L’Artico fa sempre più gola, e si trova ormai al centro di tensioni geopolitiche in crescita. Non ci sono solo le mire di Donald Trump, che vuole la Groenlandia per gli Usa e non esclude l’uso della forza per averla: anche Cina e Russia hanno molti interessi su queste terre ghiacciate e desolate, fino a poco tempo fa quasi sconosciute al grande pubblico. E se negli ultimi mesi la Groenlandia è finita al centro dei riflettori di tutto il mondo, ci sono anche movimenti meno eclatanti a testimoniare la rilevanza dell’area artica e la sua crescente importanza geopolitica, accentuata dallo scioglimento dei ghiacci che apre allo sfruttamento minerario e a nuove rotte navali e commerciali.
Uno di questi è la controversia nata un anno fa sulla vendita dell’ultimo pezzo di terra privato delle isole Svalbard, un arcipelago a metà strada tra la Norvegia – cui appartiene – e il Polo Nord.
Il caso Søre Fagerfjord: l’ultima proprietà privata delle Svalbard
Nel maggio 2024, una notizia ha attirato l’attenzione dei media e degli analisti: la messa in vendita per 300 milioni di euro di Søre Fagerfjord, un appezzamento di oltre 60 chilometri quadrati (circa le dimensioni di Manhattan) situato a circa 60 km da Longyearbyen, principale centro abitato delle isole Svalbard. Si tratta dell’ultima proprietà privata dell’intero arcipelago, gestita per oltre un secolo dalla holding Aktieselskabet Kulspids, fondata da ricche famiglie di Oslo per sfruttare le risorse naturali della zona.
L’area è finita così nel mirino di un consorzio di acquirenti norvegesi e internazionali, che affermano di voler proteggere l’area dai cambiamenti ambientali, come ha confermato Birgit Liodden, uno degli azionisti di minoranza che vende la terra e noto attivista per il clima: metà dei proventi andrebbe proprio a programmi di tutela.
Nonostante queste rassicurazioni, la vendita ha portato a galla timori profondi, non da ultimo perché tra gli interessati ci sarebbero anche soggetti cinesi, come ha confermato l’avvocato che rappresenta i venditori. Uno di questi, d’altronde, ha definito il territorio un “punto d’appoggio strategico nell’Alto Artico“, alimentando le preoccupazioni norvegesi (ed europee) legate a una presenza straniera sulle isole.
L’Artico nel mirino: tra melting point (punto di fusione) e tensioni globali
L’Artico dunque è sempre meno ghiacciato e sempre più conteso. L’apertura di nuove rotte commerciali e lo sfruttamento delle risorse minerarie, resi possibili dal riscaldamento globale, stanno trasformando la regione in un teatro di competizione internazionale. Da una parte gli Stati Uniti, attraverso le dichiarazioni di Trump sulla Groenlandia, dall’altra la Cina, che si autodefinisce dal 2018 “Paese vicino all’Artico”, stanno rimodulando la propria strategia polare, mentre la Russia non sta a guardare. Nel mezzo, l’Europa – e in particolare la Norvegia – si ritrova a difendere i propri interessi strategici.
La Norvegia infatti teme per la sicurezza nazionale, considerando non solo l’interesse sempre più forte delle potenze globali sull’Artico ma anche il più ampio contesto caratterizzato dalla rottura dell’Alleanza Atlantica che Trump sta portando avanti e dalle relazioni a dir poco problematiche con la Russia.
Secondo i servizi segreti norvegesi, la Cina rappresenta il più grande rischio per la sicurezza nazionale dopo la Russia. E ci sono dei segnali preoccupanti: ad esempio, l’anno scorso un turista cinese ha posato alle Svalbard in equipaggiamento militare, cosa che aveva portato le autorità a protestare con l’ambasciatore di Pechino.
Ad alimentare le preoccupazioni norvegesi, un articolo del South China Morning Post già mesi fa riportava che “la Russia sta cercando l’aiuto della Cina per sviluppare una rotta marittima artica che potrebbe quasi dimezzare i tempi di percorrenza tra Europa e Asia”, con un evidente vantaggio per il commercio. Per raggiungere questo obiettivo, ogni punto di appoggio nell’Artico diventa ancora più strategico.
