Innovazione, sicurezza e influenza: i tre dilemmi digitali dell’Ue

Per gli esperti di Ecfr, a Bruxelles manca ancora di qualcosa di fondamentale che Cina e Usa possiedono: fondare le politiche non solo sugli interessi socio-economici, ma anche su quelli geopolitici
24 ore fa
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Dire che l’Unione europea è indietro nel digitale rispetto a Cina e Stati uniti è una verità che scoperchia un vaso di Pandora. A Bruxelles manca ancora di qualcosa di fondamentale che Washington e Pechino possiedono: un modo per fondare le proprie politiche non solo sugli interessi socio-economici, ma anche su quelli geopolitici.

La questione è stata affrontata dallo Ecfr, European council on foreign relations, e in particolare da José Ignacio Torreblanca, senior policy fellow e capo dell’ufficio di Madrid, e Giorgos Verdi, policy fellow del programma European Power, autori di un paper sul tema.

Il blocco, spiegano gli esperti, si trova di fronte a tre dilemmi, per ognuno quali deve trovare un equilibrio se non vuole scivolare sempre più fuori dal palcoscenico mondiale:

• innovazione
• sicurezza economica
• influenza digitale globale, in un ambiente geopolitico complesso.

Tutti e tre questi aspetti si portano dietro tensioni e compromessi tra esigenze e situazioni complicate e contrapposte: si sistema da un lato, ma si perde dall’altro, e il difficile sarà trovare un equilibrio.

Occorrono una strategia digitale e creatività

Per gestire i tre dilemmi, l’Europa deve adottare una strategia digitale che metta in relazione tecnologia e potere. Ma occorrerà anche creatività, sottolineano gli esperti, per realizzare il potenziale dell’Europa a diventare un vero e proprio potere tecnologico, costruire un modello digitale innovativo, sovrano e influente, e in definitiva affrontare le scelte nascoste all’interno dei tre ‘rebus’.

La via è passare attraverso una serie di politiche che approfondiscono i mercati, colmano le lacune istituzionali e perseguono una diplomazia digitale più proattiva e ambiziosa, andando anche a recuperare il potenziale sotto-sfruttato nel mondo digitale in Europa. Secondo i due esperti, queste politiche dovrebbero essere una pietra angolare dell’Ue per il 2024-2029.

Attualmente, da una parte c’è l’effetto Bruxelles’, il potere regolatorio, ovvero la forte influenza normativa globale che l’Ue esercita a livello globale (basti pensare al regolamento generale sulla protezione dei dati, il GDPR), dall’altra c’è lo scarso potere tecnologico e industriale e dunque digitale, dell’Unione. Il risultato è che la sicurezza economica del blocco e la sua capacità di guidare l’innovazione tecnologica risultano minacciate.

Come hanno sottolineato Draghi nel suo Rapporto sulla competitività e ultimamente anche il presidente francese Emmanuel Macron, l’Europa è già in ritardo.

Il lavoro dell’ex banchiere infatti è citato da Torreblanca e Verdi, nel punto in cui sottolinea che “l’Ue è debole nelle tecnologie emergenti che guideranno la crescita futura”. E questo nonostante sia uno dei tre principali modelli di governance digitali emerso negli ultimi 25 anni.

Non a caso il Rapporto batte sulla necessità di un forte impegno per promuovere le industrie e le tecnologie digitali dell’Ue e sullo sviluppo di una nuova politica estera economica volta a proteggere gli interessi del blocco, aspetti condivisi pienamente da Torreblanca e Verdi.

Ma nel dettaglio in cosa consistono i tre dilemmi definiti dai due esperti?

Il primo dilemma: innovazione

Si parte dall’innovazione: tutti ne parlano e sono d’accordo che occorra svilupparla, ma occorre considerare che un’operazione del genere richiede apertura e allo stesso tempo può rendere i mercati e le politiche vulnerabili ai rivali geopolitici o ai competitor.

Un paio di dati per capire la situazione attuale: a livello globale, solo il 3% degli unicorni (le start-up per un valore di oltre 1 miliardo di dollari) è europea, secondo i dati dell’organizzazione commerciale dell’Ue Digital Europe. E questo perché anche se fondati nel vecchio continente, gli unicorni emigrano, soprattutto negli Usa. Anche sui semiconduttori le cose non vanno bene: dal 2023 solo l’11% della produzione mondiale avviene in Europa, oltretutto per la parte meno sofisticata del mercato dei chip.

Diverse le cause di questo fenomeno, prima fra tutte l’iper-regolamentazione che caratterizza l’Unione europea: nel periodo 2019-2024 l’Ue ha adottato 93 normative digitali e tecnologiche, a volte incoerenti e restrittive, cosa che ovviamente scoraggia gli innovatori e gli investitori, oltre a essere una barriera in ingresso.

