Auto elettriche Ue, tra il crollo delle vendite e le minacce commerciali di Trump

Le Bev stanno diventando una cartina tornasole dei rapporti di forza tra le potenze mondiali
15 ore fa
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Un murales che ritrae Donald Trump
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Le auto elettriche stanno diventando una cartina di tornasole dei rapporti di forza tra le potenze mondiali. L’ascesa o la crisi del settore è strettamente correlata alle relazioni geopolitiche sempre più tese e composte. Se prima l’Occidente faceva fronte unito di fronte alle rivendicazioni della Russia sull’Ucraina e della Cina su Taiwan, la rielezione di Donald Trump rischia di sparigliare le carte.

Al grido di “Make America great again”, il vecchio/nuovo presidente americano ha più volte rivendicato la voglia di affermare la supremazia degli Stati Uniti, spesso pungendo gli alleati europei, colpevoli, tra le altre cose, di non finanziare abbastanza la Nato. Il tutto, mentre il gap economico tra Ue e Usa si fa ancora più ampio..

Con il suo programma “America First 2.0” già prima della vittoria elettorale, Trump aveva anticipato l’intenzione di rafforzare i dazi portandoli fino al 20% su tutti i prodotti importati. A chi gli faceva notare che questo significherebbe incrinare i rapporti con gli alleati, il rappresentante repubblicano rispondeva che gli Usa devono incrementare l’occupazione e ridurre il deficit federale. Insomma, prima l’America e dopo pure.

I dazi promessi da Trump, che si insedierà a gennaio, sono una minaccia concreta per l’economia europea, già alle prese con la profonda crisi delle auto elettriche.

La crisi delle auto elettriche in Ue

Acea, l’associazione dei costruttori europei, non usa mezzi termini per commentare i dati di mercato che sono “estremamente preoccupanti”. Nel mese di agosto, la vendita di auto elettriche nell’Unione Europea è crollata del 43,9% rispetto allo stesso mese del 2023. Il calo delle vendite ha riguardato tutte le principali case automobilistiche, Stellantis in primis con una contrazione del 28,7% ad agosto e una quota di mercato passata dal 16,1% al 13,7%. I dati vanno di pari passo con la cronaca recente, segnata dalle dimissioni del Ceo del gruppo Carlos Tavares.

Il Paese europeo più colpito dalla crisi è la Germania che ad agosto ha registrato un -27,8% di immatricolazioni rispetto ad agosto 2023. Anche Francia (-24,3%) e Italia (-13,4%) hanno fatto registrare un netto calo, mentre il Regno Unito e la Spagna hanno avuto diminuzioni più moderate. Ancora una volta, i fatti di cronaca sono l’inesorabile conseguenza dei dati: negli ultimi mesi, la tedesca Volkswagen ha chiuso tre stabilimenti in Europa e ne chiuderà un altro in Cina.

Per l’Acea, il calo delle vendite delle auto elettriche è un campanello d’allarme che richiede interventi immediati da parte delle istituzioni europee. Anche i Paesi membri sono sempre più convinti che il c.d. Regolamento Auto vada cambiato prima che sia troppo tardi. La linea è stata espressa chiaramente con due non-paper indirizzati a Bruxelles: il primo vede l’Italia in cima ai firmatari, seguita da Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria, Austria, e Polonia. Rispetto alla richieste di qualche mese, la linea è un po’ ammorbidita: tenere fermo l’obiettivo di piena decarbonizzazione al 2035 (prima oggetto di forti critiche) ma creare le condizioni per giungere competitivi a quell’obiettivo. “Chiediamo che siano anticipate all’inizio dell’anno prossimo le clausole di revisione già previste per la fine 2026 per i veicoli leggeri e nel 2027 per i veicoli pesanti”, scrivono i 7 Paesi membri in relazione al Fit for 55 del Green deal europeo.

Il secondo documento è stato firmato da Germania, Francia e Svezia che hanno scritto al Consiglio della Competitività Ue per chiedere più sforzi sulle batterie delle auto elettriche. I tre Paesi chiedono a Bruxelles di mettere le gigafactory nelle condizioni di produrre l’elemento essenziale delle auto elettriche su cui la Commissione ha puntato fortemente per la transizione energetica.

La tensione in attesa di Trump

La tensione è palpabile, i numeri della auto elettriche Ue potrebbero persino peggiorare con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Non tanto per le sue politiche ambientali, quanto la sua politica protezionista che non conosce alleati.

In attesa che il tycoon torni alla Casa Bianca, l’Ue si prepara a un futuro solipsistico seppure per scelta altrui: “Il futuro dell’industria dell’automotive deve essere made in Europe”, ha chiosato la vicepresidente con delega alla Concorrenza, Margrethe Vestager, durante il Consiglio Ue sulla Competitività. Sullo sfondo, lo spauracchio dei dazi promessi da Donald Trump.

