Con il passaggio del testimone da Varsavia a Copenaghen, il semestre di presidenza del Consiglio dell’Unione Europea entra oggi, 1° luglio 2025, in una nuova fase. Se la Polonia ha costruito la propria presidenza sulla triade “sicurezza, semplificazione, sovranità”, lasciando un’impronta marcata sulla gestione del dossier ucraino e sul contenimento delle pressioni migratorie, la Danimarca ne eredita l’agenda promettendo continuità, ma alzando l’asticella dell’ambizione. Varsavia ha lavorato su dossier chiave come la semplificazione normativa (in linea con i principi del mercato unico) e l’attuazione del Patto su migrazione e asilo, ottenendo risultati concreti, ma parziali. L’approccio pragmatico e securitario del governo polacco ha di fatto impostato il tono dei negoziati europei nell’ultimo semestre, riuscendo a saldare una rete di alleanze sui temi dell’esternalizzazione migratoria e dell’industria della difesa.
Ora è il turno di Copenaghen, che promette sì coerenza con il percorso tracciato, ma annuncia un cambio di passo, prima di passare il testimone a Cipro a gennaio 2026. “Un’Europa forte in un mondo che cambia” è il motto scelto dalla presidenza danese, che intende gestire la complessa stagione europea spostando l’asse politico verso l’ambizione strategica. L’agenda presentata dall’ambasciatore presso l’Ue, Carsten Grønbech-Jensen, riflette un netto superamento della postura da Paese “frugale” che aveva caratterizzato la Danimarca nei cicli precedenti (è l’ottava volta per il Paese danese), in particolare sui temi di bilancio. Se il semestre polacco ha avuto il merito di dare forma e contenuto all’approccio europeo alla sicurezza, quello danese si candida a costruire i pilastri finanziari e politici di un’Europa più strutturata, resiliente e competitiva.
Difesa comune e ambizione strategica
Il dossier principe del semestre danese sarà quello della difesa comune. È su questo fronte che si gioca la posta più alta della nuova presidenza, e dove Copenaghen sembra intenzionata a ottenere risultati tangibili. L’invasione russa dell’Ucraina continua a rappresentare un detonatore permanente nel sistema di sicurezza europeo, e la Danimarca – uno dei Paesi che ha reagito con maggior rapidità all’aggressione – punta a mantenere la pressione sull’intero Consiglio. “Vogliamo ottenere qualcosa con la nostra presidenza. La sicurezza è chiaramente la nostra priorità numero uno”, ha dichiarato la premier Mette Frederiksen. A testimonianza di questa centralità, il governo danese ha già portato la spesa militare oltre il 3% del Pil, un impegno che va ben oltre gli standard minimi fissati dalla Nato.
Il semestre danese sarà dunque orientato alla promozione e al consolidamento del piano europeo “Rearm Europe / Readiness 2030”, che punta a coordinare gli investimenti in capacità militari a livello continentale. Qui, Copenaghen si mostra sorprendentemente aperta: non solo chiede un aumento delle risorse, ma si dice pronta a valutare strumenti di finanziamento innovativi, inclusa l’emissione di debito comune – una posizione che segna una netta cesura rispetto al passato. La presidenza danese intende inoltre stimolare un’espansione dell’Edip, il Programma europeo per l’industria della difesa, oggi ancora fermo a una bozza da 1,5 miliardi di euro. Troppo poco, secondo Frederiksen, per un’Europa che vuole essere un attore strategico globale.
La Danimarca ha chiarito anche che il vero banco di prova sarà la traduzione politica degli impegni Nato: raggiungere l’obiettivo del 3,5% del Pil in spesa militare di base e dell’1,5% per i settori legati alla sicurezza entro il 2035. Non tutti gli Stati membri sono d’accordo. La Spagna ha già bollato questi target come “irragionevoli”, chiedendo maggiore flessibilità. Ma per Copenaghen o si alza il livello di ambizione, o l’Europa rimarrà vulnerabile. E la storia, ammonisce Frederiksen, ha insegnato che le tensioni, se non affrontate, si diffondono.
Una nuova strategia fiscale per un’Europa più competitiva
Uno dei cambiamenti più significativi nel profilo della Danimarca riguarda la sua nuova posizione sul bilancio Ue. Tradizionalmente tra i campioni del rigore e dell’austerità, Copenaghen ha iniziato a smarcarsi dalla linea dei cosiddetti “frugali”, come Austria e Paesi Bassi, scegliendo una postura più flessibile per affrontare le sfide comuni. L’inizio del semestre danese coincide con l’avvio formale delle discussioni sul Quadro finanziario pluriennale post-2027, uno dei dossier politicamente più complessi dell’intera legislatura. C’è consenso sul fatto che serviranno più risorse, soprattutto per finanziare le ambizioni in materia di difesa, transizione verde e politica industriale. Ma resta il nodo: chi pagherà?
