usare gli strumenti digitali mantenendo il metodo analogico di Woodward e Bernstein. La differenza rispetto agli anni ’70 sta nella scala e nella velocità. Dove Woodward e Bernstein lavoravano su documenti cartacei per mesi, oggi i consorzi internazionali processano terabyte di dati in settimane, utilizzando algoritmi per identificare pattern sospetti e piattaforme crittografate per proteggere fonti e collaboratori.
I ‘Pandora Papers‘ (2021) e gli ‘FinCEN Files‘ (2020) sono nati dalla collaborazione tra centinaia di giornalisti coordinati dall’International Consortium of Investigative Journalists con sede a Washington. L’Europa contribuisce a questa evoluzione con l’European Centre for Press and Media Freedom (Ecpmf), organizzazione non-profit fondata nel 2015 con sede a Lipsia che monitora le violazioni della libertà di stampa e coordina supporto legale transfrontaliero per cronisti europei.
Il modello si ispira alle redazioni integrate del Post degli anni ’70, ma su scala continentale: team multidisciplinari che combinano competenze giornalistiche, tecniche e legali per aggirare i tentativi di censura o intimidazione.
L’European Centre for Press and Media Freedom (Ecpmf), parte del consorzio Media Freedom Rapid Response, ha documentato nel 2024 un totale di 1.548 violazioni della libertà di stampa in 35 Paesi europei, che hanno colpito 2.567 persone o entità legate ai media — un aumento allarmante rispetto alle 1.153 violazioni registrate nel 2023. Il centro coordina il monitoraggio attraverso la piattaforma Mapping Media Freedom e collabora con European Federation of Journalists e International Press Institute, offrendo supporto legale e advocacy per proteggere cronisti e operatori dell’informazione in tutta Europa
“Tutti gli uomini del presidente”: la checklist del cittadino informato
L’eredità operativa di “Tutti gli uomini del presidente” si può riassumere in sei domande che ogni europeo dovrebbe fare di fronte a una notizia:
Chi parla? Identificare l’autore, la testata, i finanziatori. Le nuove regole Ue obbligano i media online a dichiarare proprietà e fonti di ricavo;
Quale prova? Distinguere tra fatti verificabili e opinioni. Cercare documenti, dati, testimonianze dirette;
Chi finanzia? Capire chi paga per la produzione e diffusione del contenuto. Motivi per cui il Dsa richiede trasparenza su pubblicità e contenuti sponsorizzati;
Chi verifica? Controllare se altre fonti indipendenti confermano la notizia. Usare i fact-checker certificati dalla rete europea Edmo;
Chi risponde? Verificare se chi fa affermazioni è disponibile a spiegarle pubblicamente e ad assumersi responsabilità.
Quale interesse? Analizzare chi beneficia dalla diffusione di quella specifica narrazione.
Questa griglia, applicata sistematicamente, trasforma il consumo passivo di informazioni in un’attività civica attiva. La risposta al pericolo deepfake non può essere una diffidenza quasi nichilistica, ma sviluppare quella “curiosità organizzata” che il film di Pakula ha reso iconica e che le istituzioni europee stanno tentando di rendere strutturale.
La lampadina al neon della redazione del Post si è spenta con Robert Redford, ma, come tutte le grandi opere umane, il metodo resta vivo in eterno. D’altronde, era lui stesso a chiedere un futuro migliore: “Ogni generazione – disse l’attore e regista americano durante il Festival di Venezia 2012 – ha la possibilità di diventare guida del proprio tempo. Mi rattrista vedere che la mia sia così corrotta da non cogliere questa opportunità che poi è anche un dovere che abbiamo rispetto ai giovani di oggi: dovremmo lasciare in eredità qualcosa di buono piuttosto che un mondo che sta marcendo“.