Record di immigrati nei Paesi Ocse (ma non in Italia)

I flussi migratori permanenti aumentano a livello globale, ma in Italia si segnala una flessione
4 settimane fa
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Due migranti mano nella mano

Nel 2023, la migrazione internazionale ha toccato nuovi record. Secondo l’International Migration Outlook 2024 dell’Ocse, i Paesi Ocse hanno visto l’arrivo di 6,5 milioni di nuovi immigrati permanenti, un dato mai registrato prima.

Il principale fattore trainante della migrazione permanente è stato il ricongiungimento familiare, che ha segnato un aumento del 18%. Anche la migrazione umanitaria ha avuto un’importante crescita (+20%), mentre la migrazione lavorativa permanente si è mantenuta su livelli elevati con 1,2 milioni di nuovi lavoratori registrati. Questo trend ha coinvolto circa un terzo dei paesi Ocse, tra cui Canada, Francia, Giappone, Svizzera e Regno Unito, che hanno raggiunto livelli record di immigrazione. Tuttavia, alcuni stati come Italia, Danimarca, Estonia e Lituania hanno registrato una tendenza diversa. Sebbene l’aumento rispetto al 2019 sia significativo (+24,6%), i flussi migratori permanenti in Italia sono scesi dell’11,6% rispetto all’anno precedente, collocando il nostro Paese tra i terzi paesi Ocse con un calo di nuovi ingressi. Ma se i numeri in entrata mostrano una certa flessione, alcuni dati danno segnali positivi, soprattutto sul fronte dell’imprenditoria migrante.

Calo degli ingressi permanenti e crescita dell’imprenditoria migrante

La percentuale di immigrati imprenditori in Italia è aumentata notevolmente. Dal 2006 al 2022, la percentuale di immigrati nel panorama imprenditoriale è passata dal 6% a oltre il 10%, segno che la migrazione porta anche un valore aggiunto all’economia, creando nuove opportunità di lavoro e innovazione. È interessante notare che per ogni 10 nuovi migranti in età lavorativa, circa 2 posti di lavoro vengono creati attraverso l’imprenditoria. Un dato che, seppur positivo, non basta a risolvere la persistente difficoltà di integrazione nel mercato del lavoro.

Anche sul fronte delle richieste d’asilo, l’Italia si trova a dover fronteggiare numeri in forte crescita: nel 2023, le domande sono aumentate del 69%, raggiungendo il record di 131.000 nuove richieste, il più alto dal 2017. Tra i principali paesi di origine dei richiedenti, troviamo Bangladesh, Egitto e Pakistan, che rappresentano le prime nazionalità in ascesa. Questo evidenzia come l’Italia stia diventando una delle destinazioni principali in Europa per chi cerca protezione internazionale, con il rischio però di dover affrontare sfide relative all’accoglienza e all’integrazione.

Tendenze occupazionali e la sfida dell’integrazione

Se da un lato la migrazione è fonte di crescita economica, grazie anche all’imprenditorialità migrante, dall’altro il mercato del lavoro italiano sembra ancora non sfruttare appieno il potenziale della forza lavoro immigrata. Nonostante i dati Ocse mostrino un tasso di occupazione record del 71,8% tra gli immigrati nei paesi Ocse, l’Italia si colloca ancora sotto la media, con un tasso di occupazione del 64%.

Ma c’è anche un lato positivo in questo scenario: la percentuale di giovani immigrati Neet, ossia quelli che non sono né impegnati in studi né in lavori, è diminuita del 4,4% rispetto agli anni precedenti, facendo guadagnare all’Italia una posizione tra i paesi più virtuosi. Nonostante questo miglioramento, la tendenza resta quella di una maggiore difficoltà per i migranti di accedere a una formazione professionale che li aiuti a inserirsi nei settori chiave dell’economia.

L’Ocse sottolinea anche la crescente difficoltà di gestione dei rifugiati ucraini. In alcuni paesi dell’Europa centrale e orientale, come Polonia e Lituania, i rifugiati hanno trovato buone opportunità di inserimento nel mercato del lavoro, con tassi di occupazione superiori al 50%. In altri, come Germania e Austria, il dato scende notevolmente, rivelando quanto variabile possa essere l’integrazione dei rifugiati nei contesti locali.

Un altro punto cruciale riguarda il sistema di accoglienza in Italia, che sta attraversando un periodo di forte privatizzazione. Oggi, il 76% dei posti letto nel sistema di accoglienza è fornito da strutture private, con un’impennata nel numero di strutture residenziali che è aumentato del 67,5% dal 2012 al 2021. Questo fenomeno ha un impatto diretto sulla qualità dell’accoglienza, dato che la percentuale di sfollati ospitati in strutture temporanee è ora compresa tra l’85% e il 90%. L’Italia si trova quindi ad affrontare una sfida importante nella gestione di flussi migratori crescenti, con un sistema che sembra non sempre in grado di rispondere adeguatamente alla domanda.