Trump: “Zelensky e Putin? Due bambini che litigano al parco”

Non c'è limite alla fantasia nelle parole del tycoon
10 ore fa
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Donald Trump Afp
Il presidente Usa, Donald Trump (Afp)

Da bambini si giocava alla guerra con soldatini di plastica e truppe immaginarie. A volte i combattenti erano in carne ed ossa, ma dalle loro colorate pistole usciva solo acqua a pressione. Si fingeva di morire, ci si rialzava ridendo, si tornava a casa per la merenda. Ma quando Donald Trump paragona Russia e Ucraina a “due bambini che litigano al parco” e suggerisce di “lasciarli combattere ancora un po’“, non sta parlando di giochi. Sta parlando della vita di milioni di persone, che dal 24 febbraio 2022 vivono nel terrore.

Le dichiarazioni del presidente americano sono arrivate durante l’incontro con il cancelliere tedesco Friedrich Merz alla Casa Bianca. In una giornata già segnata dalla rottura pubblica con Elon Musk, Trump ha avvalorato una strategia che sembra uscita da un manuale di cinismo geopolitico.

Cosa ha detto Trump sulla guerra in Ucraina

“Forse è meglio lasciare che l’Ucraina e la Russia lottino un poco prima di dividerli”, ha dichiarato Trump, parlando del conflitto più sanguinoso in Europa dalla Seconda Guerra Mondiale in una rissa tra ragazzini. Il presidente americano ha spiegato ai giornalisti di aver condiviso questa visione con Vladimir Putin durante la loro conversazione telefonica del giorno precedente (4 giugno).

La metafora non è casuale. Trump vede se stesso nel ruolo dell’adulto che osserva la lite, pronto a intervenire quando i “bambini” si saranno stancati abbastanza. E non più entro i proverbiali cento giorni dall’inizio del suo mandato, ormai scaduti. “A volte è meglio lasciarli litigare per un po’ e poi separarli”, ha aggiunto, come se stesse descrivendo una strategia educativa. Solo che questi bambini nella loro cesta dei giocattoli hanno le testate nucleari.

Le telefonate di Putin

La giornata di ieri (5 giugno) ha visto Putin impegnato in una diplomazia telefonica intensa. Prima la chiamata con Trump, durata un’ora e 15 minuti, poi quella storica con Papa Leone XIV – la prima conversazione diretta tra un pontefice e il leader russo dall’inizio del conflitto.

A Trump, Putin ha comunicato “con molta fermezza” che dovrà rispondere all’operazione “Spider Web” ucraina, che ha distrutto 41 bombardieri russi in diverse basi aeree. Il presidente americano ha detto di aver cercato di dissuaderlo: “Ho detto: non farlo. Non dovresti farlo. Dovresti fermarti”. Ma Putin ha replicato che “deve” farlo, lasciando Trump in una posizione di impotenza diplomatica che ha preferito mascherare con cinismo. E alla fine lo ha fatto: poche ore dopo la telefonata, nella notte tra 5 e 6 giugno, l’esercito russo ha attaccato diverse città ucraine, tra cui Kiev, con 407 droni e oltre 40 missili balistici e da crociera, provocando almeno quattro morti.

Al Papa, Putin ha mostrato un volto diverso. Leone XIV ha fatto “un appello affinché la Russia faccia un gesto che favorisca la pace”, ricevendo rassicurazioni sulla disponibilità russa a “raggiungere la pace attraverso mezzi politici e diplomatici”. Putin ha detto a Prevost che la Russia cerca la pace, ma l’Ucraina vuole l’escalation militare. Il Vaticano ha sottolineato l’importanza del dialogo e degli sforzi del cardinale Zuppi per gli scambi di prigionieri.

Merz e la pressione europea

Friedrich Merz è arrivato alla Casa Bianca con una missione precisa: convincere Trump a esercitare “maggiore pressione sulla Russia”. Il cancelliere tedesco ha definito il presidente americano “la persona chiave al mondo” che può risolvere il conflitto, un complimento calibrato per lusingare l’ego trumpiano, dal momento che i fatti raccontano altro. Da quando gli Usa hanno aperto al Cremlino, gli attacchi russi sono aumentati mentre gli accordi per la pace sono rimasti in balia delle onde.

Le parole del cancelliere tedesco si sono scontrate contro un muro. Quando Merz ha sottolineato che “l’Ucraina sta colpendo solo obiettivi militari, non civili”, mentre “i russi colpiscono la popolazione civile”, Trump ha cambiato discorso parlando dei “dati positivi dell’economia americana”. Una fuga che rivela l’imbarazzo del tycoon di fronte ai morti del conflitto. Quelli in carne ed ossa, non i giocattoli.

La data per le sanzioni Usa? È nella testa di Trump

Un altro obiettivo di Merz era spingere gli Usa ad approvare nuove sanzioni contro Mosca, ma su questo Trump ha mantenuto la sua caratteristica ambiguità. “Imporrò sanzioni contro Mosca solo nel momento in cui mi renderò conto che non esiste più speranza per i negoziati”, ha dichiarato il presidente americano. Quando i giornalisti hanno chiesto una scadenza precisa, Trump ha risposto: “La scadenza è nella mia testa“.

Il tycoon ha tradito la (assente) strategia quando ha detto che potrebbe essere “duro con entrambi i Paesi” se non si fermano, equiparando aggressore e aggredito. Nulla di eccezionale se si pensa che a febbraio il tycoon aveva detto che “l’Ucraina non avrebbe mai dovuto iniziare la guerra“, salvo ‘dimenticarsene‘ due settimane dopo.

Il regalo di Merz e la memoria selettiva

In un momento di apparente leggerezza, Merz ha regalato a Trump una copia incorniciata del certificato di nascita del suo bisnonno Frederick, nato in Germania nel 1869. Un gesto simbolico per ricordare i legami storici tra America e Germania, ma anche un modo sottile per rammentare al presidente le sue radici europee.

Quando Trump ha scherzato che il D-Day “fu un brutto giorno per i tedeschi”, Merz ha replicato con dignità: “Certo, non è stato piacevole, ma alla lunga, signor presidente, questa è stata la liberazione del mio Paese dalla dittatura nazista“. Una lezione di storia che Trump ha preferito non approfondire.

Ma le parole che, invece, sono state pronunciate da Trump rivelano una strategia inquietante: lasciare che il conflitto si intensifichi fino a quando le parti non saranno così esauste da accettare qualsiasi compromesso. È la diplomazia del cinismo, dove la pace non è un obiettivo morale ma un calcolo strategico.

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