Bruxelles guadagna terreno: la Svizzera apre all’anti-Brexit

Mercato sì, sovranità no: mentre Londra è uscita per riavere autonomia, Berna valuta l’integrazione accettando regole senza voto
9 ore fa
3 minuti di lettura
Svizzera Ue

Un documento di quasi mille pagine, sei accordi chiave, una consultazione pubblica in corso e un referendum all’orizzonte: la Svizzera sta per riscrivere le regole del proprio rapporto con l’Unione Europea. Dopo più di dieci anni di negoziati e stalli diplomatici, il Consiglio federale ha approvato un nuovo pacchetto di misure che, se ratificato, cambierà profondamente l’accesso elvetico al mercato unico europeo.

Non si tratta di un ingresso nell’Ue né di un passo formale verso l’adesione, ma la portata dell’accordo è tutt’altro che tecnica. In cambio di una maggiore stabilità economica e regolatoria, la Svizzera dovrà allinearsi alle norme europee in modo sistematico e automatico. Sul piatto ci sono anche contributi al bilancio comunitario e un meccanismo giuridico che richiama, per struttura e portata, altri modelli di integrazione “da fuori”.

Accesso al mercato unico, ma con regole imposte da Bruxelles

Il nuovo accordo introduce sei trattati settoriali aggiornati, relativi a merci, elettricità, trasporti su strada e per via aerea, sicurezza alimentare e libera circolazione delle persone. La novità sostanziale non sta tanto nei contenuti — molti dei quali già coperti da intese bilaterali precedenti — quanto nel metodo: la Svizzera dovrà recepire automaticamente tutte le modifiche che l’Unione Europea apporterà in questi ambiti.

Non ci saranno negoziazioni caso per caso, né possibilità di introdurre eccezioni unilaterali. Chi rifiuta di aggiornarsi, subisce conseguenze. Questo meccanismo, detto di allineamento dinamico, è stato uno dei punti più controversi dei negoziati, ma è diventato l’architrave del nuovo patto. In cambio, Berna manterrà il pieno accesso al mercato unico europeo e potrà rientrare nei principali programmi di cooperazione: Horizon Europe per la ricerca, Euratom per l’energia, Erasmus+ per l’istruzione.

Previsto anche un contributo finanziario fisso al bilancio dell’Ue, pari a 375 milioni di euro l’anno. Il pacchetto non sostituisce gli oltre 120 accordi bilaterali già in vigore, ma li affianca in una cornice più coerente. Secondo Bruxelles, l’attuale mosaico normativo è troppo instabile per garantire la certezza del diritto, e senza un’intesa strutturata entro il 2028, il modello bilaterale sarà superato.

Il nodo della giurisdizione

L’adesione al principio dell’allineamento normativo implica che la Svizzera non potrà più adattare selettivamente le regole comunitarie, come ha fatto negli ultimi decenni. In più, è previsto un meccanismo di risoluzione delle controversie che prevede l’intervento obbligatorio della Corte di giustizia dell’Ue nei casi che coinvolgono l’interpretazione del diritto europeo.

La Svizzera conserverebbe formalmente la propria autonomia giuridica, ma la sostanza è un’altra: ogni volta che si dovrà chiarire il significato di una norma europea, a decidere sarà il tribunale di Lussemburgo. Berna avrà un ruolo consultivo nei processi di aggiornamento normativo, ma nessun voto, nessun potere di veto.

Per un sistema come quello svizzero — in cui anche le leggi federali possono essere sottoposte a referendum — il vincolo a recepire leggi esterne non modificate rappresenta un cambio di paradigma. A preoccupare non sono solo gli effetti diretti, ma le implicazioni istituzionali: quanto margine resterà per la democrazia diretta, se il diritto europeo diventerà immodificabile?

La sfida del consenso interno

Il governo ha avviato formalmente la consultazione pubblica lo scorso mese di giugno. Il processo durerà fino al 31 ottobre, poi il pacchetto sarà trasmesso al Parlamento, che inizierà l’esame nel primo trimestre del 2026. La data ipotizzata per il referendum confermativo è il 2028, ma il calendario potrebbe subire modifiche in base all’evoluzione politica interna.

Secondo uno studio pubblicato dall’amministrazione federale, l’assenza di un accordo con l’Ue potrebbe generare una perdita economica cumulata superiore a 520 miliardi di franchi svizzeri (circa 640 miliardi di euro) entro il 2045. Le conseguenze riguarderebbero in particolare i settori ad alta intensità di export — come farmaceutica, tecnologia e macchinari — ma anche la ricerca pubblica, che negli ultimi anni ha già risentito della sospensione da Horizon Europe.

La consultazione ha già fatto emergere posizioni critiche in alcuni segmenti politici e imprenditoriali. Le obiezioni si concentrano su tre aspetti principali: la rinuncia al controllo normativo, la subordinazione alle decisioni giuridiche dell’Ue e l’impatto potenziale su settori regolati a livello federale, come il mercato del lavoro e la gestione della mobilità. Più che un rigetto del contenuto tecnico dell’accordo, la contestazione si sta consolidando attorno alla sua portata istituzionale. Il timore, per una parte dell’opinione pubblica, è che l’intesa possa introdurre un precedente in grado di ridisegnare gli equilibri tra potere federale, democrazia diretta e vincoli esterni.

Brexit al contrario

Il caso svizzero rappresenta, in molti aspetti, l’inverso della Brexit. Se Londra ha lasciato il mercato unico per riacquisire autonomia normativa, Berna si trova ora nella posizione opposta: rafforzare l’integrazione economica rinunciando a una parte del proprio margine decisionale. Il dilemma è lo stesso: accesso o controllo. Ma la traiettoria è inversa.

Il confronto con il Regno Unito è inevitabile anche per un altro motivo: molti elementi dell’accordo svizzero sono quasi speculari agli aggiustamenti Ue-Uk post-Brexit. Governance condivisa, obbligo di consultazione, ruolo della Corte di giustizia, allineamento tecnico in cambio di continuità commerciale. Ma c’è una differenza: la Svizzera non ha mai fatto parte dell’Ue, né ha mai abbandonato un’architettura comune. Il suo rapporto con Bruxelles è sempre stato ibrido, e questo rende il compromesso più delicato.

L’accordo oggi in discussione non risolve quella ambiguità, ma la porta a un punto di rottura: scegliere tra una relazione stabile ma vincolante o il ritorno a una frammentazione che, secondo più di un’analisi, ha già mostrato i suoi limiti. La posta in gioco non è solo tecnica. È, più profondamente, una decisione strategica sul posto della Svizzera nell’Europa del XXI secolo.