Elezioni europee, come tensioni geopolitiche ed economia impatteranno sul voto

Crisi e instabilità, questo il contesto mondiale in cui tra meno di un mese gli europei andranno a votare
6 mesi fa
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Geopolitica Canvafree

È un mondo in policrisi e marcatamente instabile quello dove tra meno di un mese inizieranno le elezioni europee. Un mondo che con le sue molteplici tensioni inciderà su come gli europei andranno alle urne. Guerre, inflazione, ma anche la rielezione eventuale di Trump sono tutti aspetti che avranno un peso nel determinare l’esito finale del voto e dunque la direzione che prenderà l’Unione nei prossimi anni. Il tutto, in un contesto che vede il 2024 come un anno record per quanto riguarda le votazioni: più di 70 Paesi sceglieranno il proprio governo, e in Europa si rinnoverà il Parlamento e si nominerà la nuova Commissione.

Lo spettro del ritorno di Trump e della vittoria di Putin

Quali sono le crisi che alimentano maggiormente venti di tempesta nel panorama internazionale e nello specifico in quello europeo? A questa domanda risponde il panel di esperti internazionali (istituzioni e società finanziarie, aziende multinazionali, strutture di consulenza professionale, stampa economica estera) consultati dal Censis per la realizzazione dell’’Osservatorio sull’attrattività dell’Italia presso gli investitori esteri’ per conto di Aibe, Associazione Italiana delle Banche Estere.

Due sono i fattori che più di tutti potranno impattare sulle decisioni degli elettori:

• la possibile rielezione di Trump come presidente degli Stati Uniti (61,4% degli esperti)
• l’eventuale vittoria della Russia sull’Ucraina (52,6%)

Ma non vanno dimenticate la guerra in Palestina (24,6% delle risposte), carica di incognite e sotto la spada di Damocle di un possibile ‘effetto domino’ con il coinvolgimento di altre potenze regionali come l’Iran (dietro cui ci sono potenze mondiali), e la tensione tra Taiwan e Cina. Una crisi quest’ultima che gode di minor visibilità sui media, ma che può destabilizzare l’area asiatica e non solo.

Scetticismo vs ottimismo, le priorità dell’Unione secondo gli esperti

Riguardo al dopo elezioni, il 29,8% degli esperti si dice comunque ottimista e pensa che il voto europeo possa essere un punto di svolta nella costruzione dell’Unione. A patto ovviamente che vincano i partiti europeisti, dai quali ci si aspetta anche un impegno verso raggiungimento di una politica unitaria per quanto riguarda la difesa e il fisco e un’accelerazione nel processo di transizione sul piano digitale e ambientale (la gestione della doppia transizione).

Ma un buon 42,1% invece è pessimista, e ritiene che gli attuali condizionamenti geopolitici – guerre, crisi energetica, immigrazione, competizione tecnologica – stiano marginalizzando l’Europa, costringendola a un ruolo di secondo piano rispetto a Stati Uniti, Cina, e Brics (le economie mondiali emergenti Brasile, Russia, India e Cina con l’aggiunta di Sudafrica e di Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi Uniti). Senza contare l’ipotesi di una vittoria degli schieramenti antieuropeisti, che potrebbe fermare il raggiungimento degli obiettivi in materia di unione fiscale, difesa e immigrazione regolata.

Infine il 28,1%, che è quasi un terzo, vede troppe variabili incerte che non consentono di esprimere un’opinione definitiva a riguardo.

Ma quali sono per gli esperti le priorità di cui dovrebbe occuparsi l’Europa, anche dopo il voto?

