Per quanto Donald Trump possa essere imprevedibile e volubile, va comunque preso in parola. Solo così si può iniziare a mappare i possibili impatti della sua futura amministrazione sul rapporto transatlantico, spiega Bill Echikson, Senior Fellow del think tank washingtoniano Center for European Policy Analysis. Al primo giro Trump ha provato a seguire i suoi impulsi e non ci è riuscito, per un misto di scarsa preparazione e limiti imposti dal suo staff. Stavolta, invece, si muove velocemente con le nomine – e sarà circondato da esecutori fedelissimi.
Una questione di rapporti
“Vedo due strade, una più promettente e una più distruttiva”, dice Echikson a Eurofocus. Molto dipenderà dalle tariffe: la minaccia trumpiana di imporre dazi del 20% su tutti i beni europei, unita all’inevitabile ritorsione Ue, “sembra una ricetta per una grande depressione” (quella originale del 1929 è stata aggravata da una serie di tariffe statunitensi isolazioniste, ricorda). L’Europa rischia di finire “schiacciata”; specie la sua grande esportatrice, la Germania, a cui è legata la sorte di molte imprese italiane.
C’è sempre l’altra strada, quella meno cupa, e passa dall’assecondare l’approccio transazionale di Trump. Dalle parti di Bruxelles sono già allo studio degli accordi di acquisto (più gas naturale liquefatto?) per ingraziarsi il prossimo inquilino della Casa Bianca. Ma Trump è anche attento ai contatti personali, ricorda l’esperto Cepa. Tra tutti, Giorgia Meloni “potrebbe diventare una sussurratrice al suo orecchio”. Difficile, però, che il tycoon voglia trattare con l’Ue in quanto tale: ha sempre guardato con scetticismo al progetto europeo ed è probabile che adotti una strategia “dividi e conquista”.
Requiem per il Ttc
Ne consegue che il Trade and Technology Council “sarà sepolto”, prevede l’esperto. Il forum semipermanente tra Usa e Ue, nato all’indomani della prima presidenza Trump per aumentare la cooperazione in materia di commercio e tecnologia, non ha mai entusiasmato i fan del rapporto transatlantico: è un palliativo rispetto al mai raggiunto accordo commerciale Ttip. Ma rimane “un canale di comunicazione utile”: è servito a coordinare le sanzioni per i prodotti tecnologici contro la Russia, per esempio. E “può essere focalizzato su misure concrete, come l’allineamento degli standard”, da quelli sui dispositivi medici a quelli alla base di internet (che la Cina vuole rimettere in discussione in chiave autoritaria).
E il fronte cinese?
La prima amministrazione Trump aveva già snobbato la proposta europea di creazione del Ttc. E nel caso di una guerra tariffaria, il forum diventerebbe irrilevante. Ma guardando avanti viene da chiedersi che ne sarà del fronte congiunto Ue-Usa sulla Cina, dove il ruolo di aziende come l’olandese Asml è cruciale nel limitare l’accesso cinese alle tecnologie più avanzate – una stretta iniziata sotto Trump 1.0 e proseguita sotto Joe Biden.
Nonostante tutto questo, avverte Echikson, è “assolutamente possibile” che Trump non dia grande valore alla posizione (e agli interessi) dell’Ue e affronti Pechino unilateralmente. Anche dall’altro lato ci potrebbero essere ostacoli a un eventuale allineamento. Dal canto suo l’Europa è diventata “più inflessibile sulla Cina”, ma esistono ancora divisioni tra i Ventisette: la Germania tra tutti è “molto dipendente” ed è stata “super prudente” in ambiti come i dazi sull’auto elettrica.
C’è un lato dolorosamente pratico: se Trump dichiarasse una “guerra economica totale” alla Cina, i dazi dirotterebbero i flussi di merci cinesi verso il Vecchio continente. Il rischio dumping e conseguenti tensioni Ue-Cina è dunque altissimo. E sul lato politico, un’Europa “irritata” dai dazi statunitensi “si chiederebbe chi sia il suo vero amico: la Cina o l’America? La scelta è chiara, ma Trump potrebbe renderla più ardua”.
Tra multe e Musk
Poi c’è da ricordare che, forum o meno, probabilmente Bruxelles e Washington sono già in rotta di collisione sul fronte tecnologico. Da un lato c’è la multa in arrivo ai danni di Apple (di cui il ceo Tim Cook si è già lamentato con Trump, il quale ha risposto che non permetterà all’Ue di “approfittare delle nostre aziende”). Dall’altro l’indagine della Commissione Ue su X, la piattaforma social di Elon Musk, destinato ad avere un ruolo di peso nell’amministrazione Trump. Potrebbe essere finito il tempo del tacito (e limitato) consenso di Biden alla stretta europea sulle Big Tech, più difficile a livello domestico.
L’ex Twitter, che si è sfilata dal memorandum europeo su hate speech e disinformazione e ha “sventrato” il team di moderazione, è sotto la lente dell’esecutivo Ue negli ambiti di diffusione di contenuti illegali, manipolazione delle informazioni e design ingannevole. Multa potenziale: fino al 6% del fatturato annuo. Si tratterebbe della prima, vera applicazione del Digital Services Act insieme alla procedura contro la cinese Temu. E c’è da aspettarsi che tra Bruxelles e una Washington dominata dalla saldatura Trump-Musk “si alzi istantaneamente la tensione”.
Appeasement…
Vero è che sui processi contro Apple e X la Commissione potrebbe ammorbidire la linea per salvaguardare i rapporti politici e commerciali. La presidente Ursula von der Leyen ha usato un tono conciliante nel congratulare Trump. Come sottolinea Echikson, anche la commissaria designata alle materie tecnologiche Henna Virkkunen si è mostrata più morbida rispetto al suo predecessore Thierry Breton, perlomeno in audizione. Ma l’esecutivo Ue, così fiero delle regolamentazioni in materia, sarebbe pronto a una marcia indietro così imbarazzante?
… o “sovranità tecnologica”?
L’altro estremo per l’Ue sarebbe “ripiegarsi su sé stessa” e “perseguire vaghe e irrealistiche speranze di sovranità digitale”. Agli addetti ai lavori dovrebbe tornare in mente Gaia-X, il tentativo fallimentare di creare un “cloud europeo” attraverso una confederazione di imprese (tra cui diverse non europee). Come sottolinea il think-tanker, è difficile immaginarsi l’emergere di un campione europeo in grado di competere con quelli statunitensi, vista la carenza di finanziamenti. La riprova: la digital-sovranista Francia si è affidata a Microsoft per la conservazione dei dati sanitari dei francesi (“cosa c’è di più delicato di quelli?”).
In campo tecnologico “è vero che l’Ue dovrebbe fare di più da sola, come nel caso della difesa. Ma il pericolo è che questa tendenza si trasformi in protezionismo… per esempio, rifiutarsi di appoggiarsi a un fornitore di cloud statunitense e al contempo affidarsi ad apparecchiature di telecomunicazioni cinesi non è una buona scelta per l’Europa”, sottolinea Echikson.
Intelligenza (artificiale)
Peraltro, Microsoft ha anche un accordo per fornire servizi cloud a Mistral, il gioiello francese dell’intelligenza artificiale. Ed è proprio sul versante dell’IA che rischia l’Ue: lo stesso impulso digital-sovranista per cui l’Ue ha fallito sul cloud potrebbe far fallire anche la crescita dell’industria IA europea, avverte l’esperto Cepa. A proposito, non si può non pensare al fatto che per via delle restrizioni europee alcune realtà tech non possono rilasciare i loro modelli IA più avanzati in Ue, conclude.