Stellantis-Renault (e Bmw): una storica fusione per salvare l’auto europea? Gli scenari e i dubbi degli esperti

Prende quota l’ipotesi di una fusione tra i due colossi. Strategico il ruolo della casa tedesca, forte nella produzione di auto elettriche di alta gamma
2 mesi fa
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John Elkann Presidente Stellantis
Il presidente di Stellantis John Elkann_fotogramma

Unire le forze per resistere all’avanzata della Cina.

Questo è lo spirito alla base dell’ipotesi di fusione tra Stellantis e Renault, che torna a prendere quota dopo le indiscrezioni di febbraio. Allora, il presidente John Elkann aveva negato questa possibilità, ma ora il contesto è cambiato. Non solo: a pochi giorni dal Salone dell’Auto di Parigi (13 ottobre), si inizia a parlare di un accordo anche con i tedeschi di Bmw, molto forti nella produzione di auto elettriche di alta gamma.

Finora l’ipotesi non ha trovato una conferma ufficiale, ma la crisi delle EV in Europa e le indiscrezioni e le parole di Luca De Meo vanno in questa direzione. Negli scorsi giorni, il Ceo del gruppo Renault e presidente dell’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea) ha parlato di un ‘Airbus dell’auto’ europeo, dopo aver espresso grande preoccupazione per il futuro del settore automobilistico Ue.

Stellantis-Renault e l’ipotesi di una storica fusione

La fusione tra Stellantis e Renault avrebbe nel presidente francese Emmanuel Macron un altro importante sponsor, dal momento che lo Stato è azionista di Renault con il 15% e di Stellantis con il 6,1%. D’altronde, Macron sposa da tempo la ‘linea Draghi’ ed è convinto che l’Unione debba seguire la linea delle fusioni. “Agire da europei vuol dire avere necessità di un consolidamento europeo”, aveva detto a maggio il presidente francese avvalorando l’ipotesi di una fusione tra gli spagnoli di Santander e Société Générale.

In pole position per guidare il colosso Stellantis-Renault c’è proprio Luca de Meo, considerato che il numero uno di Stellantis, Carlos Tavares, dovrebbe restare in carica fino al 2026 ma è già in corso la ricerca per il suo successore. Un accordo tra i due gruppi creerebbe un gigante da 18 marchi che si rafforzerebbe notevolmente con Bmw, asso nella manica per competere con le auto elettriche cinesi (Byd su tutti) non solo puntando sulla quantità, ma sulla qualità.

Quella tra Stellantis e Renault sarebbe una fusione impari: la prima (nata dalla fusione tra i gruppi Fiat Chrysler Automobiles e PSA) ha una capitalizzazione di 68 miliardi di euro e 190 miliardi di fatturato, contro i 10,5 miliardi di capitalizzazione e 53 miliardi di fatturato di Renault.
I rumors di una possibile fusione stanno già agitando gli animi dei lavoratori, che temono un taglio importante alla manodopera. Quelli più a rischio sono i dipendenti degli stabilimenti italiani, da anni alle prese con crisi del settore, licenziamenti e cassa integrazione.

Tranne rare eccezioni, la parola ‘fusione’ è da sempre sinonimo di tagli e quindi invisa agli operai. Mai come in questo momento, però, l’alternativa potrebbe portare a conseguenze persino peggiori. La dimostrazione arriva dalla Germania, ormai ex locomotiva d’Europa, dove Volkswagen è pronta a chiudere due stabilimenti e a licenziare circa 15.000 dipendenti.
Chi gestisce le grandi organizzazioni, le imprese e persino gli Stati sovrani lo sa: una situazione senza precedenti richiede interventi senza precedenti.

La posizione della Commissione Ue

Come abbiamo imparato dai casi precedenti (si veda la questione Ita-Lufthansa), le fusioni tra colossi devono passare dal controllo della Commissione Ue per scongiurare l’ipotesi di abuso di posizione dominante e garantire il rispetto delle norme sulla concorrenza europea.

La questione è numerica, normativa ma anche politica.

L’autorizzazione di una eventuale fusione Stellantis-Renault richiederebbe all’esecutivo europeo di fare una scelta netta: mi affido al consolidamento o punto sulla frammentazione delle imprese per aumentare la competitività (e la produttività) dall’interno?

Un indizio arriva dal rapporto Draghi, commissionato proprio dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Secondo l’ex presidente della Bce, il consolidamento rappresenta “l’iniziativa cardine” per realizzare un vero Mercato Unico, senza sacrificare il benessere dei consumatori e la qualità del servizio. Gli Stati membri devono aumentare il peso degli impegni in termini di innovazione e investimenti per facilitare l’approvazione delle fusioni.

