Un’Ue più veloce è possibile? Ecco il piano dei “cerchi”

Luc Frieden rilancia il “core” europeo: criteri chiari d’ingresso, standard comuni e scadenze vincolanti per accelerare senza toccare Schengen e mercato unico
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Bandiera Europa Canva

“Dovremmo riprendere in considerazione l’idea di un’Europa a cerchi concentrici con un gruppo centrale più ristretto di Stati membri più integrati, consentendo sempre agli altri di unirsi a questo gruppo centrale quando vorranno farlo”. Davanti all’Aula di Strasburgo, Luc Frieden, primo ministro del Lussemburgo, riapre il dossier su un’Unione a più velocità. La cornice è quella dei valori europei (“libertà, democrazia, Stato di diritto”), la difesa del sistema di regole e un metodo pratico: un nucleo di Paesi che può decidere e mettere standard in tempi rapidi, con una porta d’ingresso chiara per chi vorrà unirsi.

Da qui l’idea dei cerchi: un ‘core’ che accelera scelte su difesa, competitività, spazio, mercato dei capitali e mercato unico. Non per creare serie A e serie B, ma percorsi: chi è pronto va avanti, gli altri si aggregano quando rispettano criteri trasparenti. Obiettivo: risultati misurabili (gare comuni, sistemi che funzionano insieme, rimozione di ostacoli inutili) senza aprire lunghi cantieri di riforma dei Trattati. La domanda ora è pratica: dove partire, con quali strumenti e come evitare effetti collaterali su coesione, allargamento e Schengen.

Perché il ritorno dei cerchi proprio adesso

Il tema riemerge perché tre pressioni sono diventate simultanee e non eludibili. La sicurezza, innanzitutto: il sostegno all’Ucraina, la protezione delle infrastrutture critiche e l’aggiornamento di difesa e cyber non possono aspettare anni. Con l’unanimità, basta un veto per bloccare tutto. La seconda pressione è industriale e tecnologica: nella competizione globale contano standard, filiere e capitali; se l’Ue decide tardi, gli investimenti vanno altrove. Infine, la tenuta quotidiana dell’integrazione: Schengen “a singhiozzo”, controlli interni che diventano abitudine, regole diverse che complicano e-commerce, turismo, lavoro oltreconfine.

I cerchi servono a riallineare ambizione e capacità di fare. “Dobbiamo rimanere la voce di questi valori”, dice Frieden: quella voce pesa solo se le decisioni arrivano in tempo.

Che cos’è il “core” e come si entra

Il core è un livello di integrazione più stretto su alcune politiche, con budget, procedure e standard comuni. La chiave è nella frase di Frieden: “…consentendo sempre agli altri di unirsi a questo gruppo centrale quando vorranno farlo”. Perché quel “sempre” funzioni, servono regole semplici: criteri pubblici per entrare, verifiche regolari, sospensione dei benefici se gli impegni non vengono rispettati.

Dove interviene

Il campo d’azione è definito. Nella difesa vuol dire acquisti congiunti e vera interoperabilità (sistemi e mezzi che funzionano insieme). Nello spazio significa reti di comunicazione sicure con programmi come Iris² per la connettività strategica (una costellazione di satelliti europei che garantirà collegamenti protetti per governi e servizi essenziali e porterà internet veloce dove le reti terrestri non arrivano, ndr). Sul capitale significa semplificare le regole applicative ed evitare oneri extra nazionali che oggi spezzano l’uniformità delle norme. Nel mercato unico implica togliere gli ostacoli “invisibili” (divieti di vendita per area geografica, regole diverse di tutela del consumatore, pratiche amministrative che non si parlano).

Come si misura

Gare europee di dimensione adeguata, standard tecnici adottati, autorizzazioni più rapide, burocrazia in calo. E un raccordo chiaro con gli altri “cerchi”: cosa è obbligatorio e per chi, quali benefici scattano e quando, come si passa da un formato all’altro senza incertezze.

Come renderlo operativo

Non serve cambiare i Trattati. Le cooperazioni rafforzate permettono a un gruppo di Stati di avanzare all’interno dell’ordinamento Ue quando l’unanimità non c’è, mantenendo aperta l’adesione successiva. Le clausole “passerella” consentono, in ambiti delimitati, il passaggio alla maggioranza qualificata, riducendo il potere di blocco. In difesa, la Pesco (cooperazione strutturata permanente tra Paesi Ue) è il contenitore per progetti comuni con regole uguali. Funziona davvero se collegata a programmi pluriennali e ordini comuni, così le aziende hanno domanda prevedibile e possono investire senza sprechi.

L’Ue convive già con cerchi funzionali — euro, Schengen, cooperazione giudiziaria — ma spesso senza una regia che allinei tempi, obiettivi e misure di successo. La novità proposta è coordinare gli strumenti: usare la passerella dove si può, le cooperazioni dove c’è consenso alto ma non unanime, e Pesco con obiettivi industriali misurabili, report pubblici su costi, tempi, risultati. Non più tanti tavoli separati, ma un sistema con calendario e responsabilità.