L’Ue è in ritardo anche per quanto riguarda la digitalizzazione applicata: secondo le previsioni, solo il 20% delle imprese europee utilizzerà l’Intelligenza Artificiale entro il 2030, ben al di sotto dell’obiettivo europeo del 75%. Ciò si traduce in perdita di potenziale economico: secondo il McKinsey Global Institute, l’IA generativa potrebbe aiutare l’Europa a raggiungere un tasso di crescita della produttività annuo anche del 3% fino al 2030.

Un’altra causa dei problemi relativi al primo dilemma riguarda poi la frammentazione dei mercati dei capitali europei: nel Vecchio Continente l’innovazione è frenata dall’insufficiente accesso ai finanziamenti pubblici e privati rispetto a Cina e Usa. Ragion per cui ogni anno 300 miliardi di euro di risparmi europei finiscono negli Stati Uniti, e quasi 3,1 trilioni di euro di fondi pensione sono lasciati inattivi.

Come risultato, nel 2023 le aziende americane di IA hanno ricevuto 335 miliardi di dollari, mentre due delle più promettenti società di intelligenza artificiale con sede nell’Ue – la francese Mistral e la tedesca Aleph Alpha – hanno raccolto con fatica 500 milioni di dollari.

Un terzo problema nell’ambito dell’innovazione è la capacità dell’Europa di attrare talenti: nell’Unione c’è una carenza di competenze, che si concretizza nella mancanza prevista di 8 milioni di specialisti di tecnologie dell’informazione e della comunicazione entro il 2030.

Siccome però l’Europa in questo ambito non solo cede ma attrae anche giovani validi, occorre spingere su questo aspetto, rendendo più flessibili le leggi sulla migrazione e, sottolineano gli attori, sfruttando ad esempio un’eventuale vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali del prossimo 5 novembre, che potrà spingere molti talenti a lasciare gli Usa.

Su cosa agire dunque?

L’approccio al dilemma dell’innovazione, sottolineano Torreblanca e Verdi, dipenderà in gran parte dal modo in cui vengono applicate le normative digitali, ma anche dalla leadership politica.

In definitiva, l’Ue dovrà implementare in modo intelligente le regole che ha già, creare mercati digitali e finanziari più integrati, presentare un’offerta accattivante per i talenti digitali e sviluppare una leadership chiara e ambiziosa.

Il secondo dilemma: sicurezza economica

Il secondo dilemma riguarda la protezione dei valori e degli interessi europei, cosa molto giusta ma che allo stesso tempo può rallentare il progresso tecnologico e alienare i partner. Importare tecnologie critiche a prezzi bassi dall’estero è un approccio rischioso, perché mette l’Europa in una situazione di dipendenza da attori esterni, che potrebbero decidere di interrompere il flusso di beni, servizi e dati tecnologici.

Proprio i compromessi e le tensioni tra gli obiettivi di un progresso più rapido e la protezione della base tecnologica dell’Ue costituiscono il dilemma della sicurezza economica dell’Europa, spiegano Torreblanca e Verdi.

Il tema era già stato affrontato dalla prima commissione von der Leyen che aveva sviluppato il concetto di ‘autonomia strategica’, per poi accorgersi che gli Stati membri si erano divisi a riguardo e i partener del Sud del mondo erano contrariati. Di conseguenza, l’organo esecutivo del blocco è passato a una sorta di resilienza tramite de-risking, ovvero accettare le varie forme di interdipendenza cercando al contempo di gestirle. Secondo i due esperti, questo non basta: occorre proattività e serve integrare le risorse finanziarie per rafforzare la capacità produttiva dell’Europa in parti vitali dell’ecosistema tecnologico. Tradotto: bisogna investire di più, come d’altronde sottolinea il Rapporto Draghi, che sostiene la necessità di investimenti doppi di quelli del Piano Marshall.

E se da una parte in un mondo globalizzato è fondamentale costruire solide partnership con Paesi strategici, dall’altra però l’Unione deve sviluppare una maggiore autonomia nelle tecnologie critiche, riducendo la dipendenza da Paesi come Cina e Stati Uniti. Un bel dilemma insomma. Per risolverlo, la Commissione deve diventare una ‘Commissione geoeconomica’.

Il terzo dilemma: l’influenza digitale globale

L’ultimo grande rebus è l’influenza digitale globale: da una parte l’Ue deve mantenere la capacità di fissare standard tecnologici globali, dall’altra questo può portare a scontri con Paesi che a loro volta cercano quell’influenza, così come con Stati che si sentono costretti a scegliere tra modelli concorrenti. Soprattutto nell’ultimo mezzo decennio, infatti, la tecnologia è diventata fortemente geopolitica, il conflitto è proliferato, la concorrenza tra le potenze si è intensificata e le interdipendenze sono diventate un’arma a doppio taglio.

