Davvero senza un vero mercato unico l’Unione rischia di morire?

Sui conti dei cittadini europei ci sono 10 trilioni di euro immobilizzati. Le istituzioni vogliono portarli verso i capitali per evitare il collasso finanziario
4 mesi fa
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Bandiera Ue Stropicciata Canva

“L’Europa può morire”. Ha scelto questo titolo Emmanuel Macron, che nel suo discorso alla Sorbona si è unito a diversi esperti economisti europei e ha lanciato l’allarme sulla tenuta economico-finanziaria dell’Unione.

È lo stesso presidente francese a spiegarne la portata: “Le regole del gioco in Europa oggi non sono più adeguate perché se guardiamo alla difesa e alla sicurezza, all’intelligenza artificiale, alla decarbonizzazione delle nostre economie e alle tecnologie pulite, abbiamo un muro negli investimenti”.

Insomma, all’Europa serve una coraggiosa inversione di rotta in materia di investimenti e di mercato unico, altrimenti il gap con Usa e Cina diventerà irrecuperabile. Una soluzione audace (ma poco rischiosa) sarebbe quella di reinvestire nel mercato azionario i risparmi dei cittadini europei, pari a 10 mila miliardi di euro (più di un terzo delle dimensioni dell’economia statunitense).
Se vi suona strano, è tutto normale: non siamo abituati al rischio, abbiamo una scarsa educazione finanziaria e presto potremmo pagarne conseguenze molto gravi.

Il gap Ue con Usa e Cina

L’industria europea è in crisi, le startup sono a corto di liquidità e sempre più piccole, in affanno rispetto ai competitor d’oltreoceano. Le rigide regole fiscali dell’Ue e una cultura restia agli investimenti fanno sì che i soldi pubblici da spendere per la transizione green e l’industria della difesa siano ampiamente insufficienti.

Dobbiamo finanziare progetti di innovazione rischiosi per colmare il divario tecnologico con gli Stati Uniti”, ha affermato Stéphane Boujnah, CEO del più grande gruppo borsistico europeo, Euronext, in un articolo di Politico.eu dedicato al mercato unico dei capitali.

Ovvero l’idea che oltre alle persone e ai beni, anche il denaro possa circolare nel blocco senza ostacoli, come se si trattasse di un unico grande Paese. Il riferimento teorico è quello degli Stati Uniti, ma la realtà concreta è ben diversa. L’Unione europea non è mai riuscita a mantenere quella promessa, e le conseguenze economiche di ciò sono ormai evidenti nel gap con Cina e Usa.
Secondo un rapporto della Commissione, il valore di tutte le aziende quotate in borsa in Europa, in percentuale sul Pil, è pari alla metà di quello americano.

Insomma, se finora si è avuto paura di investire, ora non c’è più tempo di avere paura. Anche perché dall’altra parte dell’inazione non c’è nessun dubbio, ma solo la certezza di una inesorabile irrilevanza economica nel nuovo contesto geopolitico che si sta creando.

“L’unione dei mercati dei capitali si sta trasformando da un elemento desiderabile a un elemento assolutamente necessario”, ha sintetizzato Niels Brab, responsabile della regolamentazione del gruppo di borsa Deutsche Börse.

Perché serve un’inversione (anche) culturale

Il caso delle pensioni è emblematico di come noi europei abbiamo una concezione dei risparmi molto lontana da quella americana.

A parte alcune eccezioni come i Paesi Bassi e la Svezia, in gran parte d’Europa le pensioni sono pagate dal governo e finanziate tramite tassazione con tutti i problemi che questo genera quando c’è una crisi demografica come quella attuale. Al contrario, gli Stati Uniti hanno il loro conto privato “401(k)”, che viene rimpinguato dalle tasse, investe in titoli a basso a rischio e copre gli assegni di chi va in pensione. È un po’ come se si facesse leva sull’inflazione per non far perdere terreno al conto privato e linfa al sistema di welfare del Paese.

“Se si vuole davvero dare una spinta all’economia europea e fornire finanziamenti stabili e a lungo termine, rivolgersi ai risparmi pensionistici è una scelta molto ovvia”, ha affermato Michiel Horck, consulente senior presso PGGM Investments, una importante società olandese di gestione pensionistica che gestisce asset per un valore di 243 miliardi di euro.

Il gap è prima di tutto culturale. Per capirlo, basta guardare i numeri. Negli Stati Uniti, quasi il 60% delle famiglie possiede azioni, direttamente o indirettamente tramite le loro pensioni. In Francia e Germania, le due principali potenze economiche europee, la percentuale è di circa il 18%.

