Migranti in Europa, tra la sentenza Italia-Albania e il duello Sea Watch-Frontex si inserisce la svolta “autoritaria” di Berlino

La sentenza della Corte Ue: “Paesi sicuri” solo con controllo giurisdizionale
17 ore fa
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Albania, centro migranti di Gjader (Antonio Sempere/Ipa/Fotogramma)
Albania, centro migranti di Gjader (Antonio Sempere/Ipa/Fotogramma)

La gestione europea dei flussi migratori torna al centro del dibattito internazionale, evidenziando la necessità di garantire diritti e trasparenza. La Corte di giustizia dell’Unione europea ha richiamato l’Italia sul rispetto delle garanzie giuridiche per i migranti.

La sentenza espressa a Lussemburgo riguarda la definizione di “Paesi Terzi considerati sicuri” e, in particolare, i centri di detenzione per migranti in Albania, stabilendo che la designazione di un Paese come “sicuro” deve poter “essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo”.

La sentenza europea su Italia-Albania

La vicenda è nata dal ricorso di due cittadini del Bangladesh, soccorsi in mare e trasferiti in uno di questi centri in Albania nel quale la richiesta di protezione internazionale era stata respinta, in quanto infondata, con la motivazione che il Bangladesh è considerato “sicuro”.

Il Tribunale ordinario di Roma, al quale si erano rivolti i due cittadini, si è a sua volta rivolto alla Corte di Giustizia per chiarire l’applicazione del concetto di Paese di origine sicuro e gli obblighi degli Stati membri in materia di controllo giurisdizionale effettivo. Il giudice sostiene che, contrariamente al regime precedente, l’atto legislativo dell’ottobre 2024 non precisa le fonti di informazione sulle quali il legislatore italiano si è basato per valutare la sicurezza del Paese.

Pertanto, sia il richiedente sia l’autorità giudiziaria si troverebbero privati della possibilità, rispettivamente, di contestare e controllare la legittimità di questa presunzione di sicurezza, esaminando in particolare la provenienza, l’autorità, l’affidabilità, la pertinenza, l’attualità e l’esaustività delle fonti. La Corte risponde che il diritto dell’Unione non osta a che uno Stato membro proceda alla designazione di un Paese terzo quale Paese di origine sicuro mediante un atto legislativo, purché la designazione possa essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo.

I giudici hanno anche chiarito che uno Stato membro non può designare come “sicuro” un Paese terzo che non soddisfi le condizioni sostanziali per talune categorie di persone, almeno fino all’entrata in vigore del nuovo regolamento Ue, prevista per il 12 giugno 2026, che permetterà eccezioni solo per “categorie di persone chiaramente identificabili“.

La risposta di Palazzo Chigi

“Sorprende la decisione della Corte di Giustizia Ue in merito ai Paesi sicuri di provenienza dei migranti illegali – scrive in una nota Palazzo Chigi -. Ancora una volta la giurisdizione, questa volta europea, rivendica spazi che non le competono, a fronte di responsabilità che sono politiche”.

“La Corte di Giustizia Ue – prosegue il comunicato – decide di consegnare a un qualsivoglia giudice nazionale la decisione non sui singoli casi, bensì sulla parte della politica migratoria relativa alla disciplina dei rimpatri e delle espulsioni degli irregolari. Così, ad esempio, per l’individuazione dei cosiddetti Paesi sicuri fa prevalere la decisione del giudice nazionale, fondata perfino su fonti private, rispetto agli esiti delle complesse istruttorie condotte dai ministeri interessati e valutate dal Parlamento sovrano. È un passaggio che dovrebbe preoccupare tutti – incluse le forze politiche che oggi esultano per la sentenza – perché riduce ulteriormente i già ristretti margini di autonomia dei Governi e dei Parlamenti nell’indirizzo normativo e amministrativo del fenomeno migratorio”.

“La decisione della Corte indebolisce le politiche di contrasto all’immigrazione illegale di massa e di difesa dei confini nazionali. È singolare che ciò avvenga pochi mesi prima della entrata in vigore del Patto Ue su immigrazione e asilo, contenente regole più stringenti, anche quanto ai criteri di individuazione di quei Paesi: un Patto frutto del lavoro congiunto della Commissione, del Parlamento e del Consiglio dell’Unione europea. Il Governo italiano – conclude Palazzo Chigi – per i dieci mesi mancanti al funzionamento del Patto europeo non smetterà di ricercare ogni soluzione possibile, tecnica o normativa, per tutelare la sicurezza dei cittadini”.

Il protocollo Italia-Albania

Il protocollo Italia-Albania, firmato nel 2023, consente il trasferimento in Albania di migranti soccorsi in mare, la gestione italiana dei centri e procedure accelerate per le domande d’asilo. Tuttavia, la sentenza europea ne ha messo in discussione la legittimità.

I centri in Albania sono rimasti in gran parte vuoti e sono stati soggetti a critiche internazionali per gli elevati costi di gestione: un rapporto dell’Università di Bari Aldo Moro, realizzato in collaborazione con Action Aid, riporta costi operativi pari a 114mila euro al giorno per appena cinque giorni di attività nel 2024 e spese di costruzione di oltre 153mila euro per posto letto, contro i 21mila euro in Italia.

