Papa Francesco e l’Ue: dall’Ucraina alle politiche green, passando per le divergenze sui diritti Lgbt

Più punti di contatto che divisioni nei dodici anni di pontificato di Bergoglio, che si è speso in prima persona per la tutela del clima e dell’ambiente
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Papa Francesco Ursula Von Der Leyen Ipa Ftg
La presidente della Commissione Ue fa visita a Papa Francesco, 10 giugno 2022 (Ipa/Ftg)

Mentre il mondo rende omaggio a Papa Francesco, ripercorriamo il suo rapporto con l’Unione Europea lungo i dodici anni di pontificato, iniziato il 13 marzo 2023 con un semplice “Buonasera” immediatamente consegnato alla storia. Un legame che ha superato confini geografici e ideologici, plasmando dibattiti su migranti, ambiente e diritti umani e dando un nuovo significato al dialogo tra Città del Vaticano e Bruxelles.

Le radici europee di Bergoglio e la scelta dell’italiano

Pur essendo nato a Buenos Aires il 17 dicembre 1936, Jorge Mario Bergoglio portava nel suo Dna un’identità profondamente europea. Il bisnonno paterno era originario di Montechiaro d’Asti, mentre la nonna paterna proveniva dalla provincia di Savona. Da parte materna, i nonni erano originari del genovese e dell’alessandrino.

Il padre, Mario Bergoglio, era un funzionario delle ferrovie che nel 1928 aveva lasciato Genova per cercare fortuna in Argentina dove sarebbe nato il futuro Pontefice.

Questa eredità italiana non è mai stata dimenticata da Papa Francesco, che ha sempre mantenuto un legame speciale con l’Italia, Paese che lo ha accolto come vescovo di Roma. Bergoglio ha immediatamente manifestato profonda familiarità con la cultura locale e ha visitato decine di città italiane prediligendo le periferie urbane e le comunità colpite da tragedie.

L’italiano come lingua universale della Chiesa

Un elemento distintivo del pontificato di Francesco è stata la scelta dell’italiano come lingua principale per comunicare con il mondo. Non si è trattato di un ripiego “provinciale”, ma di una decisione con profonde ragioni storiche e simboliche. Come ha sottolineato Antonio Socci, “il Papa è il Vicario di Cristo e il Successore di Pietro perché è il Vescovo di Roma”, quindi parla “la lingua di Roma che è l’italiano”.

Questa scelta linguistica ha avuto un impatto culturale significativo, facendo dell’italiano un veicolo di comunicazione globale. Nei messaggi “Urbi et Orbi” dei giorni di Natale e di Pasqua, Francesco ha sempre usato esclusivamente l’italiano, a differenza dei suoi predecessori che facevano gli auguri in numerose lingue. Anche l’annuncio della sua morte, fatto dal cardinale camerlengo Farrell, è stato in italiano, confermando il ruolo di questa lingua come voce ufficiale della Chiesa universale.

Papa Francesco e l’ambiente: un’alleanza strategica con l’Ue

L’enciclica “Laudato si’” del 2015 ha rappresentato un punto di svolta nel rapporto tra la Santa Sede e l’Unione Europea, creando una convergenza senza precedenti sui temi ambientali. Il documento, che ha posto l’accento sullo stretto legame tra crisi ecologica e crisi sociale dell’umanità, ha avuto un impatto diretto sulle politiche europee dell’allora primo mandato von der Leyen.

L’influenza sul Green Deal europeo

La pubblicazione dell’enciclica ha suscitato una reazione straordinaria nelle istituzioni europee. Come ha testimoniato un funzionario della Commissione, “per settimane non si è parlato di altro nelle riunioni e nei corridoi delle istituzioni europee”. Le indicazioni contenute nel piano Green Deal, lanciato dalla Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, risentono fortemente delle sollecitazioni della “Laudato si’”.