Grønbech-Jensen ha chiarito che la Danimarca spingerà per un bilancio “più ambizioso”, pur tenendo conto dei vincoli di bilancio degli Stati membri, per permettere all’Europa di dotarsi degli strumenti necessari per restare competitiva e sicura. In parallelo, la presidenza intende accelerare il lavoro sulla revisione della Politica agricola comune e sostenere la razionalizzazione normativa a vantaggio delle imprese. Qui, la Danimarca fa leva sui rapporti Draghi e Letta per proporre un’agenda di semplificazione legislativa attraverso le proposte Omnibus, con l’obiettivo di evitare che le regole europee continuino a soffocare l’attività imprenditoriale.
Un altro dossier chiave sarà la costruzione dell’Unione del mercato dei capitali. I progressi in questo ambito restano limitati, ostacolati dalle divergenze nazionali sui regimi fiscali e regolatori. Ma Copenaghen non si arrende: propone di guardare ai modelli danese, svedese e olandese, dove i fondi pensione hanno un ruolo attivo nell’economia reale. Se l’Europa vuole crescere, sostiene Frederiksen, deve sbloccare il suo potenziale di investimento interno.
L’ambizione sostenibile della presidenza danese
Sul fronte ambientale, la Danimarca vuole guidare l’Unione in una transizione credibile e coerente. L’impegno della presidenza sarà duplice: ridurre le dipendenze strategiche dell’Ue – dai semiconduttori agli idrocarburi – e sostenere un’agenda climatica ambiziosa ma realistica. Le priorità di Copenaghen includono l’adozione di nuove regole sugli screening degli investimenti diretti esteri e il rafforzamento della produzione energetica da fonti rinnovabili, soprattutto attraverso l’interconnessione delle reti e l’espansione delle infrastrutture transfrontaliere.
In vista della Cop30 del prossimo novembre, la presidenza danese intende inoltre spingere la Commissione a pubblicare l’obiettivo climatico al 2035 e 2040. Sul tavolo c’è la proposta di un taglio del 90% delle emissioni al 2040, ma il consenso tra gli Stati membri è lontano. Alcuni Paesi – Germania in testa – temono ricadute industriali pesanti. La Danimarca avverte però dei rischi di un approccio intermittente: “La transizione ha bisogno di stabilità normativa per attirare investimenti e garantire certezza legale alle imprese”, è il messaggio di Grønbech-Jensen.
Parallelamente, la presidenza intende portare avanti i dossier sull’energia – inclusi quelli sull’idrogeno e sul capacity market – e sul rafforzamento della supply chain europea per i materiali critici. Ma senza farsi illusioni: l’autonomia strategica rimane un obiettivo di lungo termine, e servirà un equilibrio delicato tra decarbonizzazione, competitività industriale e coesione sociale.
Il lato spinoso del semestre danese
La presidenza danese eredita anche una serie di dossier particolarmente divisivi. In cima alla lista, l’apertura dei negoziati di adesione con l’Ucraina. Ventisei Paesi sono favorevoli, ma l’Ungheria continua a bloccare ogni avanzamento. La Danimarca, tra i maggiori sostenitori militari e politici di Kiev, intende agire da mediatore, ma con fermezza: “Il futuro dell’Ucraina è europeo”, ha detto Frederiksen, segnalando che la pazienza con Budapest sta finendo. Anche sul fronte delle sanzioni contro la Russia – ora al 18° pacchetto – si prevede un braccio di ferro con Budapest e Bratislava.
Ma è sul tema della migrazione che Copenaghen potrebbe spostare l’asse del dibattito europeo. La Danimarca, con politiche migratorie tra le più restrittive d’Europa, intende usare la presidenza per rafforzare la linea dura. L’obiettivo è spingere per una maggiore esternalizzazione delle procedure d’asilo, promuovere “soluzioni innovative” per i rimpatri e ottenere maggiore flessibilità nell’applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, criticata per “proteggere le persone sbagliate”. Una posizione che la avvicina a Roma e ad altre capitali, ma che rischia di spaccare il fronte progressista.
Non meno delicati saranno i negoziati sulla riforma delle regole farmaceutiche, oggi nella fase interistituzionale, e sull’accordo di libero scambio Ue-Mercosur, ancora osteggiato dalla Francia. Infine, tornerà sul tavolo il dibattito sul bando alla vendita di auto a combustione interna dal 2035: la Danimarca è favorevole al mantenimento del divieto, ma sa che i venti contrari nel settore industriale sono forti, e che un compromesso sarà inevitabile.