Negli ultimi anni, lo scenario globale del commercio ha visto cambiamenti significativi nel modo in cui le principali potenze economiche affrontano la loro dipendenza dalla Cina. Gli Stati Uniti e il Giappone, due tra i maggiori protagonisti delle dinamiche globali, hanno adottato strategie per diversificare le loro catene di approvvigionamento e ridurre la dipendenza da Pechino, guidati da preoccupazioni economiche e geopolitiche. In questo contesto, l’Unione Europea si distingue per aver intrapreso un percorso inverso, consolidando il suo rapporto economico con la Cina nonostante la crescente consapevolezza dei rischi associati a tale dipendenza.
Secondo un’analisi del Rhodium Group, dal 2017 al 2023 gli Stati Uniti hanno ridotto la quota di prodotti cinesi nelle proprie importazioni di oltre 8 punti percentuali, sostituendoli con merci provenienti da Paesi come Vietnam e Messico. Anche il Giappone, seppur con ritmi più lenti, ha diminuito la quota di importazioni dalla Cina, passando dal 29,6% del 2017 al 27,3% nel 2023. L’Unione Europea, al contrario, ha registrato un aumento significativo della dipendenza dalle importazioni cinesi, che nel 2022 hanno raggiunto il picco del 27%, per poi stabilizzarsi al 25% nel 2023. Questo trend è accompagnato da un incremento della quota cinese negli investimenti diretti esteri in Europa, in contrasto con le riduzioni registrate negli Stati Uniti e in Giappone.
La spinta della transizione verde e la dipendenza tecnologica
Il primo fattore che spiega la crescente dipendenza europea dalla Cina è la sua agenda di transizione verde. La Cina è il leader indiscusso nella produzione di tecnologie pulite, come batterie e pannelli solari, che sono componenti essenziali per la decarbonizzazione europea. Tra il 2017 e il 2023, oltre un terzo dell’incremento delle importazioni europee dalla Cina è attribuibile a questi settori, in particolare al dominio cinese nella catena di fornitura dei veicoli elettrici. La mancanza di competitori credibili all’interno dell’Ue, unita a politiche industriali meno incisive rispetto agli Stati Uniti, ha reso inevitabile l’afflusso di tecnologie cinesi nel mercato europeo.
A questo si aggiunge l’effetto dei costi energetici, drammaticamente aumentati a seguito dell’invasione russa dell’Ucraina. La crisi energetica ha reso più conveniente per l’Europa importare prodotti chimici dalla Cina piuttosto che produrli localmente, aggravando ulteriormente il deficit commerciale con Pechino. Tra il 2020 e il 2023, il valore delle importazioni europee di sostanze chimiche dalla Cina è più che raddoppiato, contribuendo a consolidare la posizione della Cina come principale fornitore di materiali fondamentali per l’industria europea.
Politiche divergenti: Europa vs. Stati Uniti e Giappone
Il divario tra Europa e le altre potenze economiche è spiegabile anche attraverso un confronto delle strategie politiche adottate. Gli Stati Uniti hanno introdotto misure significative per ridurre la dipendenza dalla Cina, come i dazi imposti durante l’amministrazione Trump e le clausole dell’Inflation Reduction Act che incentivano la produzione locale. Queste politiche non solo hanno scoraggiato le importazioni cinesi, ma hanno anche rafforzato le catene di approvvigionamento interne e regionali, favorendo Paesi vicini come Messico e Canada.
Il Giappone, dal canto suo, ha attuato programmi di incentivazione per incoraggiare le aziende a delocalizzare la produzione dalla Cina verso il territorio nazionale o altri Paesi del Sud-est asiatico, attraverso sussidi diretti. Le politiche messe in atto dal governo giapponese hanno avuto un impatto significativo, accelerando il processo di diversificazione delle catene di fornitura giapponesi.
L’Unione Europea, invece, si è mossa più lentamente e con meno incisività. Sebbene la Commissione abbia introdotto il Critical Raw Materials Act e il Net Zero Industry Act per incentivare la produzione interna di tecnologie pulite e ridurre la dipendenza esterna, queste misure rimangono spesso prive di vincoli obbligatori, limitandone l’efficacia. Al contrario, l’approccio europeo si è concentrato su una riduzione dei rischi associati alla dipendenza economica dalla Cina, senza interrompere completamente i rapporti commerciali o diplomatici, più che su un disaccoppiamento, una strategia più drastica che mira a separare completamente le economie o le catene produttive dei due Paesi, lasciando, così, ampi margini per il mantenimento delle relazioni commerciali con la Cina.
Le implicazioni geopolitiche e strategiche
Questa crescente dipendenza europea dalla Cina solleva interrogativi di natura geopolitica. Se da un lato la collaborazione con Pechino è cruciale per il raggiungimento degli obiettivi climatici globali, dall’altro rafforza una vulnerabilità strutturale dell’Europa nei confronti di un partner commerciale il cui sistema politico-economico è spesso in contrasto con i principi democratici europei. La dipendenza da fornitori cinesi di tecnologie strategiche, come le batterie e i pannelli solari, pone l’Europa in una posizione di svantaggio negoziale, specialmente in un contesto di crescente tensione tra Cina e Stati Uniti.
Inoltre, la concentrazione delle importazioni in settori critici, come i composti chimici e i dispositivi elettronici, rischia di esporre l’Europa a interruzioni delle catene di approvvigionamento, come già evidenziato durante la pandemia di Covid-19. La diversificazione delle fonti di approvvigionamento non è solo una questione economica, ma una necessità strategica per garantire la resilienza e la sicurezza delle economie europee.
L’Unione Europea si trova, così, a un bivio. Da un lato, deve accelerare la transizione verde, il che richiede un accesso continuo alle tecnologie cinesi. Dall’altro, è essenziale adottare misure più incisive per ridurre la dipendenza da un unico partner commerciale, diversificando le catene di approvvigionamento e rafforzando la produzione interna.
Le recenti iniziative per promuovere il “friendshoring,” ovvero il trasferimento delle catene di fornitura verso Paesi partner affidabili, sono un passo nella direzione di una maggiore capacità di resistere agli shock globali. Tuttavia, è necessario un impegno maggiore da parte dei governi europei per implementare politiche che incentivino la produzione locale e l’innovazione tecnologica. Solo attraverso una combinazione di incentivi economici, politiche industriali mirate e cooperazione internazionale, l’Europa potrà garantire la propria autonomia strategica senza compromettere gli obiettivi climatici.
L’Europa ha ancora tempo per ridefinire il proprio rapporto con la Cina, ma le decisioni prese oggi determineranno il futuro del continente in un mondo sempre più interconnesso e competitivo. Riuscirà l’Unione Europea a trovare un equilibrio tra interdipendenza e resilienza?