In questo contesto l’Unione, affermano i due esperti, deve “intensificare la sua diplomazia digitale e stabilire nuovi partenariati per rafforzare la propria posizione”. Posizione che attualmente va scemando, come dimostra la legge sull’IA che, sebbene sia la prima adottata nel mondo, è stata criticata da più parti, mentre Stati Uniti, Regno Unito e Giappone hanno optato per approcci diversi.

D’altronde anche le big tech ‘remano contro’: alcuni hanno sospeso la fornitura di alcuni servizi o prodotti per l’incertezza o per l’iper-regolazione che regnano nel mercato europeo. Il che in definitiva va discapito dei consumatori e crea un mercato digitale transatlantico a due livelli, dove i cittadini statunitensi fruiscono di servizi a cui quelli europei non hanno accesso. In sostanza, si è creato un braccio di ferro in cui l’Unione europea vede scemare la propria capacità di incidere.

Come si affronta allora il dilemma dell’influenza? Non andando oltre l’effetto Bruxelles ma partendo da esso, collegando l’agenda tecnologica europea con la sua politica estera e con obiettivi strategici più ampi. Serve dunque un coordinamento più stretto tra l’Ue, gli Stati membri, i Paesi partner e il settore privato, anche attraverso nuovi accordi istituzionali.

La stragrande maggioranza dell’innovazione tecnologica umana si svolge oltre i confini del blocco, spiegano gli autori del documento: “Per l’Europa rinnovare la sua capacità di plasmare il panorama digitale globale significa abbracciare l’interdipendenza strategica. I partenariati più profondi possono consentire all’Ue di sfruttare i propri punti di forza e colmare le lacune nell’accesso alle tecnologie critiche”.

I fattori critici per l’Unione

Ma perché l’Europa si trova ora di fronte a questi tre complessi dilemmi?

Eppure negli ultimi 5 anni, quelli con Ursula von der Leyen alla guida della Commissione, molte cose sono state fatte: gli autori citano il Digital Market Act (la legge anti concorrenza sui mercati digitali) e il Digital Service Act (la legge sui servizi digitali), oltre alla legge sull’Intelligenza Artificiale.

Il punto, per Torreblanca e Verdi, è stato che le politiche messe in atto non avevano dimensioni geopolitiche significative, quindi non hanno ha guardato strettamente agli obiettivi strategici e agli interessi dell’Unione, cosa che i suoi concorrenti invece hanno fatto.

Basti pensare che Xi Jinping ha dichiarato che “l’innovazione tecnologica è diventata il principale campo di battaglia del campo di gioco globale” e ha creato un piano ‘Made in China 2025’ con l’obiettivo di costruire un ecosistema tecnologico nazionale in aree vitali come l’intelligenza artificiale, i semiconduttori e l’informatica avanzata, oltre a costruire sfere tecnologiche di influenza in in varie parti del mondo, compresa la stessa Unione europea. Allo stesso modo, gli Usa hanno messo in campo 52,7 miliardi di dollari solo per lo sviluppo dei semiconduttori.

In sostanza, spiegano gli autori del paper,“sia gli Stati Uniti che la Cina considerano le tecnologie critiche come un mezzo per acquisire ed esercitare il potere, e quindi le affrontano attraverso strategie a lungo termine che comprendono politiche industriali, commerciali, estere e di sicurezza”.

Viceversa, l’Europa, complice l’aggressione russa all’Ucraina, si è rivolta verso l’esterno: ad esempio nel luglio 2022 il Consiglio europeo riguardo alla diplomazia digitale ha affermato che le nuove tecnologie siano diventate “parametri competitivi chiave che possono spostare l’equilibrio geopolitico del potere”.

L’Unione manca della leadership, dell’unità e degli strumenti istituzionali e finanziari necessari per replicare l’approccio globale dei suoi due competitor. Il risultato è un approccio europeo stretto e in silos alle tecnologie critiche, spesso distaccato da – o almeno non sufficientemente coordinato con – il resto dei suoi obiettivi strategici.

Per recuperare, deve integrare la sua agenda tecnologica con i suoi obiettivi di politica estera in modo molto più completo. L’obiettivo dovrebbe essere sviluppare l’influenza tecnologica e la leadership globale europea, definite come la capacità di far progredire i valori e gli interessi dell’Ue nella governance della tecnologia mondiale, così come nelle sfere del potere – sicurezza globale, economia e politica.

Ci sono comunque dei segnali positivi: l’Agenda Strategica 2024-2029 e la relazione sul futuro del mercato unico di Enrico Letta hanno sottolineato l’urgenza di rafforzare la sovranità del blocco nei settori strategici, trasformando l’Europa in una potenza tecno-industriale e rafforzando la sua leadership digitale globale. La stessa von der Leyen, che guiderà la Commissione anche nel prossimo quinquennio, nelle sue linee guida politiche ha chiarito che “l’Europa deve essere all’avanguardia tra scienza, tecnologia e industria”.