La tenuta del governo spagnolo guidato da Pedro Sanchez è oggi una delle variabili più delicate per gli equilibri dell’Unione Europea. E non per ragioni simboliche o ideologiche: la posizione del premier socialista ha rappresentato finora un fulcro di stabilità nell’alleanza tra socialisti e popolari che ha sorretto la legislatura europea. Ma ora, con lo scandalo giudiziario che ha coinvolto Santos Cerdan, ex numero tre del Partito socialista spagnolo (Psoe), arrestato per accuse di corruzione, traffico di influenze e associazione a delinquere, il rischio di un cambio di governo a Madrid si traduce direttamente in una minaccia alla tenuta dei fragili accordi su cui si regge l’architettura di potere europea.
L’ipotesi che Sanchez venga costretto a lasciare il passo non è più solo una congettura. Come conferma El País, il premier starebbe lavorando a un rimpasto interno per arginare l’emorragia di fiducia e contenere l’impatto politico del caso. Anche se il tentativo di rilancio dovesse avere successo, il danno d’immagine è evidente. E a Bruxelles si teme l’effetto domino. “Il periodo più difficile nei sette anni di governo”, scrive il quotidiano spagnolo, dando voce a una percezione che non riguarda solo Madrid, ma arriva fino al cuore delle istituzioni europee.
Se i socialisti spagnoli dovessero finire all’opposizione, come suggeriscono alcuni sondaggi che vedono il Partito Popolare (Pp) al 34% contro il 27% del Psoe, è verosimile che anche la loro linea nei confronti della Commissione europea cambi drasticamente. E qui la questione smette di essere spagnola per diventare europea. Lo scenario che preoccupa è quello di un Parlamento europeo in cui il gruppo socialista – secondo in ordine numerico solo al Ppe – scelga di non sostenere più gli accordi raggiunti con i popolari, gettando nel caos la macchina legislativa dell’Ue.
Il malcontento è già emerso con chiarezza in occasione del recente dietrofront dell’esecutivo comunitario sulla normativa anti-greenwashing. Un passo indietro interpretato come un cedimento alle pressioni conservatrici, che ha incrinato ulteriormente la fiducia tra socialisti e Ppe. Finora, l’unità di facciata ha retto grazie a un patto politico non scritto: equilibrio tra i gruppi, spartizione delle caselle chiave e continuità sulla transizione verde. Ma senza Sanchez a garantire la tenuta del fronte progressista, le fondamenta dell’intero compromesso rischiano di cedere.
I dossier europei in bilico
L’accordo politico che ha sostenuto la rielezione di Ursula von der Leyen e la distribuzione dei principali incarichi europei è stato il risultato di una trattativa lunga, complessa e interamente fondata su equilibri di potere tra famiglie politiche. Dentro questo patto, la Spagna socialista ha giocato un ruolo centrale, sia come perno diplomatico che come leva strategica. Con Pedro Sanchez al governo, i socialisti hanno accettato di non ostacolare la nomina di Raffaele Fitto a vicepresidente esecutivo della Commissione, in cambio di due contropartite fondamentali: Teresa Ribera alla Transizione ecologica e Antonio Costa alla presidenza del Consiglio europeo.
Due nomi chiave per il futuro dell’Ue: Ribera, indicata da Sanchez, è la custode del Green Deal; Costa, ex premier portoghese, è la figura chiamata a gestire i delicatissimi rapporti intergovernativi. Senza Sanchez, questi equilibri rischiano di venire meno. Non solo: è lo stesso mandato politico della Commissione a entrare in crisi.
Non è un caso che proprio Ribera, nei giorni scorsi, abbia cercato di rassicurare le cancellerie europee. “Il mandato politico che abbiamo ricevuto come collegio dei commissari e il sostegno alla presidente della Commissione europea sono la guida principale che dobbiamo seguire”, ha dichiarato, aggiungendo che tale mandato è sostenuto da “forze pro-europee che comprendono i Verdi, i Socialdemocratici, i Liberali e il Partito Popolare europeo”. Una presa di posizione necessaria, ma che rivela in filigrana la fragilità degli accordi.
Dietro la facciata della stabilità istituzionale, infatti, i rapporti tra socialisti e popolari si sono logorati. Fitto non è mai stato ben visto dai socialisti europei, che considerano pericolosa la sua linea di prossimità con le forze di destra radicale. Il dietrofront sulla legge contro il greenwashing è stato solo l’ultimo episodio. Se il Psoe dovesse perdere il controllo del governo spagnolo, è difficile immaginare che i socialisti restino neutrali: il loro peso in Parlamento potrebbe essere usato come leva per rimettere tutto in discussione, a partire dal sostegno alla Commissione stessa.
Il Pp all’attacco e l’opzione Feijóo: cosa cambia per Bruxelles
In Spagna, intanto, il leader del Partito Popolare, Alberto Nuñez Feijóo, annusa la possibilità di una svolta storica. Forte di un vantaggio nei sondaggi, Feijóo sta preparando il terreno per un eventuale ritorno al governo. Questo fine settimana, il Pp celebrerà una convention straordinaria a Madrid, destinata a ribadire la leadership di Feijóo e rafforzare la sua candidatura a primo ministro. Ma non si tratta solo di politica interna. A Bruxelles, un cambio di leadership in Spagna avrebbe implicazioni di vasta portata.
Feijóo è noto per le sue posizioni intransigenti sul separatismo catalano, per il rifiuto dell’amnistia e per l’ostilità verso le intese con i partiti regionali. Ma soprattutto, ha già dato prova di voler giocare un ruolo attivo anche nella politica europea. Ha tentato – senza riuscirci – di bloccare la nomina di Teresa Ribera, ed è riuscito invece a far naufragare il piano del governo Sanchez per il riconoscimento del catalano, del basco e del galiziano come lingue ufficiali dell’Ue.
Il suo arrivo al governo segnerebbe un cambiamento drastico: il Pp, per quanto formalmente legato al Ppe, si muove sempre più in sintonia con l’area dei conservatori radicali e non nasconde una crescente vicinanza a Vox. Il rischio, quindi, è che una Spagna a guida Feijóo si trasformi da partner affidabile a fonte di instabilità. “Finiamo questo incubo”, ha dichiarato il leader popolare, promettendo di rovesciare il governo Sanchez. Ma ha anche ammesso che per la mozione di sfiducia gli mancano quattro voti.
Nell’attesa di capire se il voto anticipato diventerà realtà, il dato politico è chiaro: la Spagna rischia di cambiare rotta. E con essa, la traiettoria dell’Ue. Perché un Pp più vicino a Vox significherebbe un indebolimento delle intese trasversali che finora hanno permesso alla Commissione von der Leyen di operare. I sovranisti non hanno i numeri per sostenere l’esecutivo europeo. Se però i socialisti decidessero di fare opposizione dura in Europa, in assenza di Sanchez, anche il Ppe si troverebbe senza maggioranza.