Nel 2021, la Santa Sede ha formalizzato questa collaborazione istituendo un gruppo di lavoro congiunto con l’Ue sulla transizione ecologica e la lotta alla povertà. Questo dialogo strutturato ha permesso di integrare la visione etica del Vaticano nelle politiche ambientali europee, in particolare nell’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050. François Hollande, allora presidente francese, riconobbe pubblicamente che l’enciclica “creò un terreno fertile per l’Accordo di Parigi sul clima”, contribuendo a superare alcuni ostacoli nei negoziati globali. La stessa von der Leyen citò il testo papale nel suo discorso di insediamento del 2019, sottolineando l’importanza di una “conversione ecologica” che tenesse insieme giustizia ambientale e sociale.

Questa sintonia si è concretizzata nel 2021 con la creazione di un gruppo di lavoro congiunto Santa Sede-Ue su transizione ecologica e lotta alla povertà, formalizzando un dialogo che Francesco aveva avviato informalmente con lettere e incontri. Il Papa ha continuato il suo impegno ambientale con l’esortazione “Laudate Deum” del 2023, pubblicata in vista della Cop di Dubai negli Emirati Arabi. In questo documento, il Papa ha ribadito che “per quanto si cerchi di negarli, nasconderli, dissimularli o relativizzarli, i segni del cambiamento climatico sono lì, sempre più evidenti”, esortando a “porre finalmente termine all’irresponsabile presa in giro che presenta la questione come solo ambientale, ‘verde’, romantica, spesso ridicolizzata per interessi economici”. Parole che risuonano come un severo ammonimento nei confronti di chi minimizza la crisi climatica e le sue cause antropogeniche, come la senatrice repubblicana Mary Miller che negli scorsi giorni ha definito il climate change “una farsa“.

Papa Francesco e la sua “offensiva per la pace” in Ucraina

La guerra in Ucraina è stata uno dei banchi di prova più difficili per Papa Francesco. Fin dall’inizio della crisi, il Pontefice ha cercato di svolgere il ruolo di costruttore di ponti e messaggero di pace, fedele alla sua vocazione di pastore universale che sta sopra le parti politiche.

Il 25 febbraio 2022, il giorno dopo l’invasione russa, il Papa si recò in visita non annunciata all’ambasciata russa presso la Santa Sede a Roma per chiedere di fermare le armi – un gesto senza precedenti nella diplomazia vaticana. Ha mandato alcuni suoi emissari sul campo come il cardinale polacco Konrad Krajewski, suo elemosiniere, che ha portato più volte aiuti nell’Ucraina assediata.

Francesco ha definito la sua strategia come “un’offensiva per la pace”, inviando come suo rappresentante il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, in missione a Kiev, Mosca e Washington. I suoi sforzi hanno portato a risultati concreti, come la facilitazione dello scambio di prigionieri e l’attivazione di percorsi per il rimpatrio in Ucraina dei bambini trasferiti in Russia.

Le controversie e le critiche

La linea di Francesco non è stata priva di critiche in Europa, specialmente tra alcuni fedeli e politici dell’Est. Il Papa ha sempre evitato di demonizzare la Russia o Putin per salvare l’ipotesi di una mediazione, offrendo il fianco a chi lo riteneva poco incline a condannare esplicitamente l’aggressore.

Una dichiarazione rilasciata al Corriere della Sera nella primavera 2022 esacerbò i toni: “Forse l’abbaiare della Nato alle porte della Russia ha indotto Putin a reagire male e a scatenare la guerra in Ucraina”. Questa affermazione venne interpretata da molti come una critica all’allargamento dell’Alleanza a Est e quasi una giustificazione dell’azione di Mosca. Fece ancora più discutere, nel marzo 2024, l’appello all’Ucraina ad avere “il coraggio della bandiera bianca” e negoziare la pace con la Russia, che provocò il risentimento di Zelensky e di molti leader occidentali.

La Santa Sede dovette precisare, attraverso il direttore della sala stampa vaticana Matteo Bruni, che “il Papa usa il termine bandiera bianca, riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare la cessazione delle ostilità, la tregua raggiunta con il coraggio del negoziato”, sottolineando che “il negoziato non è mai una resa”. Nonostante queste controversie, Francesco non ha mai fatto marcia indietro sulla condanna della guerra: ha definito il conflitto in Ucraina “disumano, sacrilego, una pazzia”, paragonandone le devastazioni a quelle della Seconda guerra mondiale. Analogia che di recente è stata ripresa dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella provocando l’ira e la ‘vendetta hacker‘ di Mosca.

