Genocidio di Srebrenica, chi rompe il fronte Ue

Una risoluzione Onu ha istituito la Giornata della memoria del genocidio di Srebrenica, ma tre Paesi Ue hanno votato contro
2 mesi fa
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Memoriale del genocidio di Srebrenica
Memoriale del genocidio di Srebrenica

Ha delle inevitabili ricadute europee, il voto contrario dell’Ungheria di Orban nella risoluzione, comunque passata, con cui l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha istituito l’11 luglio la Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica.

84 Paesi hanno votato a favore, 68 quelli astenuti (22 invece non hanno votato), mentre 19 hanno votato contro la risoluzione. Tra questi, l’Ungheria di Orban (ma anche Grecia e Slovacchia) che da anni sta portando avanti una politica di strette relazioni diplomatiche con il serbo-bosniaco Dodik e con il presidente serbo Vučić, anche lui da sempre vicino alle aspirazioni secessioniste della Republika Srpska.

I tre leader sono accomunati dalle posizioni poco atlantiste sulla Russia e sulle sanzioni internazionali: da quella più ‘morbida’ di Orbán (membro dell’Ue) a quella ‘non-allineata’ di Vučić, fino a quella apertamente contraria di Dodik. Fratture che rischiano di mettere a repentaglio il percorso di Sarajevo verso l’ingresso nell’Ue, nonostante la decisione del Consiglio Europeo dello scorso 21 marzo di avviare i negoziati di adesione.

La rappresentante permanente della Germania presso le Nazioni Unite, Antje Leendertse, ha precisato che la risoluzione dello scorso 23 maggio “non è diretta contro nessun Paese, ma contro chi ha perpetrato il genocidio”, ma il presidente della Serbia, Aleksandar Vučić, ha comunque definito “altamente politicizzata” la risoluzione, minacciando di aprire il vaso di Pandora, in particolare per quanto riguarda il separatismo del presidente e alleato della Republika Srpska (l’entità a maggioranza serba della Bosnia ed Erzegovina), Milorad Dodik.

Avvolto in una bandiera serba, Vucic si è opposto a una decisione che, sostiene, “condanna senza riserve” qualsiasi negazione del genocidio di Srebrenica come evento storico, così come le “azioni che glorificano coloro che sono stati condannati per crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio dai tribunali internazionali”, e che chiede a tutti gli Stati membri di sviluppare “programmi appropriati” anche nei sistemi educativi “per prevenire la negazione e la distorsione e il verificarsi di genocidi in futuro”.

Netta la posizione dell’Ue: “Non commentiamo il voto dei singoli Paesi membri, l’Unione Europea come entità non partecipa al voto all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite”, ha chiosato il portavoce del Servizio europeo per l’azione esterna (Seae), Peter Stano, ricordano che l’Ue ha “una posizione chiara, che ribadiamo ogni anno”, ovvero quella di “rifiutare ogni negazionismo, relativizzazione o dubbio su quello che è successo e che è stato stabilito anche dai Tribunali internazionali”.

Cosa è successo a Srebrenica

La risoluzione, proposta da Germania e Rwanda e co-sponsorizzata da oltre 30 membri Onu (tra cui tutti i Paesi dell’ex-Jugoslavia tranne Serbia e Montenegro), prevede che “ogni anno” l’11 luglio sarà osservata una giornata internazionale per la memoria del genocidio di Srebrenica. Nel luglio del 1995 almeno 8.372 i civili bosniaci, tutti maschi e di etnia musulmana, furono massacrati dalle forze serbo-bosniache di Ratko Mladić (‘il macellaio di Bosnia’) nei pressi dell’enclave bosgnacca di Srebrenica, nella Bosnia orientale. È stato il più grande massacro per numero di vittime in pochi giorni, ma il genocidio è durato tre anni e mezzo, dall’aprile del 1992 agli accordi di Dayton del 14 dicembre 1995.

“La risoluzione sottolinea il ruolo dei tribunali internazionali nel combattere l’impunità e assicurare la responsabilità per il genocidio”, ha detto la rappresentante permanente della Germania presso le Nazioni Unite, Antje Leendertse.

Lo scontro Dodik-Ue

Il presidente della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina Milorad Dodik lavora da anni per sottrarsi dal controllo dello Stato centrale in settori fondamentali come l’esercito, il sistema fiscale e il sistema giudiziario, a più di 20 anni dalla fine della guerra etnica in Bosnia ed Erzegovina.

La sua posizione è pericolosamente vicina a quella di Putin.

In particolare, la cosiddetta legge sugli ‘agenti stranieri’ è simile a quella adottata da Mosca nel dicembre 2022 ed è stata approvata a fine settembre scorso tra le aperte critiche di Bruxelles.

Nel mirino dell’Ue, anche gli emendamenti al Codice Penale entrati in vigore a metà agosto, nonostante la condanna dell’Unione, che prevedono multe da 5 mila a 20 mila marchi bosniaci (2.550-10.200 euro) se la diffamazione avviene “attraverso la stampa, la radio, la televisione o altri mezzi di informazione pubblica, durante un incontro pubblico o in altro modo”.

A far infuriare Bruxelles, anche il viaggio per Mosca fatto da Dodik nel settembre 2022, dopo e nonostante le provocazioni di Putin ai partner occidentali sull’annessione illegale delle regioni ucraine occupate dalla Russia.
Le provocazioni del presidente bosniaco sono continuate a inizio gennaio 2023 con il conferimento dell’Ordine della Republika Srpska (la più alta onorificenza dell’entità a maggioranza serba del Paese balcanico) a Putin, in segno della “preoccupazione patriottica e l’amore” per le istanze di Banja Luka, in occasione della Giornata nazionale della Republika Srpska, festività incostituzionale secondo l’ordinamento nazionale bosniaco.

Mentre le bombe, i missili e i soldati russi imperversavano sul territorio ucraino, Dodik ha persino compiuto un secondo viaggio a Mosca il 23 maggio dello scorso anno.

L’Ungheria blocca le sanzioni

La tensione è massima, e sale la perplessità per un mancato intervento sanzionatorio dell’Ue. In realtà, la comunità ha già da più di due anni un quadro di misure restrittive pronto per essere applicato.
A impedirne l’utilizzo concreto è proprio l’Ungheria, che esercita il suo potere di veto in Consiglio avvalorando lo stretto rapporto politico tra i due leader (Vučić e Dodik) che aspirano a vedere realizzato il progetto secessionista della Republika Srpska e si oppongono al riconoscimento del genocidio di Srebrenica.

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