Un voto a valanga ha riscritto la Costituzione ungherese, e non si tratta di un semplice aggiornamento normativo. Con 140 voti favorevoli e appena 21 contrari, il parlamento ha approvato un emendamento che segna un punto di svolta nel cuore dell’Unione Europea. Proposto dalla coalizione Fidesz-KDNP del primo ministro Viktor Orbán, il testo ridefinisce la gerarchia dei diritti fondamentali: il “corretto sviluppo morale, fisico e spirituale dei minori” viene elevato a valore supremo, subordinando a esso ogni altro diritto, tranne quello alla vita.
Questa formulazione apparentemente protettiva ha però un obiettivo chiaro e dichiarato: vietare ogni manifestazione pubblica legata alla comunità LGBTQ+, a partire dal celebre Pride di Budapest. Già il 18 marzo scorso, una legge aveva introdotto questo divieto in forma ordinaria, ma la nuova norma lo eleva a rango costituzionale, blindando l’impianto legislativo e rendendo difficilissima ogni futura modifica.
Non è solo una questione simbolica. La legge prevede anche strumenti repressivi di stampo orwelliano: chi partecipa a eventi ritenuti proibiti potrà essere identificato tramite sistemi di riconoscimento facciale, con il rischio di multe fino a 200.000 fiorini ungheresi (circa 480 euro). Un attivismo normativo che, secondo numerosi osservatori, punta non alla protezione dei minori, ma a rafforzare il controllo sociale e a mobilitare l’elettorato conservatore.
Il dissenso non è mancato. All’esterno del Parlamento, militanti dell’opposizione e attivisti per i diritti civili hanno organizzato un presidio, incatenandosi con fascette plastiche davanti all’ingresso del garage dei deputati. Le forze dell’ordine li hanno allontanati fisicamente. All’interno dell’aula, deputati dell’opposizione hanno cercato di interrompere la votazione suonando sirene e fischietti. Ma il provvedimento è passato comunque, senza tentennamenti, con una disciplina di voto granitica da parte della maggioranza.
“Solo maschi e femmine”
Nel testo dell’emendamento è contenuta un’altra clausola destinata a far discutere: la Costituzione ungherese ora riconosce solo due sessi, maschile e femminile. La novità amplia un precedente intervento del 2020, che già vietava l’adozione alle coppie dello stesso sesso e stabiliva che “la madre è una donna, il padre è un uomo”. Ma stavolta si va oltre, negando la legittimità giuridica e simbolica a qualsiasi identità di genere non binaria.
Secondo il governo ungherese, si tratta di un “chiarimento basato sulla realtà biologica”. Così si è espresso il portavoce Zoltán Kovács. La norma, oltre a non contemplare le esperienze di chi vive una condizione di genere diversa da quella assegnata alla nascita, esclude del tutto le persone intersessuali, le cui caratteristiche biologiche non rientrano nei parametri binari.
Cittadinanza a tempo
Tra le pieghe dell’emendamento c’è anche un’altra novità dirompente: lo Stato ungherese potrà sospendere, per un periodo fino a dieci anni, la cittadinanza di chi possiede un doppio passaporto con un Paese extra-See (Spazio Economico Europeo) e venga considerato una minaccia alla sicurezza nazionale. In un contesto in cui la definizione di “minaccia alla sicurezza” è lasciata a criteri discrezionali, il rischio è che venga usata come strumento politico per colpire attivisti, oppositori o semplicemente cittadini ritenuti scomodi. La legge non specifica cosa debba costituire concretamente una minaccia, e questo genera un’area grigia giuridica potenzialmente pericolosa.
Il riferimento implicito è alla crescente diffidenza del governo ungherese verso le influenze straniere. Orbán ha più volte denunciato l’esistenza di un “esercito ombra” finanziato da fondi internazionali, composto – secondo la sua narrazione – da giornalisti, Ong, magistrati e attivisti che mirerebbero a destabilizzare il paese e rovesciare il governo. In un discorso recente, ha paragonato queste figure a “insetti” da eliminare.
In questa cornice, la sospensione della cittadinanza non appare come una misura di sicurezza, ma come un’arma geopolitica e ideologica. In pratica, chi lavora per Ong internazionali o riceve fondi dall’estero potrebbe essere privato della cittadinanza, diventando una sorta di “apolide interno” privo di tutela.
L’Ue e il monitoraggio sullo Stato di diritto
La risposta delle istituzioni europee non si è fatta attendere. La Commissione Ue ha dichiarato di essere al lavoro per analizzare nel dettaglio le modifiche approvate dal Parlamento ungherese, con l’obiettivo di verificare la loro compatibilità con il diritto dell’Unione. La portavoce Eva Hrncirova ha sottolineato che “il rispetto dei valori europei sanciti dall’articolo 2 del Trattato è un obbligo, non una scelta”.
Anche il commissario alla Giustizia Michael McGrath ha espresso preoccupazione, ricordando che l’Ue dispone di strumenti concreti per intervenire in caso di violazione dello Stato di diritto. L’Ungheria è già coinvolta in procedure avviate negli anni scorsi, tra cui l’articolo 7 del Trattato di Lisbona, che prevede la possibilità di sospendere i diritti di voto di uno Stato membro.
Tuttavia, i margini di manovra dell’Ue non sono illimitati. Le istituzioni europee devono bilanciare il principio della sussidiarietà – che garantisce autonomia ai governi nazionali – con la necessità di tutelare valori comuni. Inoltre, l’efficacia degli strumenti sanzionatori dipende dal consenso politico all’interno del Consiglio, dove ogni Stato membro ha voce in capitolo.
L’attenzione resta dunque alta, non solo a Bruxelles ma anche presso le organizzazioni internazionali per i diritti umani, che seguono con interesse l’evolversi della situazione ungherese.