È crisi di governo nei Paesi Bassi. Ieri mattina il leader dell’estrema destra olandese Geert Wilders ha annunciato che lasciava l’esecutivo a causa di dissidi in materia di immigrazione. “Nessuna firma per i nostri piani in materia di asilo. Nessuna modifica all’accordo di coalizione. Il Pvv lascia” l’esecutivo, ha scritto Wilders su X.
Con il ritiro dei suoi ministri, la coalizione resta con soli 51 seggi nella Tweede Kamer, la Camera bassa del Parlamento, composta da 150 membri (la maggioranza dunque è di 76 deputati). Di conseguenza, il primo ministro Dick Schoof ha annunciato nel pomeriggio che avrebbe consegnato le dimissioni al re, rimanendo ad interim insieme alla sua squadra fino all’insediamento di una nuova amministrazione.
D’altronde il governo ormai uscente, durato meno di un anno, era un patchwork di estrema destra (il Pvv, Partito per la Libertà, di Wilders), populismo (il Bbb, Movimento dei cittadini-contadini), centrismo (il Nsc, Nuovo Contratto Sociale) e liberalismo (il Vvd, Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia): le precedenti elezioni nel novembre 2023 avevano restituito un risultato frammentato, e furono necessari 8 mesi di colloqui per mettere in piedi una coalizione che si è rivelata litigiosa e dunque fragile.
“Se non fosse successo oggi, sarebbe successo nelle prossime settimane”, ha detto infatti all’emittente pubblica NOS Rob Jetten, presidente del partito liberale D66.
Wilders in questi mesi ha più volte attaccato Schoof, per la promessa di sostenere l’Ucraina o per la richiesta del ministro degli Esteri Caspar Veldkamp all’Ue di rivedere l’accordo di associazione con Israele, definita una ‘mini Nexit’ (uscita dall’Ue dei Paesi Bassi).
Cosa è successo: il casus belli
La scorsa settimana Wilders, giudicando troppo lenta e troppo morbida l’azione dell’esecutivo su asilo e migranti – cavalli di battaglia con cui ha portato il proprio partito a vincere le elezioni del 2023 -, ha sostanzialmente lanciato un ultimatum ai suoi alleati. Ha presentato loro un piano anti-immigrazione in dieci punti avvisando che se non lo avessero firmato avrebbe fatto cadere il governo. E così in effetti è stato.
Ieri mattina erano in programma dei colloqui nella coalizione proprio per discutere della richiesta di Wilders di attenersi al ‘piano in dieci punti ‘, ma nessun accordo, evidentemente, è stato raggiunto.
“Il Pvv ha promesso agli elettori la politica d’asilo più restrittiva di sempre, non il collasso dell’Olanda“, ha dichiarato Wilders ai giornalisti in mattinata. Di fronte al rifiuto dei partener di coalizione, “non ho avuto altra scelta che dire: ritiriamo il sostegno a questo Governo”.
L’immigrazione si conferma tema caldissimo e divisivo nel Paese: anche il precedente governo, guidato dall’attuale segretario generale della Nato Mark Rutte, è caduto per non aver trovato un accordo sulla gestione degli stranieri.
Il piano in 10 punti di Wilders
Ma cosa prevedeva il piano in dieci punti sull’immigrazione messo a punto da Wilders, su cui gli altri partiti non si sono impegnati? Fra le altre proposte, l’invio di militari alla frontiera, il respingimento dei richiedenti asilo al confine, la chiusura dei centri di accoglienza per rifugiati, il rimpatrio di tutti i rifugiati siriani, la sospensione delle quote di asilo Ue, il bando delle norme sul ricongiungimento. In sostanza, il programma violava il diritto europeo o la convenzione sui rifugiati dell’Onu a cui i Paesi Bassi hanno aderito.
Wilders, spesso definito il ‘Trump olandese‘ per le sue posizioni anti-immigrazione, ha riassunto così le sue richieste: “Chiudere le frontiere ai richiedenti asilo e alle riunificazioni familiari. Nessun altro centro di accoglienza aperto. Chiuderli.”
Schoof: “Mossa inutile e irresponsabile”
Malumori sono stati espressi in vario modo da tutte le altre anime della coalizione, a cominciare dal primo ministro, che dopo una riunione di emergenza ha affermato: “Ho ripetuto più volte nei giorni scorsi ai leader del partito che il collasso del governo sarebbe stato inutile e irresponsabile”.
“Stiamo affrontando sfide importanti sia a livello nazionale che internazionale che richiedono da parte nostra risolutezza“, ha aggiunto prima di consegnare le sue dimissioni al re Guglielmo Alessandro.
Ma, ha aggiunto, “se una delle parti non ha la volontà di continuare, non si può andare avanti insieme”.
