Putin in questi giorni è tornato a minacciare l’Europa, che sempre più vede aleggiare lo spettro di un conflitto, forse anche nucleare, sul proprio capo. E se sono ormai quasi tre anni che la prospettiva di una ‘terza guerra mondiale’ si sta facendo strada tra gli europei, tanto che si moltiplicano gli appelli di militari ed esperti a ‘prepararsi’, in realtà per diversi analisti e commentatori la Terza Guerra Mondiale è già iniziata. E sta assumendo forme nuove oltre a quelle classiche.
Intanto quello che si può affermare con una certa sicurezza è che il conflitto Russia-Ucraina è il più importante e grave dal 1945 per l’Europa, e che può essere considerato anche come il conflitto più globale dai tempi della Guerra Fredda, messo a paragone solo con l’invasione sovietica dell’Afganistan nel 1979.
La progressiva internazionalizzazione delle ostilità
Detto questo, la progressiva internazionalizzazione delle ostilità è sotto gli occhi di tutti. Il conflitto Russia-Ucraina infatti sarebbe potuto rimanere ‘regionale’ solo se fosse finito presto. Così non è stato, ed è ormai palese il graduale coinvolgimento di molti altri Paesi.
A partire chiaramente dall’Europa, che fin da subito ha temuto per la sua stessa sicurezza e che, sebbene non abbia inviato uomini sul campo, i ‘boots on the ground’, ha fornito all’Ucraina materiale bellico fondamentale per resistere.
Ma sono entrati subito nella vicenda anche gli Usa, dietro la retorica del loro ruolo di sostenitori della democrazia. Un’immagine che dovrebbe subire un radicale cambio di rotta con l’insediamento alla Casa Bianca di Donald Trump tra un mese: il neo-eletto presidente americano infatti ritiene che la sicurezza europea sia un problema dell’Europa, e che questa debba impegnarsi molto di più economicamente. DI conseguenza, il tycoon intende ridimensionare gli aiuti a stelle e strisce all’Ucraina e minaccia di uscire direttamente dall’Alleanza Atlantica.
Finora, tuttavia, Nato e Ue hanno supportato Kiev fattivamente, con armi e fondi, dall’artiglieria agli obici, dai caccia F-16 ai missili a lungo raggio ATACMS. Inoltre l’Unione Europea ha continuamente sanzionato la Russia e sta portando avanti le richieste di Ucraina, Moldavia e Georgia di entrare a far parte del blocco, cercando di attrarre nella propria sfera Paesi prima nell’orbita sovietica.
Si tratta di aiuti fondamentali, senza i quali l’Ucraina già da molto tempo avrebbe dovuto alzare bandiera bianca.
A sua volta Putin ha lanciato l’offensiva in Ucraina ormai quasi tre anni fa giustificandola come necessaria mossa difensiva contro la Nato, che stava espandendo la sua influenza e mettendo in pericolo, sosteneva, l’indipendenza russa. In sostanza, da parte di Mosca tutto il conflitto si spiega in funzione anti-occidentale, una retorica da Guerra Fredda che ancora oggi fa presa in molte parti del Mondo, compreso il cosiddetto Sud globale. Ne sono un esempio i Paesi Brics, desiderosi di affrancarsi da un sistema internazionale che ha il suo perno nel Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale e in definitiva sul dollaro.
E ne sono un altro esempio il supporto che Putin ha ottenuto da altri Paesi come l’Iran, che ha fornito droni Shahed, la Corea del Nord e la Cina, tutti nemici a vario titolo degli Stati Uniti.
Il ruolo di Corea del Nord e Cina
In particolare, Pyongyang oltre a munizioni e missili ha recentemente mandato truppe sul campo, segnando un upgrade del conflitto e una sua ulteriore internazionalizzazione. Tra l’altro gli uomini inviati sono stati sostanzialmente gettati al massacro: rivelatisi inadeguati e male addestrati, come riportano i media locali e internazionali sono facili prede e stanno cadendo come mosche. Non che la cosa preoccupi Kim, il quale ha semplicemente detto che spedirà soldati meglio preparati.
Più indiretto ma fondamentale l’aiuto di Pechino, che nonostante abbia sempre negato di sostenere lo sforzo bellico russo, di fatto fornisce al Paese tutta una serie di elementi essenziali per rintuzzare le sanzioni europee e per portare avanti il conflitto. Tanto che secondo molti analisti se il Dragone togliesse il supporto alla Russia, le ostilità si avvierebbero a una rapida conclusione.
Non è un caso dunque che martedì scorso l’Europa abbia sanzionato per la prima volta entità cinesi per il sostegno alla Russia, nell’ambito del 15mo pacchetto di sanzioni approvato in sede di Consiglio degli Affari Esteri.
