L’Ungheria è ormai un “regime ibrido di autocrazia elettorale” e deve essere sanzionato. L’affermazione, e la conseguente richiesta, vengono dall’Europarlamento, che ieri ha discusso e approvato un rapporto alquanto pesante sullo stato di diritto nel Paese guidato da Viktor Orbán.
Nonostante l’Eurocamera sia spostata verso destra, il rapporto ha ottenuto una grandissima maggioranza, con 415 voti favorevoli, 193 contrari e 28 astensioni. I ‘no’ sono venuti da Conservatori e Riformisti (Ecr), Patrioti per l’Europa (Pfe) e Sovranisti (Esn). Per il Bel Paese, Fratelli d’Italia (Ecr) e Lega (Pfe) hanno votato contro e Forza Italia a favore (tranne Massimiliano Salini, astenuto). A sinistra, favorevoli il Partito democratico (S&d), il Movimento 5 stelle (The Left) e Alleanza verdi sinistra (Verdi-The Left).
Quanto al partito Partito Polare europeo (Ppe), negli ultimi mesi spesso criticato per aver creato maggioranze variabili proprio rivolgendosi all’estrema destra a scapito di socialisti e liberali, il gruppo si è espresso per l’approvazione, tranne venti ‘franchi tiratori (8 contrari e 14 astenuti)’. Fino al 2021 Orbán faceva parte proprio del Ppe, fino a quando non venne cacciato.
Cosa dice il rapporto: peggiora lo stato di diritto in Ungheria
Il rapporto del Parlamento europeo denuncia un peggioramento della situazione dello Stato di diritto in Ungheria, segnalando violazioni in quasi tutti i settori monitorati dal 2018, da quando l’Europarlamento chiese di attivare l’art. 7 del Trattato sull’Unione europea, quello che prevede la possibilità di sospendere i diritti di adesione all’Ue in caso di gravi violazioni dei principi fondanti (la cosiddetta ‘opzione nucleare’).
Tra i punti principali figurano il rifiuto sistematico di attuare le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, la revisione da parte della Corte suprema ungherese delle decisioni della Corte di giustizia dell’Ue prima della loro applicazione e minacce all’indipendenza della magistratura, aggravate dall’indebolimento del Consiglio giudiziario nazionale.
I deputati richiamano anche il “legame tra corruzione e integrità elettorale, incluse reti clientelari” e gli ostacoli all’organo anticorruzione, che potrebbero mettere a rischio l’intera dotazione dei fondi Ue destinati al Paese. Sul fronte dei diritti civili, il rapporto segnala la mancata tutela dei diritti dei cittadini, le pressioni sulla libertà accademica e sulla libertà d’espressione, la crescente stretta sulla comunità LGBTQ+ (come il divieto del Pride).
Una delle aree più critiche riguarda “il crescente uso di contenuti politici generati dall’intelligenza artificiale e non etichettati, la diffusione intenzionale di video deepfake su canali social strettamente legati al partito (Fidesz, ndr) e alla campagna del primo ministro”, creati con lo scopo di “ingannare gli elettori e screditare gli avversari”. Tali pratiche, in vista delle elezioni del 2026 – che per la prima volta da 14 anni vedono Orbán in difficoltà a favore del suo principale avversario, Peter Magyar -, violerebbero gli standard democratici e potrebbero contrastare con il Regolamento servizi digitali, le norme Ue sulla protezione dei dati e la nuova legge europea sull’AI.
Critici, poi, la posizione filorussa di Budapest che l’ha costantemente portata in rotta di collisione con Bruxelles, e l’uso ricattatorio del potere di veto soprattutto in politica estera. I due fattori hanno portato progressivamente ad una sorta di emarginazione da parte delle altri Capitali (non tutte), che ormai adottano le proprie posizioni a Ventisei invece che a Ventisette.
Anche il caso dell’eurodeputata Ilaria Salis e dello stesso Magyar, presi di mira da Orbán, hanno contribuito al peggioramento del rispetto dei diritti da parte ungherese.
Non da ultimo, poche settimane fa è scoppiato uno scandalo, che coinvolge il commissario ungherese alla Salute Olivér Várhelyi, su una presunta rete di spionaggio organizzata da Budapest nel cuore delle istituzioni europee: un tentativo che assomiglia a un “segreto di pulcinella” vista la poca discrezione con cui sarebbe stato portato avanti, e che deve ancora essere chiarito, ma che sicuramente ha aumentato le frizioni con Bruxelles.
L’Europarlamento chiede la sospensione del diritto di voto
Stando così le cose, la richiesta dell’emiciclo è di agire velocemente e di sospendere i diritti di adesione di Budapest, a partire dal diritto di voto nel Consiglio. Perché, ha affermato la relatrice del rapporto, l’eurodeputata dei Verdi Tineke Strik, “l’Ue non può permettere che la deriva autocratica dell’Ungheria prosegua. Ogni ulteriore ritardo da parte del Consiglio violerebbe i valori stessi che afferma di difendere”.
E questo, secondo Strik, è quello che già sta avvenendo: “La mancanza di un’azione decisiva da parte di Commissione e Consiglio ha permesso un’erosione continua della democrazia e dello stato di diritto”.
In effetti sono anni che il Parlamento europeo ha chiesto di attivare l’art. 7 del Tue, ma ancora non si è arrivati a nulla di concreto. Mentre la recente decisione della Commissione di sbloccare parzialmente i fondi per Budapest, congelati proprio per le violazioni dei valori europei, ha provocato un malumore tale che l’Aula ha deciso di impugnare la decisione davanti alla Corte di Giustizia dell’Ue.
Orbán a Mosca
Mentre l’Europarlamento sollecita misure pesanti per l’Ungheria e sottolinea il suo progressivo scivolare verso un regime quantomeno illiberale, Orbán ha in agenda per venerdì prossimo un incontro a Mosca con il presidente russo Vladimir Putin, il terzo dall’invasione dell’Ucraina ad opera della Federazione. A tal proposito Strik ha affermato che si tratta di “un viaggio pericoloso” e che “è anche per questo che nella relazione diciamo chiaramente che Orbán sta usando il suo diritto di voto per contrattare e ricattare il Consiglio“.
E questo va evitato: “L’Ue non dovrebbe lasciarsi ricattare, perché è in gioco la nostra politica di sicurezza comune”, ha sottolineato Strik, evidenziano che “Orbán sta spuntando tutte le caselle, per l’articolo 7”, e che dunque è tempo di agire.
