È scontro aperto tra il leader dell’Ungheria Viktor Orbán e due terzi dell’Unione europea. Questo, infatti, è il numero di Stati membri che ha scelto di non inviare i propri ministri delle Finanze oggi a Budapest, dove si tiene la riunione dell’Eurogruppo e dell’Ecofin informale di settembre. E a partecipare, infatti, sono previsti solo in otto su 27.
Tra i viaggi privati del primo ministro ungherese in Russia e Cina, e la disputa sull’immigrazione – per la quale Orbán è pronto a citare in giudizio la Commissione europea -, Budapest diventa un campo di confronto tra chi lo appoggia e chi no. E l’Italia a Budapest c’è.
Ecofin boicottato
Il boicottaggio di molti Paesi europei nei confronti della presidenza di turno ungherese risulta essere riuscito. Dal centro congressi di Bàlna, sulle rive del Danubio, arriva notizia di un Ecofin fallimentare. Sono elencati solo otto ministri, nove con l’Ungheria, comunque meno di un terzo del totale, per la precisione. Gli altri 19 Stati membri sono rappresentati a livello di sottosegretari o di funzionari.
I ministri degli otto Paesi presenti sono quelli di Austria, Cipro, Repubblica Ceca, Italia, Lussemburgo, Malta, Slovacchia e Slovenia.
“Non sono deluso – ha detto il ministro dell’Economia ungherese Mihaly Varga -: ogni Paese prende le proprie decisioni in merito al livello di rappresentanza ed è libero di decidere quale sia la persona adatta” a rappresentarlo all’Eurogruppo e all’Ecofin informale. Varga non ha confermato il numero di ministri atteso: “Vedremo”, si è limitato a dire, senza rispondere a ulteriori domande sul punto.
Il boicottaggio, ad ogni modo, avviene in seguito alle decisioni unilaterali in politica estera assunte dal premier ungherese Viktor Orbán all’inizio della presidenza del Consiglio Ue. Ma anche delle dispute legali che vedono coinvolto il suo Paese e una multa di 200 milioni di euro per la gestione – “in violazione dei diritti umani” – delle politiche migratorie.
L’agenda dell’Ecofin è talmente breve, si apprende da Bruxelles, che la conferenza stampa finale è attesa alle 17 di domani. Sabato, in una sessione che potrebbe essere chiusa ai giornalisti, i pochi ministri presenti discuteranno degli “effetti dei cambiamenti demografici sulla sostenibilità del debito pubblico”, tema che sta molto a cuore alla presidenza ungherese.
Dovrebbe contribuire al dibattito il think tank bruxellese Bruegel. Occorrerà vedere però quanti (e quali) ministri parteciperanno alle riunioni. Il ministro italiano Giorgetti, comunque, dovrebbe rimanere a Budapest anche domani.
Le “minacce” di Orbán
Il segnale dato all’Ungheria è l’ultimo di una lunga serie e arriva anche in seguito alle “minacce” di Budapest di rispedire i migranti a Bruxelles. Secondo quanto reso noto dal ministro ungherese incaricato della Presidenza del Consiglio Gergely Gulyas e confermato dal portavoce Zoltan Kovacs, il governo guidato da Viktor Orbán è pronto a citare in giudizio la Commissione.
Il ministro per gli Affari europei Janos Boka ha ricevuto un mandato per negoziare con l’esecutivo europeo guidato da Ursula von der Leyen in merito a una sentenza della Corte relativa alle politiche migratorie. La multa da 200 milioni di euro fatta dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea per violazione delle norme europee sul diritto d’asilo ha ricevuto come risposta una provocazione: “Rispediremo i migranti a Bruxelles a spese nostre”, tuonava negli scorsi giorni ministro Gulyas.
Secondo Budapest, infatti, le politiche in materia di immigrazione gestite dall’attuale governo sono in linea con i risultati del referendum del 2016, che si è opposto categoricamente al reinsediamento forzato di cittadini stranieri.
Il ministro Gulyas ha evidenziato che “la volontà del popolo ungherese è chiara”, quindi il governo ora impegnerà le sue energie a bloccare qualsivoglia politica migratoria imposta dall’Ue. È per questo motivo che chiederanno a Bruxelles un risarcimento per i circa due miliardi di euro spesi per proteggere il confine esterno della zona Schengen. “L’Ungheria ha finanziato questo sforzo economico senza ricevere alcun tipo di supporto finanziario da parte dell’Unione europea”, per questo motivo il governo di Orbán è pronto a passare alle vie legali.