Il piano è molto articolato, ma lo spirito è univoco: “Dobbiamo assumere una nuova posizione nei confronti della cooperazione: rimuovendo gli ostacoli, armonizzando regole e leggi e coordinando le politiche. Ci sono diversi ambiti in cui possiamo procedere. Ma quello che non possiamo fare è non andare avanti affatto”, scrive Mario Draghi per cui serve creare nuovi colossi per competere con altri colossi (Cina e Usa).

L’ex governatore di Bankitalia scandisce il concetto: “Mai in passato la dimensione dei nostri Paesi è apparsa così piccola e inadeguata rispetto alla portata delle sfide. Da molto tempo l’autoconservazione non era un problema simile, che riguarda tutti. Le ragioni per una risposta unitaria non sono mai state così convincenti. Nella nostra unità troveremo la forza per riformare”.

Consolidamento o frammentazione?

Quello presentato da Draghi alla Commissione è di spirito completamente dal Report della Dg Comp, la direzione generale per la Concorrenza. In quasi duecento pagine, la direzione guidata negli ultimi dieci anni da Margrethe Vestager, che a breve sarà sostituita dalla socialista spagnola Teresa Ribeira, offre una panoramica sull’applicazione del diritto antitrust europeo negli ultimi 25 anni.

Si sottolinea che in questo lasso di tempo, sia la concentrazione di mercato che i mark-up (i margini di profitto) sono aumentati, anche se non hanno raggiunto i livelli degli Usa. La DG Comp invita a tenere distinte le dinamiche: non è detto che i margini di profitto siano aumentati perché è aumentata la concentrazione, anzi, a fronte dell’innovazione tecnologica la crescita dei mark-up è stata piuttosto modesta (per approfondire: Altro che campioni, all’Ue serve più concorrenza: la DG Comp contraddice Draghi).

Colangelo: “Difficile che l’antitrust Ue permetta una simile operazione”

Eurofocus ha chiesto un commento a Giuseppe Colangelo, professore associato di Diritto dell’economia, Università della Basilicata e Luiss. La nuova Commissione potrebbe ribaltare gli ultimi anni di politiche antitrust, in cui è stata bloccata la fusione tra la tedesca Siemens e la francese Alstom, e favorire la nascita di un’Airbus dell’auto? “Difficile fare previsioni sull’impatto del rapporto Draghi sulla policy che la prossima Commissione deciderà di perseguire. Per via dell’autorevolezza dell’estensore, il rapporto è stato ben accolto da quasi tutte le parti, anche se ognuno ha voluto leggerci quello che preferiva. Sul tema del rapporto tra politica industriale, regolazione e concorrenza, io mi colloco tra quanti vi hanno letto un chiaro richiamo ai limiti e alle ricadute negative di un eccesso della regolazione, e perciò un rilancio e rafforzamento dell’applicazione delle regole antitrust”.

Secondo il docente, “resta la questione del consolidamento degli operatori europei, tema rispetto al quale il rapporto (e la stessa neo-commissaria alla Concorrenza) paiono sensibili e sul quale il dibattito è particolarmente acceso soprattutto nell’ambito delle telecomunicazioni. Rispetto a questo profilo e a differenza delle ipotesi che circolano in ambito telco, una immaginifica fusione tra Stellantis, Renault e Bmw potrebbe riportare in auge lo scenario della respinta fusione tra Alstom e Siemens. Su quanto questo sia auspicato dal rapporto Draghi ho qualche dubbio. Su quanto questo sia conciliabile con il diritto della concorrenza ho convinzioni decisamente più forti e ahimè di segno negativo”.

Il futuro nero di un settore cardine dell’industria europea

Intanto, il settore delle auto (non solo elettriche) europeo sta vivendo la più grande crisi di sempre e rischia di trascinarsi dietro il resto dell’economia. Per questo, il ministro delle Imprese italiano Adolfo Urso ha chiesto “insieme ad altri 9 Paesi europei” di anticipare la revisione del regolamento europeo, incassando il ‘no’ di Bruxelles.  Il rischio sullo sfondo è quello di fare un clamoroso autogol e condannare decine di aziende e milioni di lavoratori.

Se la strada per salvare il settore non può essere, almeno per ora, quella di alleggerire le richieste fatte alle case automobilistiche, potrà essere quella del consolidamento?