I dazi promessi da Trump: minaccia o realtà?

Il 14 novembre, durante un comizio a Chicago, il neo (ri)eletto presidente americano ha ribadito la sua idea: “Per me la parola più bella nel dizionario è dazio”, ha detto il tycoon specificando che solo le parole legate all’amore e alla religione possono competere con questo termine.

I dazi rimandano immediatamente al concetto di protezione degli interessi interni e della patria, ma possono facilmente diventare un boomerang per l’economia americana. Quando si parla di queste misure, l’unica cosa certa è che i prezzi finali saranno più alti, con inevitabili ripercussioni sui consumatori. D’altra parte, i partner che vorranno continuare a commerciare con l’America dovranno abbassare i prezzi alla fonte per non ridurre eccessivamente le esportazioni. In ogni caso, la riduzione dei prezzi “all’ingrosso” non potrà mai pareggiare la misura dei dazi promessi da The Donald.

Il vecchio/nuovo presidente americano ha annunciato che “nel primo giorno” del suo mandato introdurrà una tariffa del 25% su tutti i prodotti provenienti da Messico e Canada e un’ulteriore tariffa del 10% sui beni provenienti dalla Cina. I beni importati dagli (ex?) alleati Regno Unito e Ue subirebbero dazi pari a circa il 20%. Inoltre, eventuali dazi sull’acciaio e sull’alluminio colpirebbero gravemente l’industria pesante europea, che ha uno scambio molto proficuo con gli Usa.

Il sostegno a Tesla

Anche sul fronte delle auto elettriche, i dazi potrebbero avere un impatto rilevante sull’Eurozona. Secondo un’analisi di Standard&Poor’s, i dazi potrebbero costare mediamente fino al 17% dell’Ebitda annuo del settore automotive europeo. Va però segnalato che, seppure in parte, anche gli Usa risentirebbero delle aliquote dato che la loro filiera automotive non si svolge interamente all’interno dei confini nazionali.

Qui subentrerebbe l’altra parte della strategia Trump: fare all-in su Tesla di Elon Musk, già nominato Capo del Dipartimento per efficienza governativa. Con questa mossa il tycoon mira contrastare il dominio cinese senza risentire dei dazi sugli alleati europei. Il tutto senza considerare che Elon Musk ha già un conto aperto con Bruxelles.

Il presidente Usa in pectore ha da sempre bollato il cambiamento climatico come “una bufala inventata dalla Cina”, ma questo non deve sorprendere. Anche “pace” e “amore” stridono accanto alla parola “dazio”. Nei piani di Trump, Tesla serve proprio a contrastare Pechino, che nel frattempo è in guerra commerciale con l’Ue. La rivalità con la Cina rischia di restare l’unica cosa in comune tra Washington e Bruxelles.

La strategia di von der Leyen

Come si diceva in apertura, le battaglie commerciali sono sempre più intrecciate a quelle geopolitiche. Non si può escludere che l’arma dei dazi sia una minaccia utile a Trump per fare debito pubblico senza grosse minacce sui mercati finanziari.

Nel frattempo, le sue minacce diventano una spada di Damocle sull’Unione europea, che ha tutto l’interesse a non rompere con gli storici alleati, soprattutto ora che i rapporti con Pechino sono ai minimi storici.

In questo contesto di incertezza, lo scorso 8 novembre la presidente von der Leyen ha avanzato una strategia che punta sull’energia, durante una conferenza stampa della Commissione europea.

La proposta prevede un ulteriore incremento delle importazioni di gas naturale liquefatto (Gnl) dagli Stati Uniti, formalmente perrimpiazzare quello russo”. L’Unione Europea, che già rappresenta uno dei maggiori mercati per il Gnl statunitense, ha aumentato significativamente gli acquisti dopo l’invasione russa dell’Ucraina, riducendo la dipendenza dal gas di Mosca.

Anche se von der Leyen non ha presentato questa strategia come un modo per scongiurare i dazi, il piano potrebbe avere una valenza politica importante. Già nel precedente mandato, Donald Trump ha dimostrato di apprezzare particolarmente le aperture fatte dai partner Usa, spesso finendo per ammorbidire la mano o disinnescare fuochi precedentemente accesi a suon di minacce commerciali.

Rafforzare le importazioni di Gnl dagli Stati Uniti potrebbe essere percepito come un segnale di disponibilità a mantenere salda la partnership transatlantica nonostante le tensioni commerciali. Nel 2016-2020, il tycoon ha dovuto calmierare alcune iniziative per tenere buoni alcuni rapporti commerciali istituzionali. Dopo questo mandato, però, Donald Trump non potrà essere rieletto.

Un ulteriore elemento di instabilità per l’economia europea.