Il sistema albanese, secondo i ricercatori, funziona solo al 46% della sua capacità ed è considerato “irrazionale”, nonostante l’obiettivo governativo di renderlo più efficiente. Gli autori del rapporto hanno sottolineato come trattenere le persone aumenti solo i costi, con un minimo storico di rimpatri (10,4%) nel 2024. L’intero sistema di detenzione italiano ha superato i 96 milioni di euro nel 2024, portando alla conclusione che i suoi costi siano “fuori controllo”.

“L’utilizzo della detenzione come strumento della politica d’asilo segna un cambio di paradigma epocale, che pone gravi interrogativi circa gli obiettivi di uno strumento così impattante sui diritti fondamentali delle persone – ha dichiarato Giuseppe Campesi, professore ordinario di Filosofia e sociologia del Diritto presso il Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari-. Interrogativi che hanno trovato un riflesso diretto nella crescita significativa delle uscite per mancata convalida o proroga del provvedimento di trattenimento da parte dell’autorità giudiziaria”.

Nonostante ciò, i centri albanesi sono considerati dai rappresentati delle istituzioni europee un “modello da seguire” sulla gestione dell’immigrazione.

Le denunce di Sea-Watch: “Due bambini morti, Frontex è arrivata tardi”

La sentenza di oggi arriva parallelamente alle denunce della Ong tedesca Sea-Watch secondo la quale, al largo di Lampedusa, si sarebbe consumata l’ennesima omissione di soccorso: in un tragico evento del 28 luglio, un’imbarcazione con circa 100 migranti è rimasta in mare per tre giorni prima di essere soccorsa dal mercantile Port Fukouka. Durante il salvataggio, l’imbarcazione si è capovolta, provocando la morte di due bambini e la dispersione di una persona.

Sea-Watch accusa le autorità italiane di aver impedito l’intervento di una propria nave e Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, di essere intervenuta con sei ore di ritardo e di non aver prestato soccorso diretto. Frontex ha respinto le accuse, sostenendo di aver fornito coordinamento aereo e supporto. “Le affermazioni della ong sono false: gli aerei di Frontex erano presenti prima, durante e dopo il salvataggio, fornendo coordinamento aereo in tempo reale, supportando l’equipaggio della nave e contribuendo a salvare vite umane”. Quando il natante si è capovolto, “uno dei nostri equipaggi ha lanciato un mezzo di salvataggio per aiutare i sopravvissuti in acqua”. Per Frontex “96 persone sono state salvate, mentre tragicamente due persone hanno perso la vita. Il supporto aereo ha fatto la differenza in una situazione disperata”.

L’Italia non è la sola: la svolta migratoria della Germania

L’Italia non è l’unico Paese a navigare in acque turbolente sul fronte migratorio. Anche la Germania, storicamente un baluardo del sistema di asilo post-bellico, ha compiuto una netta inversione di rotta sulla questione migratoria sotto il nuovo Cancelliere Friedrich Merz.

Mentre in passato i governi tedeschi cercavano di moderare le spinte più intransigenti in Europa, ora Berlino mira a guidare la carica anti-immigrazione del Continente. Questa nuova volontà di leadership tedesca è destinata ad accelerare la virata a destra dell’Ue sulle politiche migratorie.

Il ministro degli Interni tedesco, Alexander Dobrindt, ha chiarito la nuova posizione del suo Paese ospitando i suoi omologhi di Austria, Danimarca e Polonia (nazioni con posizioni rigide sull’immigrazione) sulla Zugspitze, la montagna più alta della Baviera. Lì, a quasi 3.000 metri, Dobrindt ha dichiarato: “Vogliamo mettere in chiaro che la Germania non è più in cabina di frenata quando si tratta di questioni migratorie in Europa, ma fa parte della forza trainante“. Questa posizione è stata accolta positivamente a Bruxelles, con il Commissario Ue per la Migrazione, Magnus Brunner, che ha espresso al quotidiano Politico la propria soddisfazione per il sostegno tedesco all’attuazione delle proposte della Commissione: “Sono molto lieto che il governo tedesco abbia scelto questa strada e stia sostenendo fermamente la Commissione nell’attuazione delle proposte che abbiamo presentato”.

La volontà di Merz di anteporre gli interessi tedeschi alla coesione europea, però, è emersa poco dopo l’insediamento del suo governo, che ha drasticamente rafforzato i controlli alle frontiere nazionali, irritando i vicini, in particolare il governo polacco. Inoltre, sul fronte di cooperazione internazionale non sembra essere disposto ad aiutare i Paesi di prima accoglienza che affacciano sul Mediterraneo promuovendo politiche in linea con il concetto di sovranità nazionale.

In sintesi, la nuova leadership tedesca nelle politiche migratorie, il controllo giurisdizionale dell’Ue sulle pratiche di esternalizzazione, e le continue tragedie umanitarie in mare delineano una crisi multidimensionale. L’Europa si trova di fronte alla sfida di bilanciare la gestione dei flussi migratori con la necessità di garantire i diritti fondamentali e la trasparenza, in un contesto in cui la scelta tra una politica di deterrenza e una di protezione è sempre più pressante.