Parte da Roma, ma guarda a tutta l’Unione Europea la lettera congiunta firmata da nove paesi europei – Italia, Danimarca, Austria, Belgio, Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia e Repubblica Ceca – che invoca una “nuova e aperta conversazione” sull’interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). Un’iniziativa lanciata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal primo ministro danese Mette Frederiksen, presentata durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi.
“Su iniziativa della Danimarca e dell’Italia, noi – il gruppo di presidenti e primi ministri europei firmatari di questa lettera – condividiamo una ferma convinzione nei valori europei, nello Stato di diritto e nei diritti umani”, si legge nel documento. Ma la richiesta che segue è netta: “Crediamo che sia necessario esaminare come la Corte europea dei diritti dell’uomo abbia sviluppato la propria interpretazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.
Un passaggio che riflette la volontà dei firmatari di spingere per un aggiornamento normativo che tenga conto delle sfide attuali, in particolare quelle migratorie. “Il mondo – scrivono – è cambiato radicalmente da quando molte delle nostre idee sono state concepite sulle ceneri delle grandi guerre. Le idee in sé sono universali ed eterne. Tuttavia, oggi viviamo in un mondo globalizzato, in cui le persone migrano attraverso le frontiere su scala completamente diversa”.
L’obiettivo dichiarato non è quello di cancellare o indebolire la Cedu, ma – come ha chiarito Meloni – “rafforzarli, cioè di renderli più capaci di dare risposte al tempo in cui viviamo e ai problemi che oggi sono sentiti e che oggi vanno gestiti”.
Le espulsioni mancate e la percezione di ingiustizia
Un punto particolarmente sensibile sollevato nella lettera riguarda i limiti incontrati dagli Stati nel procedere con l’espulsione di cittadini stranieri colpevoli di gravi crimini. I firmatari citano “casi riguardanti l’espulsione di cittadini stranieri criminali in cui l’interpretazione della Convenzione ha portato a proteggere le persone sbagliate e ha imposto troppe limitazioni alla capacità degli Stati di decidere chi espellere dai propri territori”.
Un’accusa che punta dritto al cuore del problema percepito: la perdita del controllo su decisioni fondamentali per la sicurezza nazionale. “Secondo noi – prosegue la lettera – la sicurezza e l’incolumità delle vittime e della grande maggioranza dei cittadini rispettosi della legge è un diritto cruciale e determinante. E, come regola generale, dovrebbe avere la precedenza su altre considerazioni”.
Durante la conferenza stampa, la premier danese Frederiksen ha rilanciato questo tema con una frase che sintetizza l’urgenza del problema: “La realtà è che è troppo difficile per noi espellere stranieri che commettono reati dalle nostre società”. E ha aggiunto: “Dobbiamo essere in grado di proteggere i nostri cittadini dalle persone che vengono da altri Paesi che si comportano in un modo che non si dovrebbero comportare”.
La preoccupazione è condivisa anche da Giorgia Meloni, che ha denunciato “alcuni paradossi che abbiamo visto in questi anni”, come “quei casi in cui in applicazione della Convenzione europea per i diritti dell’uomo è stato impedito alle Nazioni di agire a difesa della sicurezza dei propri cittadini”.
Immigrazione, integrazione e insicurezza
Oltre alla sicurezza giuridica, la lettera tocca un altro punto critico: il bilancio dell’integrazione in Europa. I firmatari non negano i benefici apportati da molti immigrati regolari, “che hanno imparato le nostre lingue, credono nella democrazia, contribuiscono alle nostre società e hanno deciso di integrarsi nella nostra cultura”. Ma mettono anche in evidenza un’altra faccia della medaglia: “Altri sono arrivati e hanno scelto di non integrarsi, isolandosi in società parallele e allontanandosi dai nostri valori fondamentali di uguaglianza, democrazia e libertà”.

Nel documento si legge inoltre che “alcuni non hanno dato un contributo positivo alle società che li hanno accolti e hanno scelto di commettere crimini”. Una dinamica che, seppur riguardante una minoranza, “rischia di minare le fondamenta stesse delle nostre società”.
La premier Meloni, nel presentare l’iniziativa, ha voluto rimarcare che il problema “non è qualcosa che si può affrontare solo a livello di sicurezza”. Per affrontarlo davvero, serve una risposta ampia, multilivello, e soprattutto condivisa: “Nessuna Nazione nello stato attuale può risolvere questa problematica da sola”. Frederiksen ha aggiunto un punto politico: “All’inizio non è stato facile, c’erano pochi paesi e leader politici che sostenevano le nostre idee. Adesso non è più così: la maggior parte è seduta intorno allo stesso tavolo, c’è un processo concreto avviato da commissione che è quello di cui abbiamo bisogno”.
L’urgenza di difendere il perimetro della democrazia
Un ulteriore fronte di discussione riguarda l’uso strumentale dei diritti umani da parte di attori ostili. I leader firmatari avvertono: “Dobbiamo essere in grado di adottare misure efficaci contro Stati ostili che cercano di usare i nostri valori e i nostri diritti contro di noi. Ad esempio, strumentalizzando i migranti alle nostre frontiere”.
Un’accusa che apre il campo a una nuova lettura geopolitica del fenomeno migratorio: quello della migrazione come arma ibrida. L’iniziativa italo-danese non si limita, infatti, alla gestione interna del fenomeno migratorio, ma guarda anche al ruolo strategico delle frontiere esterne.
Secondo Giorgia Meloni, “dobbiamo pensare a nuovi strumenti per contrastare l’immigrazione clandestina”. E ha spiegato perché, ad esempio, l’Italia ha stretto un protocollo con l’Albania per trattare lì alcune richieste d’asilo: “Noi sappiamo che molti di questi migranti che entrano illegalmente in Italia, magari vogliono recarsi in Germania o in Danimarca, ma vogliono comunque rimanere in Europa. Quindi, se cominciamo a dire: guarda, i trafficanti non possono promettervi quello che invece vi promettono, perché in realtà voi non arrivate in Europa, finirete altrove… Questa è deterrenza e la deterrenza è lo strumento più potente di cui disponiamo”.
L’intenzione, ha precisato la presidente del Consiglio, non è affatto quella di demolire l’architettura giuridica europea: “Sgomberiamo subito il campo da eventuali polemiche: non è quello di indebolire le convenzioni o di indebolire i valori che quelle convenzioni incarnano”.
Ma allora qual è lo scopo? “Il nostro obiettivo è quello di rafforzarli”, ha sottolineato Meloni. E nel farlo, ha voluto anche chiarire un altro punto: “Pensiamo che questa discussione debba coinvolgere anche altri Paesi europei”.