Francia, il governo Bayrou è caduto: ora Macron non può sbagliare scelta

Sfiducia netta per il primo ministro francese: alle 12 le dimissioni
13 ore fa
4 minuti di lettura
François Bayrou Afp
François Bayrou (Afp)

François Bayrou è il primo capo di governo francese caduto dopo aver chiesto la fiducia al Parlamento. Già per questo motivo, l’8 settembre 2025 è entrato nella storia del Paese d’Oltralpe, che sta vivendo il periodo più delicato dell’epoca contemporanea, contrassegnato da un grave debito pubblico e una profonda instabilità politica.

Ieri l’Assemblée Nationale ha negato la fiducia a Bayrou con 364 voti contrari e 194 favorevoli, trascinando nella crisi un governo durato appena nove mesi. Una débâcle annunciata che segna il quarto cambio di premier in diciotto mesi per il presidente della Repubblica Emmanuel Macron, costretto ora a navigare tra le macerie di un sistema che vorrebbe far durare fino al 2027, anno delle prossime elezioni presidenziali.  

Alle 12 di questa mattina Bayrou si recherà all’Eliseo per rassegnare le dimissioni.

L’esito del voto: una coalizione del “no” trasversale

Il destino di Bayrou era segnato ancora prima che del suo accorato discorso ai parlamentari, durato circa quaranta minuti. Socialisti, France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon e Rassemblement National di Marine Le Pen avevano già annunciato il voto contrario, creando una maggioranza di circostanza unita solo nella volontà di affossare l’esecutivo.

Il leader del MoDem (Mouvement démocrate) ha chiesto la fiducia dopo aver presentato una manovra finanziaria “lacrime e sangue” che prevede tagli per 44 miliardi di euro, indispensabile per ridurre il deficit e il debito pubblico, rispettivamente al 5,8% (quasi il doppio del limite previsto dai regolamenti europei, che lo fissano al 3%) e al 113% del Pil.

La finanziaria prevedeva la soppressione di due giorni festivi, il congelamento della spesa sociale e il blocco degli scaglioni fiscali senza adeguamento all’inflazione. Una ricetta di austerità che ha scatenato la reazione delle opposizioni. Prima di lasciare Hôtel de Matignon, il primo ministro ha messo in guardia i parlamentari: “Potete rovesciare il governo, ma non potete cancellare la realtà”, sottolineando le difficoltà finanziarie del Paese che rendono inevitabile il taglio della spesa pubblica.

Boris Vallaud, deputato socialista, ha risposto così a Bayrou: “Votando oggi il no alla fiducia, i socialisti si assumono la responsabilità di affermare che sono pronti, con la sinistra e gli ecologisti, a governare”. Dall’altro lato dello schieramento, Jordan Bardella di Rassemblement National ha scritto su X che “Emmanuel Macron ha tra le mani l’unica soluzione per far uscire il nostro Paese dall’impasse politica: il ritorno alle urne”.

Cosa può fare Macron: le opzioni sul tavolo dell’Eliseo

Il presidente francese si trova ora di fronte a tre strade, tutte ostiche:

  • Nominare un nuovo primo ministro, che però dovrebbe affrontare gli stessi rapporti di forza parlamentari che hanno affossato Bayrou. La frammentazione dell’Assemblea in tre blocchi inconciliabili – sinistra, centro macroniano e destra – rende qualsiasi governo vulnerabile agli stessi veti incrociati;
  • La seconda opzione, altamente improbabile, è mantenere Bayrou come capo di un esecutivo provvisorio, limitato all’ordinaria amministrazione. Una soluzione che paralizzerebbe le decisioni proprio nel momento in cui la Francia ha bisogno di riforme strutturali per ridurre il deficit;
  • La terza via, la più rischiosa, è lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e il ritorno alle urne. Macron potrebbe convocare nuove elezioni, ma come ha avvertito il ministro della Giustizia Gérald Darmanin, questa scelta “costerebbe caro alla Francia”. Il precedente delle legislative anticipate del luglio 2024, che hanno rafforzato gli estremi senza dare una maggioranza chiara, scoraggia questa opzione.

Le differenze con il sistema italiano

Il confronto tra i sistemi francese e italiano rivela differenze strutturali che spiegano la resilienza dell’Eliseo rispetto a Palazzo Chigi. In Italia vige una repubblica parlamentare dove il governo dipende interamente dalla fiducia delle Camere. Quando questa viene meno, l’esecutivo cade automaticamente e il presidente della Repubblica, figura super partes, nomina un nuovo capo di governo o scioglie il Parlamento.

La Francia adotta invece un sistema semipresidenziale dove il presidente della Repubblica, eletto direttamente dal popolo, non ha bisogno della fiducia parlamentare per rimanere in carica. Questo “sistema esecutivo diarchico” consente a Macron di restare all’Eliseo fino al 2027, anche se i “suoi” governi cadono uno dopo l’altro.

Il semipresidenzialismo francese, nato nel 1958 dalla penna del generale Charles de Gaulle per garantire stabilità dopo le crisi coloniali, assicura al capo dello Stato poteri molto più ampi di quelli riconosciuti al Capo di Stato italiano. Macron dirige la politica estera, nomina e revoca i primi ministri, e può sciogliere l’Assemblea anche senza consultarla.

Verso un governo socialista?

Tra gli scenari che si aprono dopo la caduta di Bayrou, il più accreditato sembra quello di un esecutivo a guida socialista. I socialisti di Vallaud hanno mostrato disponibilità a governare “con la sinistra e gli ecologisti”, ma dovrebbero trovare i numeri in un’Assemblea dove nessun blocco ha la maggioranza assoluta.

L’alternativa è un governo tecnico o di unità nazionale, ipotesi che circolava già prima del voto. Ma anche questa soluzione dovrebbe superare i veti del Rassemblement National, che con i suoi deputati può far cadere qualsiasi esecutivo non gradito.

La sinistra radicale di Mélenchon, il politico più indigesto al capo di Stato francese, ha alzato la posta presentando una mozione di destituzione contro lo stesso Macron. Una mossa simbolica che difficilmente avrà successo, ma che testimonia il livello di scontro raggiunto dalla politica francese.

Più concreta, invece, la minaccia di disordini sociali. Per domani, 10 settembre, sono state annunciate suo social media proteste in giro per le strade del Paese, rilanciate da partiti di sinistra e sindacati. Il movimento “Bloquons tout” (“Blocchiamo tutto”) richiama l’esperienza dei gilet gialli del 2018, quando la Francia fu paralizzata per mesi da manifestazioni contro le politiche di Macron, eletto presidente della Repubblica un anno prima.

L’instabilità d’Oltralpe riflette le difficoltà e l’instabilità della politica europea, dove i tradizionali equilibri centro-destra/centro-sinistra si frantumano sotto la pressione degli estremismi. La crisi francese, seconda economia dell’Eurozona, rischia di trascinare con sé l’intera Unione in una fase già segnata dalle guerre in Ucraina e Medio Oriente.