Salis sfida Orban: torna in Ungheria per il Pride vietato mentre 17 Paesi Ue condannano Budapest

Gli organizzatori della manifestazione rischiano il carcere
1 giorno fa
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Ilaria Salis e Viktor Orban (Alessandro Bremec/Maurizio Maule/Fotogramma)
Ilaria Salis e Viktor Orban (Alessandro Bremec/Maurizio Maule/Fotogramma)

Ilaria Salis si prepara a tornare in Ungheria per la prima volta dopo il carcere. L’11 febbraio 2023 fu la sua partecipazione a un corteo antifascista e i relativi scontri a far scattare l’arresto. Le immagini del suo processo, che ritraevano Salis incatenata alla stregua di un animale, hanno fatto il giro del mondo, ma, prima che i giudici arrivassero a una sentenza, l’ex insegnante è diventata eurodeputata (con Alleanza Verdi e Sinistra) e ha iniziato a godere dell’immunità parlamentare. Nel frattempo, pur senza una decisione sul caso, Salis è stata detenuta per quasi sedici mesi nel carcere di massima sicurezza di Gyorskocsi utca, dopo aver rifiutato un patteggiamento per 11 anni di detenzione.

Ora, l’ex detenuta, tornerà in terra ungherese per partecipare al Budapest Pride del 28 giugno, un’altra manifestazione invisa al premier Orban che negli scorsi mesi ne ha vietato l’esecuzione. Un guanto di sfida lanciato mentre diciassette Paesi europei condannano le politiche discriminatorie dell’Ungheria.

Cosa rischia chi partecipa al Pride di Budapest?

Salis volerà nella capitale ungherese dopo oltre un anno di assenza, guidando un gruppo di parlamentari europei nella partecipazione al Pride vietato. Il Parlamento ungherese ha vietato la manifestazione lo scorso 18 marzo: chi partecipa rischia multe fino a 500 euro, una cifra molto vicina al salario minimo, in Ungheria. Chi organizza gli eventi vietati rischia fino a un anno di carcere.

Tuttavia, Salis e i colleghi europarlamentari godono dell’immunità parlamentare, che li mette al riparo da arresti nonostante l’Ungheria abbia ripetutamente chiesto all’Unione di revocare questa protezione. Domani, 28 maggio, gli organizzatori del Budapest Pride chiederanno l’autorizzazione al Comune, che avrà 48 ore per rispondere. Una partita a scacchi dove ogni mossa viene calcolata con precisione chirurgica.

Diciassette Paesi contro le decisioni di Orban

Da tempo, molti Paesi europei sottolineano come l’Ungheria di Orban propugni politiche contrarie ai valori europei. Da ultimo, la messa al bando del Pride ha scatenato una reazione senza precedenti da parte di diciassette Stati membri dell’Unione Europea. Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Spagna e Svezia hanno espresso “profonda preoccupazione” per le misure che considerano violazioni dei diritti umani fondamentali. L’Italia, vista l’affinità ideologica tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il leader di Fidesz, non figura tra i firmatari della dichiarazione.

I diciassette Paesi citati hanno definito gli sviluppi ungheresi “contrari ai principi fondamentali di dignità umana, libertà, uguaglianza e rispetto dei diritti umani”.

Lo scenario non è nuovo. Dal 2020 il governo ungherese si accanisce contro i diritti delle persone Lgbtqia+: ha vietato il riconoscimento legale delle persone trans, ha cancellato da gran parte della dimensione pubblica le minoranze sessuali e di genere, ha impedito le adozioni alle coppie omosessuali e ha emendato la Costituzione definendo la famiglia valida solo se fondata sulla “unione di un uomo e di una donna.

L’Ungheria di Orban, più vicina a Mosca che a Bruxelles

Ma le tensioni sui diritti Lgbtq+ rappresentano solo la punta dell’iceberg. L’Unione Europea aspetta l’Ungheria al varco per una questione ancora più grave: il disegno di legge sulla “trasparenza della vita pubblica” presentato da Fidesz. Il provvedimento darebbe al governo l’autorità di congelare i finanziamenti provenienti dall’estero per ong, media e altre entità ritenute minacce alla sovranità nazionale, in base a “liste nere” compilate dal controverso Ufficio per la protezione della sovranità. Un provvedimento che ricalca da vicino una legge in vigore nella Russia di Vladimir Putin, che ufficialmente prende di mira i cosiddetti “agenti stranieri” ma che di fatto imbavaglia il dissenso contro il regime dello zar. La Commissione ha minacciato azioni legali se la legge venisse adottata, sottolineando che “ci sarebbe una grave violazione dei principi e delle leggi europee”.