Durante una videoconferenza con duecentocinquanta giovani ucraini nel febbraio 2025, Francesco ha mostrato il suo lato più personale nel rapporto con il conflitto, mostrando un rosario appartenuto a un giovane soldato ucraino caduto al fronte, Oleksandr. “È uno di voi”, disse il Papa, “un giovane che ha dato la vita per la pace”. Nonostante ascoltasse testimonianze dure, come quella di Julia, 27 anni, che definì la guerra “un genocidio contro gli ucraini”, Francesco ha sempre esortato al perdono piuttosto che alla vendetta.

Negli ultimi mesi di vita, ha rafforzato i toni verso la Russia, definendo ingiustificata l’invasione e pregando esplicitamente per il “martoriato popolo ucraino“.

Lo scontro sui diritti LGBTQ+: tra aperture pastorali e difesa della dottrina

Il rapporto di Papa Francesco con la comunità LGBTQ+ ha rivelato più di ogni altra questione il duplice volto del suo pontificato: innovatore nelle dichiarazioni, conservatore nella dottrina. Un equilibrio che ha generato dibattiti intensi anche all’interno delle istituzioni europee, dove i diritti delle persone LGBTQ+ sono parte integrante dell’agenda sui diritti umani.

All’inizio del suo papato, nel 2013, Francesco pronunciò la frase che avrebbe segnato la percezione del suo pontificato: “Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”. Un anno dopo, pur ribadendo che l’unico “matrimonio è tra un uomo e una donna”, riconobbe in un’intervista al Corriere della Sera l’esistenza delle unioni civili, affermando che gli sforzi per “regolare diverse situazioni di convivenza” rispondono alla necessità di tutelare diritti economici e sanitari. A livello globale, Francesco ha condannato più volte le leggi che criminalizzano le persone LGBTQ+, definendole “ingiuste” in quanto “Dio ama tutti i suoi figli così come sono”. Una posizione che lo ha allineato con le politiche dell’Ue sulla depenalizzazione dell’omosessualità nei Paesi terzi.

L’atto più significativo è stato l’emissione del decreto Fiducia Supplicans nel 2023, che ha autorizzato i sacerdoti a benedire i cattolici in relazioni omosessuali e altre “situazioni irregolari”. Un passo che ha suscitato reazioni contrastanti: apprezzamento nei Paesi europei più progressisti, critiche nei settori più conservatori e in diverse nazioni africane. Francesco ha continuato a ribadire che, secondo il catechismo cattolico, sebbene essere omosessuale non sia peccaminoso, gli atti omosessuali lo sono.

Sulla gestazione per altri, Francesco ha mantenuto una posizione fermamente contraria, chiedendo nel gennaio 2024 alla comunità internazionale di “vietare questa pratica in modo universale”, definendola “deprecabile” in quanto “lede gravemente la dignità della donna e del figlio”. Una posizione che lo ha messo in contrasto con le tendenze legislative di alcuni paesi europei e con una parte delle istituzioni Ue, ma condivisa dall’esecutivo Meloni che ha dichiarato la Gpa un reato universale.

Il dialogo con le istituzioni europee

Il momento più emblematico del rapporto tra Francesco e l’Ue è stato il suo discorso al Parlamento Europeo del novembre 2014. In quell’occasione, Francesco descrisse l’Europa come “una nonna non più fertile e vivace” ed esortò i leader a ridarle vitalità attraverso la centralità della persona umana, la solidarietà e l’accoglienza. Quella critica, che suscitò una standing ovation trasversale nell’emiciclo di Strasburgo, conteneva l’invito a riscoprire la dignità umana: “L’Europa ritrova speranza nella solidarietà, che è anche il più efficace antidoto ai moderni populismi”, affermò, invitando l’Unione europea a non lasciarsi dividere da egoismi nazionali.

