Zelensky è pronto a cedere la Crimea? Secondo Trump sì

Donald Trump agita la diplomazia internazionale dichiarando che Zelensky sarebbe pronto a rinunciare alla Crimea. Ma è davvero così? Tra pressioni americane, resistenze ucraine e giochi di potere russi, il rischio di un accordo "imperfetto" è più concreto che mai
11 ore fa
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Roma, Morte Di Papa Francesco, I Funerali, Donald Trump Faccia A Faccia Con Zelensky Nella Basilica Di San Pietro
Zelensky e Trump a colloquio nella Basilica di San Pietro (Ipa/Fotogramma)

Zelensky sembrerebbe pronto a cedere la Crimea alla Russia, o, almeno, questo è quello che crede Donald Trump. Da un aeroporto del New Jersey, passando per la Basilica di San Pietro a Roma fino al cuore delle trattative tra Mosca e Kiev, il presidente americano ha dichiarato, infatti, ai giornalisti di credere che il premier ucraino sia pronto a “rinunciare” alla penisola occupata dai russi nel 2014. E lo ha fatto nel suo stile: diretto, spiazzante, sfoderando un misto di nostalgia per il “bel funerale” di Papa Francesco e di disinvoltura politica. Tra un’accusa a Obama e Biden e una strizzata d’occhio alla necessità di “chiudere la partita” con Mosca, Trump ha così ridisegnato, a modo suo, l’agenda dei negoziati. Ma Zelensky è davvero disposto a rinunciare alla Crimea? E quale gioco sta giocando Trump nei giorni più delicati per la pace in Ucraina?

Trump e Zelensky a tu per tu Roma

Nell’imponente cornice della Basilica di San Pietro, durante una giornata carica di emozioni e simbolismi, Trump e Zelensky si sono incontrati per un colloquio definito “molto positivo” dal tycoon americano. Il funerale di Papa Francesco ha offerto una scenografia tanto solenne quanto insolita per un confronto su guerra e diplomazia. Trump, con l’entusiasmo di chi racconta di aver avuto accesso “all’ufficio più bello” che abbia mai visto, ha descritto un Zelensky più calmo, determinato a “fare qualcosa di buono per il suo Paese” e consapevole della gravità della situazione.

Secondo il presidente americano, Zelensky avrebbe espresso ancora una volta la necessità di nuovi armamenti, una richiesta reiterata negli ultimi tre anni, ma avrebbe anche mostrato segnali di apertura su una questione tabù: la Crimea. “Credo che voglia raggiungere un accordo”, ha dichiarato Trump, aggiungendo che il presidente ucraino gli avrebbe confidato una possibile disponibilità a cedere la penisola occupata dai russi dal 2014. Una versione, quella di Trump, che stride fortemente con le dichiarazioni ufficiali di Zelensky, il quale solo pochi giorni fa aveva ribadito che “la Crimea appartiene al popolo ucraino” e che non esiste alcuna possibilità di riconoscere l’annessione russa.

Crimea, un territorio congelato tra passato e futuro

A dodici anni dall’annessione da parte della Russia, la Crimea continua a rappresentare uno dei principali focolai di tensione geopolitica mondiale. Per Mosca, la penisola è un territorio “riunificato” in base alla volontà popolare espressa nel referendum del 2014, benché contestato a livello internazionale; per Kiev, resta una regione occupata militarmente, la cui restituzione è condizione imprescindibile per qualsiasi accordo di pace.

Per il presidente americano, la questione della Crimea non dovrebbe nemmeno essere un tema nei negoziati attuali: “La Crimea fu ceduta da Obama e Biden senza sparare un colpo”, ha tuonato, tagliando corto qualsiasi tentativo di attribuire responsabilità all’amministrazione attuale. “Non parlate a me della Crimea, parlatene a loro”, ha rincarato, alimentando il suo personale revisionismo storico.

Questa narrazione, sebbene suoni conveniente per l’attuale inquilino della Casa Bianca, è stata subito accolta con favore da Mosca. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha sottolineato che Trump “ha riconosciuto una verità” e che la Crimea “non è nemmeno più un punto” di discussione. Lavrov ha approfittato per rimarcare la legittimità della presenza russa nella penisola e per denunciare l’ipocrisia occidentale, che, a suo dire, ignora la protezione delle minoranze linguistiche e culturali prevista dalla Costituzione ucraina. Una posizione che entra in collisione diretta con la dottrina ufficiale di Kiev, per cui la Crimea rimane parte integrante dell’Ucraina secondo diritto internazionale. Anche l’Europa si mostra scettica: il ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha ammonito che accettare la proposta americana equivarrebbe a “cedere troppo, troppo presto”.

Ultimatum alla diplomazia

Intanto, mentre l’inviato americano Steve Witkoff si recava a Mosca per strappare un impegno concreto sulla tregua, i bombardamenti russi sull’Ucraina continuavano senza sosta. La “delusione” di Trump per l’atteggiamento del Cremlino non ha tardato a manifestarsi, e il messaggio a Putin è stato tanto chiaro quanto ruvido: “Voglio che smetta di sparare, si sieda e firmi un accordo”. Dichiarazioni che mostrano come, al di là della retorica, anche l’ex presidente americano fatichi a fidarsi del leader russo.

Il segretario di Stato Marco Rubio ha rincarato la dose, lasciando intendere che gli Stati Uniti potrebbero ritirarsi dal ruolo di mediatori se non verranno registrati progressi concreti nei colloqui. “Deve accadere presto”, ha avvertito, ventilando la possibilità di concentrare gli sforzi su altre questioni strategiche. Una pressione che rischia di mettere ulteriore sabbia negli ingranaggi già fragili del processo negoziale, soprattutto alla luce delle divergenze profonde tra la proposta americana – che prevederebbe la ratifica di alcuni guadagni territoriali russi – e quella ucraina ed europea, che vorrebbe congelare il tema delle frontiere fino al raggiungimento di un cessate il fuoco.

Insomma, mentre Trump parla di “progressi”, la realtà è che le divergenze rimangono profonde. E il rischio che un accordo affrettato si trasformi in una resa travestita da pace è più concreto che mai.