Litio, geopolitica e Serbia: il fronte delle proteste si allarga  

Migliaia di serbi in piazza contro l'estrazione del litio: un caso che intreccia questioni ambientali, politiche e strategiche
3 settimane fa
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Litio Miniera Canva

Nelle ultime settimane, la Serbia è diventata il centro di una crescente ondata di proteste contro un progetto minerario nella valle di Jadar, una regione ricca di litio. Questo metallo, essenziale per la produzione di batterie utilizzate nei veicoli elettrici e in altri dispositivi tecnologici, è al centro di un acceso dibattito che coinvolge non solo questioni ambientali, ma anche dinamiche geopolitiche. Le proteste, che hanno visto la partecipazione di migliaia di cittadini a Belgrado e in altre città, hanno sollevato preoccupazioni su un progetto che, secondo molti, potrebbe avere conseguenze devastanti per l’ambiente e la salute pubblica. Ma il caso del litio in Serbia è anche un esempio di come le risorse naturali possano diventare un terreno di scontro tra grandi potenze, in un contesto di crescente competizione globale.

Il caso del litio

Al centro della disputa vi è il progetto della multinazionale anglo-australiana Rio Tinto, che prevede lo sfruttamento del giacimento di litio scoperto nel 2004. La Serbia, un Paese che aspira a entrare nell’Unione Europea, si trova ora a dover bilanciare pressioni esterne e interne. Da una parte, l’Europa vede nella Serbia una possibile soluzione alla sua dipendenza dalla Cina per l’approvvigionamento di litio; dall’altra, i cittadini serbi temono che il prezzo da pagare per questa opportunità economica sia troppo alto. L’accusa principale mossa contro Rio Tinto è l’impatto ambientale devastante che l’estrazione del litio potrebbe avere sulla regione, in particolare sull’approvvigionamento idrico. Non è un timore infondato: le tecniche di estrazione del litio, infatti, richiedono enormi quantità di acqua e possono contaminare le falde acquifere con sostanze chimiche pericolose.

Le tensioni tra la popolazione e il governo di Belgrado sono esplose nuovamente dopo che, lo scorso luglio, la Corte costituzionale serba ha annullato la revoca delle concessioni a Rio Tinto, precedentemente sospese in seguito alle proteste del 2022. La decisione ha riacceso il dibattito e spinto il governo a riprendere i negoziati con l’Unione Europea. Il 19 luglio, il presidente serbo Aleksandar Vučić ha firmato un memorandum d’intesa con il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefčovič, formalizzando la ripresa del progetto. L’accordo rappresenta un passo cruciale per l’Europa, che cerca di diversificare le sue fonti di approvvigionamento di litio e ridurre la dipendenza dalla Cina, attualmente leader mondiale nella produzione e lavorazione di questo metallo.

Tuttavia, l’opposizione interna è forte. Le manifestazioni, che si sono estese a oltre 40 città, vedono la partecipazione di una vasta coalizione di ambientalisti, agricoltori e cittadini comuni, uniti dal grido “No alle miniere”.

Gli interessi geopolitici

Ma la questione del litio in Serbia non si esaurisce con l’opposizione popolare. Sullo sfondo, si intrecciano anche interessi geopolitici di grande rilevanza. La Serbia, storicamente vicina alla Russia, si trova ora a dover navigare tra le pressioni occidentali e le aspettative di Mosca. La guerra in Ucraina ha ulteriormente complicato questo quadro, polarizzando i rapporti tra la Serbia e i suoi partner internazionali. In questo contesto, il progetto minerario di Rio Tinto è visto da molti come un tentativo dell’Occidente di rafforzare la sua influenza sulla Serbia, allontanandola dall’orbita russa. Non a caso, molti account sui social media legati a gruppi filorussi hanno sostenuto le proteste, alimentando una narrazione che vede nel progetto una minaccia agli interessi serbi e un ulteriore passo verso l’assoggettamento del Paese alle potenze occidentali.

Dal canto suo, il governo serbo cerca di bilanciare questi interessi divergenti. Il presidente Vučić ha cercato di minimizzare le preoccupazioni ambientali, promettendo che il progetto rispetterà gli standard europei in materia di tutela ambientale. Tuttavia, le sue parole non sono riuscite a placare l’opposizione, che continua a mobilitarsi. La situazione è resa ancora più complessa dal fatto che la Serbia vede nel progetto un’opportunità di crescita economica. La miniera di Jadar, con una capacità stimata di 58.000 tonnellate di litio all’anno, potrebbe diventare la più grande d’Europa e garantire al Paese un ruolo di primo piano nella transizione energetica europea. Gli investimenti previsti da Rio Tinto ammontano a 2,5 miliardi di euro, una cifra che potrebbe rappresentare una svolta per l’economia serba.

Eppure, le preoccupazioni rimangono. Gli esperti avvertono che i benefici economici potrebbero essere annullati dai danni ambientali. L’estrazione di litio è notoriamente dispendiosa in termini di risorse idriche: per ogni tonnellata di litio estratta, vengono utilizzati quasi due milioni di litri d’acqua, una quantità che potrebbe compromettere le riserve idriche della regione. Inoltre, le acque reflue prodotte dal processo di estrazione contengono metalli pesanti e altre sostanze tossiche che, se non adeguatamente trattate, potrebbero contaminare il suolo e le falde acquifere, mettendo a rischio la salute pubblica.

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