Critica anche la presidente del Bbb, Caroline van der Plas, che su X ha avvisato che “chiunque si fermi ora, sta offrendo i Paesi Bassi alla sinistra su un piatto d’argento”.
“Speravamo che Wilders avrebbe passato una notte tranquilla e ci avrebbe pensato a fondo. Ma è venuto con un annuncio molto breve”, ha dichiarato Nicolien van Vroonhoven dell’NSC all’emittente pubblica olandese NOS , aggiungendo: “È davvero incomprensibile”.
Dura la presidente del Vvd, Dilan Yeşilgöz, secondo cui Wilders sta “ancora una volta anteponendo i propri interessi a quelli del Paese. In un momento di incertezza senza precedenti”. La mossa del leader radicale non riguardava davvero l’immigrazione, ha sostenuto ancora: “Avevamo già intenzione di fare tutto il possibile. Tutto ciò su cui avevamo già concordato è stato ritardato dai maldestri tentativi del Pvv”.
Cosa succede ora: di nuovo al voto
Al momento, Schoof resta a guida di un governo di transizione. Sarà il Parlamento a stabilire di cosa potrà o non potrà occuparsi. Per il futuro, l’ipotesi più probabile è che si vada al voto, mentre non è molto accreditata la via della formazione di un governo di minoranza o di una nuova coalizione con altri partiti.
Se dunque si torna al voto, non prima dell’autunno, la situazione è alquanto nebulosa. Bbb e Nsc hanno raggiunto importanti risultati alle elezioni del 2023 ma attualmente i sondaggi li danno in crollo verticale (secondo i dati di Politico si collocherebbero addirittura all’1%, mentre secondo il sondaggio di Maurice de Hond, pubblicato il 26 aprile, Nsc scenderebbe dai 20 seggi ottenuti nel 2023 a 1 solo seggio virtuale di oggi; Ncs passerebbe da 7 a 3).
Ma anche il Pvv sarebbe in calo, pur mantenendo il primo posto, scendendo intorno al 20% dal 23,49% con cui ha vinto nel 2023 . E soprattutto, sente il fiato sul collo del partito Verdi/Sinistra, guidato dall’ex vicepresidente della Commissione europea Frans Timmermans, che lo tallona e che è davanti anche al Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia (Vvd), virtualmente terzo.
“L’Olanda merita un governo che unisca la gente e che lavori su soluzioni reali. È ora di votare, siamo pronti”, ha affermato Timmermans in un intervento in Parlamento in cui ha accusato il governo. “Questo è quello che accade quando si dà potere agli estremisti”, ha concluso. Anche il leader del Partito socialista, Jimmy Dijk, è favorevole alle elezioni anticipate.
In poche parole, le elezioni saranno molto competitive. Un classico dei Paesi Bassi, che adottano un sistema proporzionale puro, con uno sbarramento minimo, allo 0,67%. Questo significa una rappresentanza capillare ma anche frammentazione e tempi lunghi per la formazione di un governo, di solito da quattro a sei mesi. Fino ad arrivare alla coalizione uscente, che ci ha impiegato otto mesi per mettersi in piedi, e non molto di più – 11 mesi – per crollare.
Wilders: ammissione di incapacità o richiesta di maggiore consenso?
La domanda è se i sostenitori dell’estrema destra interpreteranno la mossa di Wilders come un fallimento e una ammissione di incapacità nel tradurre in realtà le politiche promesse, oppure se la prenderanno come un’indicazione a fornirgli un consenso – e dunque un potere- ancora più ampio.
Quello che è certo e che la crisi aperta ieri cade in un momento ricco di sfide geopolitiche e economiche, dove l’ultima cosa che serve a un Paese è l’instabilità politica o un governo depotenziato che non può prendere le decisioni necessarie.
Allargando il contesto, poi, il caso Paesi Bassi si inserisce in un momento di ascesa dei partiti di estrema destra diffuso in tutta Europa. Per rimanere ai più recenti sviluppi, poche settimane fa in Portogallo Chega (‘Basta’) è arrivato secondo alle elezioni; lo stesso ha fatto in Germania a febbraio Alternative für Deutschland, ora dato come primo dai sondaggi; domenica scorsa in Polonia è diventato presidente Karol Nawrocki, sostenuto dal partito radicale Diritto e Giustizia (PiS). Nel Regno Unito, Reform UK di Nigel Farage (Mr Brexit), forza di estrema destra e anti-immigrazione, ha spopolato nelle elezioni locali.
Cosa succede ora: il vertice Nato
La crisi di governo lascia i Paesi bassi senza un esecutivo ‘forte’ a tre settimane dal vertice della Nato che si terrà all’Aia: un incontro di grande importanza, durante il quale si prevede che gli alleati aumenteranno significativamente la spesa per la difesa. Ma ora tale decisione potrebbe ritardare, con i padroni di casa che ospiteranno il summit con un governo a metà.