La Corte di Giustizia dell’Ue ha respinto definitivamente il ricorso degli indipendentisti catalani Carles Puigdemont e Antoni Comín contro il rifiuto dell’allora presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, di riconoscere loro lo status di eurodeputati nel giugno 2019.
Secondo la CGUE, il Tribunale dell’Unione europea (TGEU) che si era espresso in primo grado confermando la decisione di Tajani, è corretta perché “il presidente del Parlamento europeo non può discostarsi dall’elenco dei deputati eletti che le autorità spagnole gli avevano ufficialmente notificato”.
Per essere più chiari, i giudici europei hanno sottolineato come “il presidente del Parlamento non abbia alcun potere di controllo sull’esattezza di tale elenco, pena la violazione della distribuzione delle competenze tra Unione e Stati membri”. Il controllo, infatti, compete “esclusivamente ai tribunali nazionali”.
Ma perché i due catalani, pur avendo vinto le elezioni europee nel 2019, non erano presenti nell’elenco degli eletti fornito dal governo spagnolo?
Tutto ha inizio dal referendum sull’autodeterminazione del 2017
La storia, alquanto articolata, ha avuto inizio nel 2017. Il primo ottobre di quell’anno infatti si è tenuto in Catalogna un contestatissimo referendum sull’autodeterminazione della regione, giudicato illegale dal governo spagnolo che ha conseguentemente avviato un procedimento penale a carico di Carles Puigdemont i Casamajó e Antoni Comín i Oliveres (all’epoca, rispettivamente, presidente e membro del governo autonomo della Catalogna).
Dato che i due avevano lasciato la Spagna, il procedimento è stato sospeso e sono stati emessi mandati di arresto nazionali. Da allora non possono rientrare nel Paese, pena l’arresto, anche se Puigdemont è stato protagonista di una rocambolesca apparizione a Barcellona.
In seguito, nel maggio 2019, Puigdemont e Comín sono stati eletti alle europee, ma la legge spagnola prevede che i candidati eletti si rechino a Madrid per giurare fedeltà alla Costituzione. I due ovviamente non lo hanno fatto, ragion per cui il governo non li ha iscritti nell’elenco degli eletti da accreditare all’Europarlamento. La Commissione elettorale anzi dichiarò la vacanza dei loro seggi e la sospensione di tutte le loro prerogative, fino a quando non avessero giurato.
Per questo motivo Tajani il 29 maggio 2019 adottò un’istruzione nella quale si indicava, da un lato, di negare a tutti i candidati eletti in Spagna il ‘servizio speciale di accoglienza’ fornito ai neoeletti e, dall’altro, di non procedere al loro accreditamento, fino alla conferma ufficiale dell’avvenuta elezione.
Puigdemont e Comín gli chiesero espressamente di revocare l’istruzione e di consentire loro di poter prendere possesso dei loro seggi e godere dei diritti connessi al loro status di membri del Parlamento europeo i quali, ricordiamo, c’è l’immunità parlamentare.
Ma nel giugno seguente il presidente li informava che non poteva considerarli come futuri membri dell’Aula, dato che i loro nomi non comparivano nell’elenco dei candidati eletti trasmesso dalle autorità spagnole.
Perciò i due presentarono ricorso al Tribunale dell’Ue, che lo respinse nel 2022 dichiarandolo irricevibile, poiché i contestati dinieghi del presidente del Parlamento Europeo non erano impugnabili.
I due politici si rivolsero allora alla Corte di Giustizia, che nella sentenza di oggi ha respinto a sua volta l’impugnazione. Il Tribunale, per i giudici, ha correttamente dichiarato che il presidente del Parlamento non poteva discostarsi dall’elenco degli eurodeputati eletti che gli era stato ufficialmente notificato dalle autorità spagnole.
Il presidente del Parlamento, osservano i giudici, si è limitato a fare quello che doveva fare, cioè prendere atto dell’elenco dei deputati eletti comunicato dalle autorità spagnole.
Per quanto riguarda l’istruzione del 29 maggio 2019, il Tribunale per la Corte non ha commesso errori affermando che non era quell’atto il motivo per cui Puigdemont e Comín non potevano sedere nel Parlamento Europeo: l’istruzione del 29 maggio 2019 non modificava la loro situazione giuridica.
La storia si ripete: per Comín si complica di nuovo l’entrata in carica
La sentenza di oggi è stata un po’ una sorpresa, perché non ha seguito il parere del procuratore generale della Cgue Maciej Szpunar, che si era espresso sostenendo che Tajani non doveva negare l’accesso all’Eurocamera ai due eurodeputati perché, in tal modo, aveva “messo in discussione i risultati elettorali ufficialmente proclamati”.
Sebbene questi pareri non siano vincolanti, generalmente funzionano da guida per le decisioni finali della Corte. Non sempre, come si può vedere da questo caso.
E sebbene la legislatura oggetto del contendere si sia ormai conclusa, la sentenza ha ripercussioni anche sull’attualità: a cinque anni dagli eventi che hanno portato al ricorso, la storia infatti si ripete: Comín, candidato Junts rieletto all’Europarlamento nelle elezioni dello scorso giugno, a tutt’oggi non può recarsi a Madrid per giurare, di conseguenza il Consiglio Elettorale Centrale anche stavolta ha lasciato il suo seggio vacante. L’attuale presidente del Parlamento europeo, la popolare Roberta Metsola, come Tajani non può dunque consentire l’entrata in carica del catalano, anche se era in attesa della sentenza odierna per prendere una decisione in merito.
Ma a favore di Comín c’è la sentenza emessa dalla Corte a dicembre 2019 sul caso di Oriol Junqueras Vies, altro indipendentista catalano che aveva vinto le elezioni pur essendo detenuto dal 2017 sempre per il referendum sull’indipendenza del 2017 dopo il quale Puigdemont e Comín fuggirono all’estero.
La Corte in questo caso aveva deciso un candidato al Parlamento europeo diventa eurodeputato con la proclamazione dei risultati del voto, e che tale nomina non può essere ostacolata da regole nazionali. Proprio in seguito a questa pronuncia, Comín e Puigdemont vennero proclamati ufficialmente eurodeputati a gennaio 2020 da David Sassoli, successore di Tajani alla presidenza dell’Eurocamera.