Fondamentale, per il 43,9% del panel, un rafforzamento della politica di Difesa Comune, resa sempre più necessaria dall’instabilità ai confini dell’Unione e ovviamente dalla guerra in Ucraina. La parola ‘guerra’ negli ultimi due anni è tornata purtroppo di attualità anche alle porte dell’Unione, e almeno nei proclami e nelle minacce sembra stia assumendo i contorni di una possibilità che nessuno vuole ma contro cui è meglio prepararsi. Quella della sicurezza però non è l’unica priorità per l’Ue. Ci sono anche:

• un piano efficace per un’immigrazione regolata e condivisa da tutti i Paesi membri (38,6%)
• l’attuazione del Green Deal Europeo e il raggiungimento della neutralità climatica per l’industria europea (36,8%)
• la condivisione del debito pubblico fra tutti i Paesi dell’Unione (35,1%)
• l’attuazione dell’Unione fiscale europea (33,3%)
• la riconquista dell’indipendenza energetica e il superamento dell’energia fossile (31,6%)
• l’adozione di misure che proteggano il settore industriale e quello dei servizi da pratiche concorrenziali scorrette di altri Paesi (24,6%)
• l’adozione di una strategia europea sull’intelligenza artificiale (17,5%)

Censis Aibe Aprile 2024

Al fine di affrontare le sfide della doppia transizione (energetica e tecnologica), oltre alle spese militari nel nuovo contesto geopolitico, si stima che siano necessari investimenti annui superiori a 500 miliardi di euro. A tale proposito, la maggior parte degli esperti (53,6%) ritiene che l’emissione di debito pubblico europeo (Eurobond) sia il modo migliore per sostenere queste spese. Una maggioranza comunque esile che ricorda la divisione a livello del Consiglio europeo, dove si fronteggiano chi vorrebbe usare la leva di nuovo debito emesso direttamente dall’Ue e chi invece è contrario.

Inflazione e ritardi del Pnrr condizionano l’Italia

Per quanto riguarda da vicino l’Italia, secondo gli esperti anche qui sono due i fattori principali che potranno condizionare le prospettive economiche e il voto di giugno: l’inflazione (57,9%) e i ritardi nell’attuazione del Pnrr (56,1%).

La prima perché incide sul potere d’acquisto dei cittadini, in un Paese che ha già visto aumentare la povertà negli ultimi anni e dove le diseguaglianze sociali sono forti e l’ascensore sociale bloccato. I secondi perché arrestano investimenti e competitività sul lungo periodo, di fatto chiudendo le porte alla ripresa economica e all’innovazione.

Cosa più che mai da evitare considerando i ritardi accumulati dal Bel Paese in molti settori, tanto da collocarsi spesso come fanalino di cosa in moltissime e disparate classifiche. Un risultato preoccupante che l’Italia non può permettersi di tollerare ancora se intende rimanere al passo con gli altri Paesi avanzati ed evitare una progressiva marginalizzazione.

Per gli esperti preoccupano anche:

• i prezzi delle materie prime e dell’energia (40,4% del panel)
• l’entrata in recessione della Germania (36,8% degli esperti), in considerazione degli stretti legami con le imprese manifatturiere italiane
• il ritorno del Patto di Stabilità e di Crescita, che trova nel livello del debito pubblico italiano un vincolo inaggirabile, e il rischio deflattivo per contenere il deficit e il debito pubblico (33,3%)
• l’esposizione dell’Italia a eventi climatici estremi come alluvioni, frane, ecc, per uno sparuto 8,8%

In questo contesto, non si possono ignorare le stime di crescita del prodotto interno lordo del Fondo Monetario per l’Italia nel 2025, che calano in modo significativo, passando dall’1,1% previsto a gennaio allo 0,7% attuale. Se queste previsioni fossero confermate nell’anno che verrà, l’Italia avrebbe la crescita più lenta tra i Paesi dell’Eurozona. Le stime indicano infatti un aumento dell’1,3% per la Germania (rispetto allo 0,2% del 2024), dell’1,4% per la Francia (contro lo 0,7% del 2024) e del 2,1% per la Spagna (in confronto all’1,9% di quest’anno). In altre parole, la media dell’area euro sarebbe il doppio rispetto a quella italiana.

Molti pensieri, dunque, affolleranno la mente dell’elettore, italiano e non solo, dal 6 al 9 giugno prossimi.

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