Nel 2016, Francesco ricevette il prestigioso Premio Carlo Magno, assegnatogli ad Aachen proprio per il suo contributo all’unità europea. In quell’occasione, delineò il suo “sogno di un nuovo umanesimo europeo”, immaginando “un’Europa giovane, capace di essere ancora madre, una madre che rispetta la vita e offre speranze di vita”. Più volte, Bergoglio ha evidenziato i rischi della crisi demografica sostenendo che dipenda soprattutto da un cambiamento culturale che mette in secondo piano la procreazione preferendo “cagnolini e gatti ai figli”.

I rapporti con Bruxelles si sono intensificati negli anni. Ursula von der Leyen ha incontrato il Papa in Vaticano almeno due volte, discutendo di pandemia, migranti e cambiamenti climatici. In un gesto simbolico, la presidente della Commissione regalò al Papa una copia della Dichiarazione Schuman del 1950, mentre Francesco le donò i suoi documenti programmatici pontifici, quasi a sancire una convergenza di ideali tra il progetto europeo e la visione sociale della Chiesa.

Alla notizia della morte del Pontefice, von der Leyen ha espresso il suo cordoglio sottolineando come Francesco abbia “ispirato milioni di persone, ben oltre la Chiesa cattolica, con la sua umiltà e il suo amore puro per i meno fortunati”. Roberta Metsola, presidente del Parlamento Europeo, lo ha definito “il Papa del popolo”, ricordando “il suo amore per la vita, la speranza per la pace, la compassione per l’uguaglianza e la giustizia sociale”.

Frank-Walter Steinmeier, presidente tedesco che parteciperà ai funerali insieme a Costa e von der Leyen, ha ringraziato Francesco per “il suo impegno a favore delle persone svantaggiate, dei poveri, degli emarginati, degli sfollati e dei rifugiati”, riconoscendolo come “un Papa importante” per cui “tutti dovranno essergli grati”.

L’eredità di Bergoglio per l’Europa

L’eredità di Papa Francesco per l’Europa è quella di una “coscienza critica” che ha cercato di costruire ponti tra le radici cristiane del continente e le sfide del presente. Ha esortato l’Europa a ritrovare la sua anima, a non sacrificare gli ideali fondativi alle necessità economiche e a rimettere al centro la persona con i suoi diritti inalienabili.

In un continente in cui il 26% della popolazione si dichiara non religiosa (Eurobarometro 2023), Francesco ha adottato una strategia innovativa: parlare di valori universali più che di dottrina. Durante la visita ad Amsterdam nel 2022, disse ai giovani: “Non importa se credete in Dio o no. Ciò che conta è costruire ponti, non muri”. Gli stessi muri hanno segnato l’invalicabile distanza tra Papa Francesco e Donald Trump, che ha fatto del contrasto alla immigrazione un pilastro della sua politica. Il primo vero incontro-scontro tra i due leader risale al 2016, durante la campagna elettorale americana. Francesco, visitando il confine tra Stati Uniti e Messico, pronunciò parole destinate a entrare nella storia: “Una persona che pensa solo a costruire muri, e non ponti, non è cristiana”. La reazione dell’allora candidato alla Casa Bianca arriva fulminea. “Vergognoso mettere in discussione la fede di un uomo”, tuona, accusando il Pontefice di essere caduto nella rete della “propaganda messicana”.

Coerentemente con il suo spirito e i suoi valori progressisti, Bergoglio ha rinnovato l’attrattiva del messaggio cristiano anche in Europa. La Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona 2023 attirò 1,5 milioni di partecipanti, molti dei quali atei o agnostici, attratti dal messaggio di inclusione. “Ha reso il Vangelo rilevante per una generazione che vive di TikTok”, scrisse Le Monde.

Nel suo ultimo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, citato dal presidente del Consiglio Ue Antonio Costa, Francesco ha proposto “tre azioni affinché si realizzi un cambiamento duraturo: il perdono del debito internazionale, l’abolizione della pena di morte e la riassegnazione dei fondi militari per porre fine alla fame”. Un testamento spirituale e politico che riassume la sua visione per un’Europa più giusta e solidale.

Come ha affermato Costa nel suo messaggio di cordoglio: “Possano le sue idee continuare a guidarci verso un futuro di speranza”.

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