Le sanzioni imposte due settimane fa dal presidente Usa Donald Trump contro il petrolio russo forse non preoccupano Mosca, secondo quanto affermato dal portavoce del governo, ma sicuramente stanno mettendo in difficoltà i Paesi che dalla Russia ancora dipendono energeticamente. Mentre Trump tenta di colpire Putin, infatti, colpisce anche governi ‘amici’, che spesso si rifanno a lui come modello.
Ungheria chiede esenzione, ma nel futuro c’è la Croazia
Primo fra tutti l’Ungheria. Il premier Viktor Orbán ha già detto che il 7 novembre, quando incontrerà a Washington il tycoon, gli parlerà per ottenere una dispensa per il proprio Paese. Il motivo è presto detto: “Per ottenere l’esenzione dalle sanzioni, è importante che gli Stati Uniti comprendano le difficoltà legate alla nostra posizione geografica”, ovvero quella di un Paese senza sbocco sul mare che dunque “dipende dai sistemi di oleodotti”.
Per ora tuttavia non sembra che a Trump le richieste di Orbán interessino molto. Venerdì scorso, dall’Air Force One, il presidente americano ha detto ai giornalisti che il leader magiaro è un amico ma che non concederà esenzioni.
Orbán ha comunque dichiarato che Budapest sta lavorando anche a come “aggirare” le misure decise dalla Casa bianca. Ma la realtà è che il governo si trova sempre più costretto a doversi rivolgere alla Croazia. Quella Croazia evitata da anni, accusata di aver aumentato il prezzo del petrolio e dunque di trarre profitto dalla guerra in Ucraina. Zagabria nega e afferma di essere pronta e in grado di fornire energia all’Ungheria.
Anche la Bulgaria valuta di chiedere esenzioni
Anche la Bulgaria, cha ha già proceduto a una transizione dalla dipendenza dal petrolio e dal gas russo senza veder aumentare il costo dell’energia, sta ora valutando di chiedere l’esenzione dalle sanzioni, secondo quanto riportato da Politico da fonti mantenute anonime e non confermate ufficialmente dal governo.
La sua raffineria di Burgas, infatti, è di proprietà della Lukoil, e il suo futuro sembra molto in bilico. L’impianto fornisce fino all’80% del carburante bulgaro e, secondo il governo, se smettesse di funzionare potrebbero verificarsi carenze di carburante e di conseguenza proteste populiste che sposterebbero in senso filo-russo il Paese.
La raffineria peraltro, in passato, è stata collegata ad operazioni per aggirare le sanzioni europee, arrivate al 19mo pacchetto, il quale abbraccia anche, ma non solo, il tema energetico.
Le sanzioni Usa
Trump ha sanzionato i colossi russi del petrolio Rosneft (statale) e Lukoil (privata), il che potrebbe comportare per le due aziende la vendita di asset internazionali, l’interruzione delle forniture verso l’Europa, e l’imposizione di sanzioni secondarie a chi compra da loro. Un rischio che oltre ai Paesi dell’Europa centrale riguarda anche India e Cina. Rosneft e Lukoil rappresentano circa due terzi dei 4,4 milioni di barili di greggio esportati ogni giorno dalla Russia.
La Casa bianca è arrivata alle sanzioni dopo averle minacciate a vuoto più volte, e dopo aver annullato un controverso vertice tra Trump e Putin che si sarebbe dovuto tenere proprio a Budapest. “Dato il rifiuto del presidente Putin di porre fine a questa guerra insensata, il Tesoro sta sanzionando le due maggiori compagnie petrolifere russe”, ha comunicato il Tesoro su X annunciando la misura e chiarendone gli obiettivi: “Aumentare la pressione sul settore energetico russo e degradare la capacità del Cremlino di aumentare le entrate per la sua macchina da guerra e sostenere la sua economia indebolita”.
Il phase out dell’Unione europea
Quanto all’Ue, dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia il blocco ha cercato di svincolarsi dalla dipendenza energetica nei confronti di Mosca. E in effetti quasi tutte le Capitali si sono mosse in tal senso. Secondo i dati della Commissione, le importazioni di petrolio russo sono scese dal 26% nel 2021 a meno del 3% nel 2025, mentre il 19 ottobre il blocco ha approvato il divieto di importare dalla Federazione gas, sia via gasdotto sia gas naturale liquefatto (Gnl), a partire dal 1° gennaio 2028.
