Giorgia Meloni centra uno dei suoi obiettivi in Europa dopo le elezioni di un mese fa. Con l’ingresso di undici nuovi deputati, il gruppo da lei capeggiato all’Europarlamento, Conservatori e Riformisti Europei (ECR), diventa il terzo più grosso dell’emiciclo e supera quello dei liberali di Macron, grande sconfitto delle europee. ECR è arrivato ieri a 83 membri contro gli 81 di Renew Europe.
Proprio partendo dal risultato del voto, che ha consolidato la sua posizione come premier – il suo partito Fratelli d’Italia ha ottenuto addirittura più preferenze (in percentuale, anche se non in valore assoluto) rispetto al voto nazionale di un anno e mezzo fa – e che ha visto aumentare gli eurodeputati di ECR, la premier sta cercando di porsi come ‘kingmaker’, In sostanza, di avere peso durante i giochi politici per le assegnazioni delle maggiori cariche di vertice dell’Unione (presidenza di Commissione, Consiglio Europeo ed Europarlamento, guida della Politica estera) e dei futuri commissari.
Giochi in pieno svolgimento, così come la campagna acquisti degli eurodeputati: entro il 15 luglio i gruppi devono essere definiti, e fino ad allora sono possibili acquisizioni, cessioni e cambi di casacca. La stessa Renew Europe ha appena incamerato un nuovo deputato, del partito belga francofono Les Engagés, che ha abbandonato i Popolari.
Meloni sui top jobs: “Partire dal voto”, e chiede di avere voce in capitolo
Quello su cui batte Meloni è che ECR deve essere considerato nella distribuzione delle posizioni apicali: una distribuzione che segue regole non scritte che chiedono di equilibrare geografia, risultati elettorali e genere dei nominati.
La tradizione vuole che i top jobs siano assegnati ai gruppi politici più forti dopo le elezioni europee, ovvero finora Popolari, socialisti e liberali, arrivati in quest’ordine anche alle ultime votazioni.
Ma siccome i liberali di Renew hanno perso voti e seggi, soprattutto a causa della débâcle del presidente francese Macron, mentre ECR ne ha guadagnati, secondo Meloni la situazione deve cambiare, a maggior ragione più adesso che il suo gruppo ha più eurodeputati dei liberali.
Non tutti però la vedono così: a prescindere dalle sue dimensioni, ECR non fa parte della maggioranza parlamentare che si sta formando e che sosterrà il governo europeo, ovvero la triade Partito popolare europeo, Socialisti e democratici e Renew Europe. E dunque, non ha diritto a posti di vertice.
Lo ha detto chiaro il premier polacco Donald Tusk, che insieme al premier greco Kyriakos Mitsotakis guida i negoziati per il PPE per il rinnovo delle cariche Ue: “La mia sensazione è che (la maggioranza Ursula, ndr) sia più che sufficiente ad organizzare l’intero nuovo panorama, incluso il presidente della Commissione”.
In poche parole: i voti ECR non servono, e il gruppo non può aspirare a top jobs.
Intanto, mentre Meloni gioca le sue carte – non dimentichiamo che un paio di settimane fa l’Economist l’ha definita come ‘l’ago della bilancia’ che avrebbe deciso lo spostamento molto a destra o verso il centro del nuovo Europarlamento – la sfida per il terzo posto nell’emiciclo, dopo popolari e socialisti, non è finita qui.
La gara tra ECR e liberali per il terzo posto non finisce qui
ECR infatti può crescere ancora: il dialogo con altri partiti è in corso, come ha confermato a Euronews il loro co-presidente, Nicola Procaccini (quota Fratelli d’Italia).
D’altro canto la strategia di Meloni comprende anche dei ‘No’: ad un incontro prima della cena informale dei capi di Stato e di governo lunedì scorso a Bruxelles, la premier ha chiuso la porta a Orbán e al suo Fidesz, considerato un ostacolo per proporsi come supporto alla Popolare von der Leyen, che a sua volta sta cercando di ‘mettere in banca’ il suo secondo mandato alla guida della Commissione europea sondando altri partiti oltre quelli che compongono la ‘sua’ maggioranza, la ‘maggioranza Ursula’: Popolari appunto, Socialisti e Liberali.
Lo stesso Orbán, comunque, avrebbe problemi attualmente ad aderire a ECR, per due motivi: il primo è il gruppo ha chiesto a Fidesz di firmare preliminarmente una dichiarazione scritta di impegno a sostenere l’Ucraina (Orbán e il suo partito sono filo-russi).
Il secondo è l’adesione nell’ECR di cinque ultranazionalisti dell’Alleanza per l’Unione dei Romeni (Aur), che si sono impegnati formalmente ad appoggiare Kiev e con i quali gli ungheresi hanno uno storico contenzioso legato alla Transilvania.
In ogni caso, come ECR, anche Renew Europe si sta muovendo per includere nuove forze, puntando soprattutto su cinque membri del partito paneuropeo Volt (tre tedeschi e due olandesi). In questo caso però l’adesione a un eurogruppo piuttosto che un altro, e nello specifico a Renew o ai Verdi/Ale, sarà decisa dal voto dei 24mila iscritti al partito.
Mentre i liberali, per ragioni proprio di convenienza numerica, dovrebbero tenersi i quattro eurodeputati del partito olandese VVD dell’ex primo ministro Mark Rutte, nonostante i malumori (e le dichiarazioni contrarie) per la sua partecipazione a un governo con la destra radicale del Partito per la libertà di Geert Wilders.
Da qui al 16 luglio, data della sessione plenaria inaugurale dell’Europarlamento che avvierà la decima legislature, sono dunque possibili altri sorpassi e controsorpassi.