Brexit, quanto pesa sull’economia europea?

Un report dell’Università di Aston misura i danni di import-export dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. In attesa di un appuntamento con von der Leyen, qual è la strategia di Keir Stramer?
3 settimane fa
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Keir Starmer
Keir Starmer (Alberto Lingria/Ipa/Fg)

La Brexit continua a pesare sull’economia e il commercio tra il Regno Unito e l’Unione europea. Nuove barriere influenzano dinamiche economiche mentre gli effetti, sul lungo periodo, sono stati evidenti. Un recente studio condotto dall’Università di Aston ha rilevato che l’accordo di Commercio e Cooperazione (Tca) tra Uk e Ue ha introdotto sfide strutturali alle due economie.

Pare, infatti, che ne abbia limitato significativamente il volume degli scambi commerciali destabilizzando le catene di fornitura. Capiamo in che misura.

Un calo significativo degli scambi commerciali

L’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, avvenuta nel 2020, ha comportato un calo netto del 17% nelle esportazioni verso l’Ue e del 23% delle importazioni, rispetto ai livelli pre-Brexit. Lo studio condotto dall’Aston University ha constatato che l’impatto maggiore si è registrato nei settori agroalimentare, tessile e dei materiali, dove le barriere non tariffarie, come i requisiti regolamentari e doganali hanno ridotto la competitività britannica.

I dati più recenti del 2023 mostrano che queste riduzioni non sono solo una reazione temporanea all’accordo, ma riflettono cambiamenti strutturali profondi, con un indebolimento delle catene di approvvigionamento che erano strettamente integrate tra Regno Unito ed Ue.

Divergenze normative

Alcuni settori hanno risentito più duramente delle nuove barriere commerciali. Il settore agroalimentare, per esempio, ha visto l’introduzione di controlli sanitari che hanno ostacolato le esportazioni britanniche di cibi e bevande.

La Brexit ha richiesto l’emissione di certificati di salute e verifiche doganali per ogni spedizione, con conseguenti ritardi e aumenti dei costi per i produttori. Questo problema si è manifestato in vari ambiti, dai prodotti ittici fino alle carni, compromettendo gravemente le piccole e medie imprese del Regno Unito.

Inoltre, le divergenze normative tra Regno Unito ed Ue hanno creato nuovi ostacoli per i settori che dipendono da standard comuni, come quello chimico e farmaceutico. Le imprese britanniche devono ora conformarsi a requisiti separati per poter continuare a vendere nell’Ue, con significativi costi aggiuntivi per ottenere certificazioni duplicate e conformità regolamentare.

Prospettive politiche e il ruolo dell’Unione Europea

Nonostante sia già stata “denunciata” la gravità della situazione, vi sono richieste crescenti affinché il governo britannico negozi nuovi accordi con Bruxelles. Secondo il rapporto, il Regno Unito potrebbe trarre vantaggio da accordi settoriali mirati, come un’intesa veterinaria che potrebbe ridurre i controlli alle frontiere per i prodotti alimentari, o la facilitazione dell’accesso per i professionisti britannici in Europa, come architetti e avvocati. Inoltre, l’adozione di tecnologie digitali per semplificare le procedure doganali potrebbe alleviare parte delle difficoltà incontrate dalle imprese.

Il legame con l’Ue rimane essenziale per il Regno Unito, non solo per ragioni storiche e geografiche, ma anche perché l’Unione Europea rappresenta ancora il principale partner commerciale per Londra. Le aziende britanniche continuano a dipendere dalle importazioni di beni intermedi e capitali europei, nonostante la Brexit abbia portato ad una riduzione del volume complessivo degli scambi.

La strada verso un miglioramento delle relazioni commerciali con l’Ue appare complicata, ma necessaria per evitare ulteriori danni all’economia del Regno Unito. L’approfondimento dei rapporti con Bruxelles potrebbe portare vantaggi non solo economici ma anche strategici per entrambe le parti. E qualcosa pare stia già cambiando.

I bilaterali di Starmer: quale strategia con l’Ue?

Il neoeletto premier britannico Keir Starmer ha già messo in atto, a neanche 100 giorni dal suo insediamento, una serie di incontri bilaterali per dialoga con alcuni degli Stati membri sul futuro delle relazioni con l’Uk.

Prima a Berlino, poi a Parigi, e poi a Roma, Starmer si è diretto nelle Capitali delle principali economie europee per aprire una linea comunicativa diretta con i leader degli Stati più influenti in Europa.

Ma di economia, almeno dalle dichiarazioni congiunte, pare non sia emerso nulla di sostanzioso. Per lo più sicurezza, difesa e gestione dell’immigrazione illegale: queste le tematiche affrontare negli incontri con l’Ue. L’apparenza è quella di voler condividere l’agenda del nuovo Parlamento europeo, concentrato sugli aiuti elargiti all’Ucraina nel conflitto con la Russia, sulle tensioni in Medio Oriente e su competitività e sicurezza da migliorare, sia in termini strutturali che in termini di finanziamento e investimento.

Pur non parlando la “lingua europea”, Starmer si è adattato al nuovo linguaggio che non ha più la sicurezza ambientale e lo sviluppo digitale come protagonisti, ma un rinnovato panorama di riferimento. Con la nuova Commissione europea appena presentata da Ursula von der Leyen, potrebbe anche cercare un posto nell’agenda della presidente, nella speranza che convenga anche agli Stati membri fare affari con il vicino uscente.