Contrarie Ungheria e Slovacchia, che in questi ultimi anni hanno invece continuato a importare da Mosca. Budapest ha anzi aumentato la quota di petrolio russo nel suo mix energetico, passando dal 61% pre-guerra in Ucraina all’86% nel 2024. Orbán ripete che per il suo Paese abbandonare la fornitura russa aprirebbe la strada a un aumento indiscriminato dei prezzi e a una crisi economica.
Tuttavia, alcune analisi, tra cui quella condotta dal Center for the Study of Democracy e dal Centre for Research on Energy and Clean Air (Crea), sostengono che l’Ungheria, come la Slovacchia, avrebbero a disposizione alternative rispetto al petrolio e al gas di Mosca, ma che si rifiutano di sfruttarle.
Nel 2022 l’Ue aveva concesso ai Paesi dell’Europa centrale (Ungheria, Slovacchia e Repubblica Ceca), un’esenzione dal divieto di importazione di petrolio greggio russo per dare loro più tempo per trovare altre fonti di approvvigionamento. Questo, come abbiamo visto, non è stato fatto, mentre il veto all’approvazione delle misure europee è stato usato come arma per ottenere concessioni su altri temi. Anche la Slovacchia, peraltro, sta valutando di chiedere l’esenzione dalle sanzioni americane.
Eliminazione dell’energia russa in Ue: una mano da Trump
Insomma, le sanzioni di Trump potrebbero dare la spinta decisiva al phase out europeo dai combustibili fossili russi, dando un’involontaria mano al blocco nel superare l’opposizione di Budapest e Slovacchia.
D’altronde due mesi fa il tycoon aveva criticato l’Europa per continuare ad importare greggio dalla Russia, alimentando di fatto l’aggressione dell’Ucraina. Aggiungendo chiaro e tondo: “Sono pronto a imporre sanzioni severe alla Russia quando tutti i Paesi della Nato si saranno messi d’accordo iniziando a fare la stessa cosa, e smetteranno di acquistare petrolio dalla Russia“.
La presidente della Commissione Ursula von der Leyen in questi giorni ha annunciato la prossima introduzione di nuove tariffe sul petrolio russo, nel tentativo di accelerarne l’eliminazione, e di stare valutando a possibilità di vietare le transazioni con Lukoil.
Lukoil in crisi?
Quanto alle due aziende colpite, Rosneft nel 2022 è stata in gran parte espropriata in Europa, con la Germania che ha assunto il controllo della sua filiale locale alla fine di quell’anno.
Per Lukoil, che gestisce centinaia di stazioni di servizio in Europa e importanti raffinerie in Romania e Bulgaria, oltre a fornire petrolio a Ungheria e Slovacchia, le sanzioni Usa potrebbero essere catastrofiche, secondo un ex dirigente dell’azienda citato da Politico, con un impatto che può arrivare anche al 20% del suo fatturato.
Secondo alcuni analisti, tuttavia, la Russia nel tempo ha messo in piedi un sistema per aggirare le sanzioni europee tramite una flotta ombra, intermediari e società di comodo, per cui le misure americane potrebbero alla fine rivelarsi meno fatali del previsto.
Ma intanto, giovedì scorso la società energetica finlandese Neste ha sospeso le forniture di carburante a Teboil, controllata di Lukoil, mentre in Romania il colosso dovrà vendere la sua raffineria Petrotel. Stessa sorte per l’impianto olandese Zeeland Refinery NV, situata a Vlissingen-Oost, e per il bulgaro Neftochim, che “dovrà interrompere l’attività il 21 novembre”, a meno che non venga ceduta.
Lunedì in una nota stampa Lukoil ha informato che, “a seguito dell’introduzione di misure restrittive nei confronti della società e delle sue controllate da parte di alcuni Stati, la società annuncia l’intenzione di vendere le proprie attività internazionali. È stata avviata la valutazione delle offerte da parte di potenziali acquirenti”.