Le differenze di investimento tra Ue e Usa
Attività e passività finanziarie delle famiglie in percentuale del PIL nel 2022_Fonte_Politico.eu

Gli altri vantaggi di un sistema armonizzato

Creare un sistema unico dei concordati e dei fallimenti, armonizzando gli ordinamenti giuridici, ridurrebbe i rischi per gli investitori e faciliterebbe il flusso di capitali tra gli stati membri.

Inoltre, e questo è uno dei motivi per cui l’idea piace ai tedeschi, una maggiore disponibilità di capitali privati per gli investimenti ridurrebbe la necessità di emettere strumenti di debito comune come il Recovery Fund, che oggi sono ritenuti indispensabili per completare la transizione energetica e sostenere le spese militari.

Con un sistema di Venture Capital finalmente sviluppato, avremo più vivacità tra le startup, che al momento preferiscono fare i bagagli e trasferirsi in California o a Singapore.

In Europa, il capitale di rischio che scommette sulle aziende in fase iniziale nel settore tecnologico (considerato l’ingrediente magico che rende l’America così attraente per le startup), è 1/20 delle dimensioni di quello americano. “A differenza dei loro omologhi americani, le startup in Europa hanno storicamente fatto affidamento sulle banche anziché sul finanziamento di venture da parte degli investitori istituzionali”, spiega Anu Bradford nel paper The False Choice Between Digital Regulation and Innovation.

Le banche sono più avverse al rischio rispetto agli investitori di Vc e questo finisce per mettere in discussione la loro idoneità a investire in startup ad alto rischio e alto rendimento nel settore tecnologico.
In questo senso, uno studio del McKinsey Global Institute sottolinea come lo scarso sviluppo del finanziamento azionario in Europa rappresenti una grande per le startup che sono alla ricerca di finanziamenti analizzando le startup europee di intelligenza artificiale.

La conclusione è laconica: il finanziamento ha un “impatto significativamente maggiore” sulla densità delle reti di startup di intelligenza artificiale rispetto alla capacità di sviluppare modelli di business innovativi e ad altri fattori. Una realtà confermata anche dalla società di analisi finanziaria S&P Global che ha anche evidenziato come “la mancanza di finanziamenti per la crescita patrimoniale sia tra le principali cause della scarsità di nuovi grandi innovatori nell’Ue, soprattutto nei settori digitali e tecnologici”.

Il più delle volte, il risultato è già scritto per le start up europee: quando si arriva alle fasi finali, il finanziamento totale di Vc europei rispetto al finanziamento di Vc statunitensi diminuisce di circa il 50% e il Vecchio Continente non rappresenta la prima scelta degli investitori, con un effetto domino su tutto il sistema.

Verso un nuovo mercato unico?

Dunque, gli europei sono restii agli investimenti azionari, ma gli investimenti azionari potrebbero rappresentare l’ultima chance di evitare il tracollo finanziario dell’Ue.

In questo contesto, i 10 mila miliardi di euro di risparmi infruttiferi degli europei sono molto invitanti. E sebbene siano solo una parte dell’idea dell’unione dei mercati dei capitali, ne sono una parte importante, tanto che potremmo presto ottenere un rebranding dell’unione dei capitali in “unione dei risparmi e degli investimenti”.

Chi spinge per creare una maggiore integrazione finanziaria? In prima fila c’è la Francia, con il presidente Macron, il ministro dell’Economia (uscente) Bruno Le Maire, e il già citato Stephane Boujnah, la cui Euronext controlla le borse di Parigi, Amsterdam, Bruxelles, Lisbona, Oslo, Dublino e, naturalmente, Milano. Aggiungiamo Christine Lagarde, presidente Bce ma già ministra dell’economia con Sarkozy, secondo cui una riforma di questo settore permetterebbe all’Europa di reagire meglio in caso di vittoria di Trump alle presidenziali di novembre.

Un primo segnale è arrivato proprio da Parigi con il lancio di un prodotto di risparmio comune a livello comunitario. L’obiettivo sarebbe quello di portare i risparmiatori europei fuori dai depositi bancari che riconoscono interessi quasi nulli per portarli a investire in azioni. In questo modo, a fronte di un rischio più o meno grande a seconda delle scelte, il cittadino ha una elevata possibilità di aumentare i propri introiti e nel frattempo aiuta la crescita delle aziende europee.