L’isolamento ungherese si riflette in una strategia geopolitica che privilegia sistematicamente i rapporti con Mosca rispetto all’integrazione europea. Il governo Orban ha bloccato gli aiuti militari all’Ucraina, ostacolato i negoziati sulle sanzioni contro la Russia e si è opposto a ipotetiche operazioni Nato contro Mosca. La dipendenza energetica dalla Russia costituisce il fulcro di questa strategia: l’85% del gas naturale e il 60% del petrolio ungheresi arrivano dalla Federazione Russa mentre Bruxelles ha annunciato la totale indipendenza dal gas russo a partire dal 2027.

Orban ha stimato che un embargo totale costerebbe all’Ungheria 800 miliardi di fiorini annui, comportando un raddoppio delle bollette elettriche e una quadruplicazione di quelle del riscaldamento. “Vogliamo tenere l’Ucraina fuori [dall’Ue] a tutti i costi perché se la facciamo entrare, risucchierà tutti i nostri soldi come una spugna”, ha dichiarato il premier ungherese che continua a fare ostruzionismo sulle decisioni europee, delineando quella che molti definiscono una Unione di 26 Paesi più 1.

La procedura dell’Articolo 7: verso la sospensione dei diritti di voto

L’escalation delle tensioni ha raggiunto l’ottava audizione della procedura dell’Articolo 7, con discussioni imminenti sulla potenziale sospensione dei diritti di voto di Budapest. Una misura che, se confermata, sarebbe senza precedenti nella storia dell’Unione ed evidenzia il livello di conflitto raggiunto su stato di diritto, libertà dei media, indipendenza della magistratura e lotta alla corruzione.

Per attivare il cosiddetto “braccio preventivo” dell’articolo 7 serve una soglia dei quattro quinti – 22 Stati membri su 27 – ma al momento sarebbero d’accordo solo in 19. La Slovacchia di Robert Fico, che a tratti delinea una Unione a 25 Stati più 2, ha chiarito che bloccherebbe qualsiasi tentativo di punire l’Ungheria.

Il partito governativo Fidesz giustifica le restrizioni sui Pride sostenendo che l’evento “potrebbe comportare rischi per i bambini”, affermando che “la protezione dei minori ha la precedenza sul diritto di assemblea pubblica”. I mezzi d’informazione pro-Orban definiscono il Pride “una provocazione illegale” che ha l’obiettivo di “corrompere i giovani(ricorda qualcuno?). Ma il 28 giugno le persone Lgbtq+, i movimenti per i diritti umani e quella parte della società civile non ancora “orbanizzata” intendono scendere in piazza.

L’emergere di Péter Magyar come “rockstar” politica in contrapposizione a Orban promette riconciliazione con Bruxelles, adozione dell’euro e sostegno a una leva militare paneuropea. Posizioni che lo rendono il candidato ideale per un’eventuale alternanza di potere gradita alle istituzioni europee, in un Paese che sembra sempre più stanco dell’isolamento internazionale.

Il mondo guarda: isolamento internazionale oltre i confini europei

Internazionale è l’aggettivo giusto, perché l’isolamento dell’Ungheria di Orban non si limita ai confini europei. La comunità internazionale osserva con crescente preoccupazione la deriva autoritaria ungherese, particolarmente dopo l’adozione della legislazione anti-Lgbtq+. Organizzazioni per i diritti umani di tutto il mondo hanno condannato le misure ungheresi, considerandole una violazione degli standard internazionali sui diritti umani.

Gli Stati Uniti hanno espresso preoccupazione attraverso i canali diplomatici, anche se il duo Trump-Vance è molto vicino al leader ungherese sul tema dell’aborto, che entrambe le amministrazioni vogliono vietare.

mentre il Canada ha inserito l’Ungheria tra i Paesi sotto osservazione per le violazioni dei diritti civili. Anche l’Australia ha criticato pubblicamente le politiche discriminatorie di Budapest. L’isolamento si estende ai forum internazionali come dimostra il fatto che, nelle Nazioni Unite, l’Ungheria si trova spesso in minoranza su questioni relative ai diritti umani, allineandosi più frequentemente con Russia, Cina e altri regimi autoritari che con le democrazie occidentali.