Una guerra ibrida
Ma la Russia agisce anche su altri fronti; la terza guerra mondiale infatti si combatte anche e forse soprattutto in maniera ibrida, attraverso le ingerenze e la manipolazione delle elezioni nazionali (l’ombra slava si è allungata recentemente su Moldova e Romania, e c’è preoccupazione per il prossimo voto in Germania a febbraio), sfruttando le divisioni del ‘fronte occidentale’, mettendo in campo azioni di sabotaggio, usando le migrazioni come mezzo per destabilizzare e sostenendo vari attori e gruppi anti-occidentali (un esempio in questo senso è l’aiuto dato agli Houthi dello Yemen per attaccare le navi occidentali nel Mar Rosso).
Insomma, mentre il conflitto si avvicina al suo terzo anniversario, i Paesi europei faticano ad ammettere di essere già in guerra con Mosca, forse anche perché sta assumendo un volto diverso rispetto alle classiche operazioni belliche sul terreno (che comunque non mancano).
La sottile linea rossa
In ogni caso, almeno al momento, nonostante le roboanti e sempre più estreme esternazioni verbali, i due blocchi sembrano rispettare un’informale linea rossa: Putin minaccia di bombardare l’Occidente – che a suo avviso starebbe spingendo la Russia oltre tale linea rossa obbligandola a reagire – ma i suoi uomini si stanno tenendo alla larga dal territorio ‘Nato’, anche se questo non tranquillizza i Paesi dell’Est che temono di essere invasi a loro volta e per questo sono molto attivi in termini di aiuti e sostegno all’Ucraina.
Dall’altra parte, l’idea di mandare soldati europei sul campo, ventilata mesi fa dal presidente francese Emmanuel Macron, ha trovato solo porte chiuse, così come, di fatto, la sua recente ipotesi di inviare forze di peacekeeping. Ipotesi circolata la scorsa settimana e raffreddata, tra gli altri, dal premier polacco Donald Tusk e dalla nuova capa della diplomazia Ue, l’estone Kaja Kallas, quest’ultima sottolineando come per mandare corpi di peacekeeping occorra prima di tutto che ci sia una pace da mantenere.
Tra l’altro anche in quel caso l’impegno per l’Unione sarebbe immenso, coinvolgendo una stima di 3-400 mila uomini: in sostanza tutti quelli a disposizione del blocco, che ricordiamo non ha un proprio esercito comune.
Una guerra sempre più internazionale, il cui esito verrà deciso ‘altrove’
Nel frattempo, il conflitto assomiglia più a una guerra di logoramento stile Prima guerra mondiale che a una terza guerra mondiale ad alta tecnologia, e dato che entrambe le parti hanno carenza di uomini, ecco che sul campo possono oggi trovarsi migliaia di stranieri, provenienti soprattutto da Paesi poveri, solleticati dalla promessa di lauti stipendi e della cittadinanza russa. Oltre alle truppe fornite da Pyongyang, Mosca ha reclutato combattenti da Cuba, India, Nepal, Siria, Serbia, Repubblica Centrafricana e Libia. L’Ucraina ha ribattuto con generosi incentivi finanziari e con la retorica della difesa della democrazia e della libertà.
Il risultato è che ci si avvia a chiudere il terzo anno di ostilità con una guerra di fatto sempre più internazionalizzata e il cui esito dipenderà sostanzialmente dalle decisioni prese in tutt’altre parti del Mondo, ovvero in Cina e Usa.
Trump ha detto e ripetuto in campagna elettorale che in virtù dei suoi ottimi rapporti con Putin avrebbe fatto cessare il conflitto in 24 ore, ma il nuovo presidente Usa ha anche bisogno di dimostrare agli americani che gli Stati Uniti non si piegano alla Russia; quindi, l’ipotesi di un cessate il fuoco con cessioni territoriali a Mosca – prima un tabù e ora sempre più un’ipotesi concreta – dovrà comunque essere calibrata in modo da non far sembrare che ci si sia inchinati a un Putin forte e vittorioso.
Quanto alla Cina, per il momento il supporto alla Russia la mette in posizione di forza rispetto al Paese slavo, in sostanza il conflitto le conviene, ed è tutto da vedere cosa deciderà di fare.
In mezzo a tante incognite, nel frattempo la Polonia ha schierato i sistemi di difesa norvegesi Nasams presso l’aeroporto di Rzeszów-Jasionka, a 80 chilometri dal confine con l’Ucraina, e attende l’arrivo degli F35. Un segnale che le minacce di Putin sono prese molto seriamente nel Paese, la cui invasione da parte della Germania di Hitler scatenò, solo 85 anni fa, la Seconda Guerra Mondiale