Mathieu Savary, chief strategy di BCA Research, una società di ricerca finanziaria ha spiegato che il problema dell’Europa non è la mancanza di liquidità, ma i “mercati di capitali frammentati, che rendono la raccolta dei fondi più costosa per le aziende”. Al momento, circa 300 miliardi di euro di risparmi europei vengono investiti all’estero ogni anno, principalmente negli Stati Uniti.

Ad aprile i capi di governo dell’Ue hanno concordato di rilanciare” il mercato europeo del debito, su cui pesa il trauma della crisi finanziaria del 2007-2008, quando molti titoli cartolarizzati divennero tossici, contribuendo al collasso finanziario globale.
A maggio, i ministri delle finanze hanno anche concordato di lavorare per “approfondire” i mercati dei capitali nazionali, aumentando le opportunità di investimento interessanti senza che sia necessario intervenire sulla legislazione Ue.

Insieme alla Francia per una spinta verso un’unione dei capitali si sono schierati Germania, Italia, Polonia, Spagna, Paesi Bassi, insomma le economie più grandi. Macron e Le Maire tengono talmente tanto a questo progetto che hanno proposto di farlo partire anche senza l’unanimità degli Stati Membri, ma secondo un progetto a più velocità.

Quali sono gli ostacoli al mercato unico

A spegnere gli entusiasmi ci hanno pensato oltre una dozzina di Paesi, capeggiati dal Lussemburgo, di piccole e medie dimensioni: tra questi, Irlanda, baltici, Romania, Austria, Cipro, Croazia. Secondo loro, creare una supervisione unica dei mercati finanziari creerebbe costi aggiuntivi per gli operatori nazionali, dando ai mercati più grandi un vantaggio competitivo. C’è una lettura maliziosa che si può applicare a entrambi i blocchi: i piccoli spesso si comportano come dei paradisi fiscali, quindi uniformare e accentrare i sistemi farebbe perdere loro miliardi di euro di Pil.

Molte grandi istituzioni finanziarie — banche, assicurazioni, borse valori e simili — traggono vantaggio dalle dimensioni del contesto, più ristrette rispetto a quelle comunitarie. Con l’unione dei mercati dei capitali, invece, sarebbero esposte alla concorrenza di tutta Europa e alcune potrebbero non sopravvivere. “Molti paesi non sono sicuri che i loro campioni nazionali sopravviverebbero alla concorrenza reale,” afferma Bryan Coughlan, responsabile della finanza sostenibile presso l’Organizzazione europea dei consumatori che poi lancia una frecciatina ai decision maker: “Tutti dichiarano di volere mercati aperti e concorrenza, ma nella pratica politica le cose vanno diversamente”.

Dall’altra parte, l’interesse francese a creare una super-Consob è presto spiegato: L’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, ESMA, ha sede a Parigi, e sarebbe l’ente che conquisterebbe il nuovo potere regolatorio e di supervisione. Un minuto dopo, le società finanziare di tutto il continente aprirebbero importanti uffici a Parigi per essere più vicini, in tutti i sensi, al regolatore unico. Apro una piccola parentesi: gli uffici dell’Esma erano a Londra e si sono trasferiti a Parigi dopo la Brexit. Anche Milano era candidata a ospitarli, e oggi si capisce ancora di più che sconfitta clamorosa l’Italia ha registrato in quella partita.

Sarà sufficiente a salvare l’economia europea?

Sul banco ci sono i risparmi degli europei, una economia da rilanciare e una cultura da invertire. La sensazione diffusa è che, se si riuscirà nell’impresa di cambiare l’approccio europeo agli investimenti, l’economia Ue sarà salva. Ma la realtà è diversa.

In un recente rapporto, Finance Watch ha scoperto che anche nello scenario migliore, in cui l’unione dei mercati dei capitali viene portata a termine, il finanziamento privato potrebbe soddisfare solo un terzo delle esigenze di transizione verde dell’Ue. Il resto dovrebbe provenire dalle casse pubbliche.

Il rischio dell’unione dei mercati dei capitali, ancora in fase di progettazione, è che essa permetta ai politici di evitare difficili decisioni su come reperire più denaro pubblico. Questo potrebbe avvenire attraverso prestiti a livello nazionale o dell’Ue, aumentando le tasse o riducendo la spesa pubblica. Si rischierebbe così di non finanziare adeguatamente le priorità fondamentali dell’Unione, come la ricerca, la difesa e l’energia.

Ma se questa è una eventualità, il tracollo del non fare nulla è una certezza.

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