“La Germania non ha bisogno dell’Europa, ma l’Europa ha bisogno della Germania”, ha detto a inizio anno la leader di Afd, Alice Weidel. L’orientamento estremista del suo partito è distante da quello del ministro delle Finanze Christian Lindner del Partito Liberale Democratico (FDP).
Eppure, quelle parole sembrano riecheggiare nel secco “no” del ministro alla richiesta di creare un debito comune europeo maggiore, avanzata da Mario Draghi nel Rapporto per la Competitività. L’obiettivo dell’ex premier italiano è stimolare gli investimenti privati e rafforzare la competitività dell’Ue ed evitarne il tracollo definitivo.
Draghi parla di un piano di investimenti “mai visto prima”, il ministro delle Finanze tedesco ribadisce che, sebbene possa sembrare un modo per rafforzare l’integrazione europea, un maggiore indebitamento comune creerebbe “problemi democratici e fiscali”, con il rischio di minare la sovranità fiscale dei singoli Stati membri. Una situazione che “non è accettabile per la Germania”, ha dichiarato Lindner al Politico.
La visione di Draghi e l’opposizione di Lindner
Mario Draghi, nel suo attesissimo Rapporto sulla competitività europea, ha delineato una visione ambiziosa per il futuro dell’Europa. Secondo le sue stime, l’Unione Europea dovrebbe investire fino a 800 miliardi di euro all’anno fino al 2030, per affrontare le sfide economiche e tecnologiche globali. Draghi ha evidenziato che i finanziamenti pubblici sarebbero un volano per attrarre ulteriori investimenti privati, necessari per trasformare l’industria europea e accelerare la transizione verso un’economia verde e digitale.
In particolare, il rapporto suggerisce che l’Ue dovrebbe concentrare circa 300 miliardi di euro sul settore energetico, con investimenti mirati nelle reti transfrontaliere e nel sostegno all’industria delle tecnologie pulite. Ulteriori 150 miliardi di euro sarebbero necessari per sviluppare l’infrastruttura di ricarica per i veicoli elettrici, un settore in cui l’Europa rischia di rimanere indietro rispetto ai produttori cinesi.
Lindner, però, ha respinto l’idea di ricorrere a un maggiore indebitamento per finanziare questi investimenti, affermando che “il nostro problema non è la mancanza di sussidi, ma l’incatenamento della burocrazia e di un’economia pianificata“. Ha inoltre sottolineato che il debito pubblico aggiuntivo “costa in termini di interessi, ma non crea necessariamente più crescita“. Insomma, per il ministro tedesco, aumentare il debito comune rappresenterebbe una minaccia per la stabilità economica della Germania e dell’intera Unione Europea.
Il futuro della competitività europea
La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, al fianco di Draghi durante la presentazione del rapporto, ha sostenuto le proposte dell’ex premier italiano. Von der Leyen ha suggerito due possibili percorsi per raccogliere i fondi necessari: aumentare la capacità dell’Ue di raccogliere fondi direttamente o richiedere contributi maggiori dai singoli Stati membri.
Tuttavia, la resistenza della Germania, la prima potenza economica europea, rappresenta un ostacolo significativo per l’implementazione di queste misure. Le divergenze tra Stati membri del Nord Europa, più orientati alla disciplina fiscale, e quelli del Sud Europa, da sempre più favorevoli a maggiori investimenti pubblici, continuano a creare divisioni interne.
Draghi, dal canto suo, ha messo in guardia contro i rischi di rimanere indietro rispetto a concorrenti globali come Cina e Stati Uniti, evidenziando la necessità di un piano coordinato e finanziato adeguatamente per mantenere l’Ue competitiva sullo scenario mondiale.
La transizione verde e le difficoltà economiche
Un aspetto centrale del rapporto Draghi riguarda gli investimenti nell’energia e nei trasporti. La crisi energetica, amplificata dal conflitto in Ucraina e dalla dipendenza europea dalle fonti di energia esterne, ha evidenziato la necessità di costruire una rete energetica europea più resiliente. Investimenti nelle reti transfrontaliere permetterebbero di ottimizzare la distribuzione di energia, garantendo una maggiore sicurezza per tutti gli Stati membri.
Sul fronte della mobilità, Draghi ha sottolineato come l’Europa debba accelerare lo sviluppo di un’infrastruttura di ricarica per veicoli elettrici, un settore strategico, dove proprio la Germania sta segnando un rallentamento pericoloso. La concorrenza cinese, in particolare, rappresenta una minaccia per i produttori europei, che devono essere supportati da politiche pubbliche mirate per rimanere competitivi in un mercato sempre più globalizzato.
Gli esperti prevedono che anche altri settori produttivi tedeschi potrebbero andare in crisi. Per alcuni, il crollo è colpa delle regole europee troppo rigide nei modi e nei tempi. Sul punto, Luca de Meo, Ceo del gruppo Renault e presidente dell’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea), chiede a Bruxelles “un po’ di flessibilità” facendo eco al governo italiano che parla di “follia ideologica” e chiede il rinvio dello stop ai motori termici, fissato da Bruxelles al 2035.
Per altri addetti ai lavori, la responsabilità è delle aziende che “non hanno colto la trasformazione” dell’economia e dell’industria e sono “rimaste indietro”, come sostiene il presidente del Deutsche Institut für Wirtschaftsforschung (Istituto Tedesco per la Ricerca Economica, o Diw), Marcel Fratzscher. “Non si tratta solo del settore automobilistico, ma anche di quello dei macchinari, del farmaceutico, chimico. È un problema che hanno in molti”, ha aggiunto a Euronews.
In effetti, il più grande produttore chimico del mondo Basf, che ha sede centrale in Germania, sta valutando l’ipotesi di licenziare lavoratori in Germania (e di trasferire parte della produzione in Asia) di fronte all’incremento dei prezzi dell’energia causato dalla guerra in Ucraina e della burocrazia tedesca.
In questo contesto, il dibattito tra austerità e investimenti pubblici rimane cruciale per il futuro dell’Unione Europea. La Germania, da sempre fautrice di una rigorosa disciplina fiscale, sembra però restia a cedere su questo punto, ponendo così una delle sfide più complesse che l’Ue dovrà affrontare nei prossimi mesi.