Da dove partire

Per essere credibile fin dall’avvio, il core deve definire una sequenza limitata di interventi, una regia unica e indicatori misurabili. La proposta è avviare tre progetti pilota con obiettivi e scadenze precise:

  1. Difesa–spazio. Un bando unico con un solo capitolato e specifiche già allineate (Iris² e uno “scudo spaziale” come casi d’uso). Standard comuni, interoperabilità certificata da un soggetto indipendente, filiera aperta anche alle pmi. Il risultato si misura in tempi di aggiudicazione più corti, quota crescente di componenti comuni, più fornitori da Paesi diversi.
  2. Capitali. Tre mosse pragmatiche sulle regole applicative: snellire un pacchetto definito di norme applicative; aprire un ambiente di prova vigilato per nuovi strumenti europei; introdurre una corsia rapida per i prospetti usati oltreconfine. L’effetto atteso è ridurre i giorni necessari per un’emissione, abbassare il costo medio del capitale e far crescere il volume di operazioni che finanziano l’economia reale.
  3. Mercato unico. Intervento su due settori ad alto impatto (es. e-commerce e ricambi industriali): documentazione standard per i servizi per le imprese tra Paesi del core ed eliminazione dei divieti territoriali di fornitura. La prova sono i numeri: tempo di onboarding dei fornitori esteri, vendite transfrontaliere, reclami dovuti a regole diverse.

La cornice comune (uguale per tutti i pilota)

Perché i tre pilota non restino iniziative isolate, serve un telaio comune che assegni responsabilità, imponga tempi e renda pubblici i risultati. In altre parole: una regia unica, scadenze vincolanti e regole di ingresso/uscita che valgano per tutti.

  • Governance. Un ufficio di progetto comune (Commissione + Paesi del core) coordina capitolati, scadenze e verifiche. Ogni pilota ha un referente politico (Stato capofila) e uno tecnico (agenzia/autorità). Riunioni mensili e report pubblico trimestrale con stato lavori e correzioni.
  • Tempistiche. Partenza immediata. Entro 3 mesi: pubblicare capitolato o atto attuativo. Entro 6 mesi: aggiudicare il bando (o avviare l’ambiente di prova vigilato nel pilota Capitali). Entro 12 mesi: prime forniture, erogazioni o emissioni. Scadenze vincolanti nell’accordo politico.
  • Regole comuni. Interoperabilità certificata nel pilota difesa–spazio; niente oneri extra nazionali nel pilota Capitali; mutuo riconoscimento dei documenti nel pilota mercato unico. Chi non rispetta le scadenze perde priorità nel ciclo successivo; chi è fuori dal core può entrare adottando gli stessi standard e lo stesso calendario.

Roadmap di adesione

“Mantenere i paesi in una sala d’attesa eterna li allontanerà dall’Europa”, avverte Frieden. La soluzione è far partecipare per moduli i Paesi candidati — mercato interno, energia, digitale, sicurezza — prima dell’ingresso formale. Ogni modulo comporta impegni chiari e benefici concreti (accesso a programmi, riconoscimento di standard, collegamento a reti e piattaforme). Verifiche regolari, anche sullo Stato di diritto, fanno avanzare o fermano il percorso. Così l’allargamento smette di essere una promessa indefinita e diventa un percorso leggibile per governi, imprese e cittadini.

Benefici e rischi

I benefici attesi sono misurabili: decisioni più rapide su difesa e tecnologie strategiche; massa critica sugli standard che orientano investimenti; più credibilità esterna quando l’Ue parla di regole e le applica davvero.

I rischi non mancano. la sensazione di un’Europa a due classi; possibili spaccature tra Nord-Sud ed Est-Ovest; più burocrazia se i formati si moltiplicano. Le contromisure sono parte del metodo: criteri d’ingresso pubblici, revisioni periodiche e controllo parlamentare; core differenziati per politica (non sempre lo stesso gruppo davanti); interfacce standard tra cerchi per evitare costi aggiuntivi.

Schengen resta il barometro: “Schengen è una testimonianza indiscutibile del legame e della tolleranza dei cittadini europei”. Rendere permanenti i controlli interni sarebbe un passo indietro; l’equilibrio è frontiere interne aperte, cooperazione di polizia e controllo comune alle esterne.

Quale posizione per l’Italia

Per l’Italia è un test di esecuzione. I contributi più utili arrivano dove ci sono già filiere e progetti: aerospazio, elettronica, meccatronica, tecnologie dual-use. Sul capitale, servono meno carte inutili in sede Ue e stop agli oneri extra nazionali: così il risparmio può andare più facilmente verso investimenti produttivi, a costi più bassi. Nel mercato unico, scegliere tre ostacoli “silenziosi” ad alto impatto (divieti territoriali di fornitura, regole diverse per i consumatori, colli di bottiglia per i servizi tra imprese) e negoziarne la rimozione con tempi e indicatori porta risultati in fretta. Sui Balcani occidentali, l’Italia ha interesse e capacità per guidare moduli di pre-integrazione su energia, corridoi e dogane. Più che l’etichetta “core”, contano gli esiti: bandi comuni, standard pubblicati, tempi ridotti, prevedibilità per imprese e lavoratori. Con pacchetti pronti e metriche chiare, i cerchi diventano acceleratori, non nuove linee di divisione.