Il governo norvegese vuole bloccare la vendita
Per questo motivo lo scorso anno il governo norvegese ha fatto sapere che è sua facoltà annullare l’accordo a causa di preoccupazioni geopolitiche, stabilendo che ogni trattativa o ogni vendita deve essere concordata in anticipo per motivi di sicurezza nazionale. “Il terreno non può essere venduto senza l’approvazione delle autorità norvegesi, né è possibile condurre trattative sulla proprietà”, aveva dichiarato ad Afp la ministra del Commercio e dell’Industria Cecilie Myrseth.
Myrseth aveva spiegato che l’intenzione dei proprietari di Søre Fagerfjord di vendere la proprietà e di essere “aperti ad attori che potrebbero mettere in discussione la legge norvegese sulle Svalbard” potrebbe “interferire con la stabilità dell’area e potenzialmente minacciare gli interessi norvegesi”.
Una posizione che la ministra ha ribadito a Bloomberg venerdì scorso. Sempre Bloomberg riporta che Liodden ha fatto sapere che non è stato avviato alcun dialogo con il governo norvegese.
Le isole Svalbard e il Trattato del 1920: spazio agli stranieri
Le Svalbard sono territorio abitato da circa 1600 norvegesi e da una comunità permanente russofona di circa 200 persone. La sua amministrazione è regolata da un Trattato del 1920 firmato da circa 45 Paesi, tra cui Russia, Cina e Stati Uniti, che riconosce la sovranità della Norvegia ma garantisce ai firmatari pari diritti di vivere e fare affari lì – compreso lo sfruttamento delle risorse – lasciando dunque spazio agli interessi stranieri.
La Russia, ad esempio, ha ancora almeno quattro proprietà sulle isole, tra cui una vecchia miniera gestita attraverso una compagnia statale. Inoltre ha più volte accusato la Norvegia di violare il Trattato del secolo scorso militarizzando l’arcipelago, cosa che la diretta interessata ha sempre negato.
Ma a essere sempre più interessati all’area artica sono i cinesi, sin dalla pubblicazione del Libro bianco sull’Artico nel 2018 nel quale Pechino si autodefiniva “Paese quasi-artico” ed evidenziava così il crescente ruolo che intende svolgere nella regione.
Lo Stato norvegese possiede il 99,5% delle Svalbard e ha reso grande parte del territorio, compreso Søre Fagerfjord, area protetta in cui sono vietati, tra le altre cose, la costruzione e il trasporto motorizzato. Ovviamente i venditori dell’appezzamento non la pensano così.
Cosa dicono i venditori: la Cina è interessata
Secondo il loro avvocato, Per Kyllingstad, l’accordo “è una buona soluzione, perché ci stiamo occupando del clima e non ci sono aspetti di sicurezza qui”. “È l’ultimo terreno privato delle Svalbard e, a nostra conoscenza, l’ultimo terreno privato nell’Alto Artico del mondo”, ha aggiunto.
Kyllingstad tuttavia ha riconosciuto con Afp che “i cinesi sono naturalmente potenziali acquirenti, poiché da tempo mostrano un interesse reale per l’Artico e le Svalbard”, e ha confermato di aver ricevuto “segnali concreti di interesse” dal Dragone.
L’Unione europea di fronte alla sfida artica
L’Unione europea non è firmataria diretta del Trattato delle Svalbard, e la Norvegia non è un suo Paese membro, ma è comunque coinvolta e ‘obbligata’ a riflettere sul ruolo dell’Artico per la sicurezza comune, la governance internazionale e la tutela ambientale. Le tensioni tra Norvegia, Cina e Russia dunque si inseriscono in una più ampia rivalutazione del posizionamento europeo nelle zone polari. La politica artica dell’Ue, che enfatizza l’approccio sostenibile, deve ora confrontarsi con logiche di potenza e sicurezza, fino a pochi anni fa più sotterranee e meno incalzanti.