Per la prima volta dall’entrata in vigore del Digital Services Act, la Commissione europea ha trasformato la teoria in sanzioni pesanti. X si vede recapitare una multa da 120 milioni di euro per violazione degli obblighi di trasparenza previsti dal regolamento. Nello stesso arco di giorni, Bruxelles apre un’indagine antitrust su Meta per la stretta imposta agli sviluppatori di intelligenza artificiale che usano WhatsApp Business, mentre chiude – per ora – il fronte pubblicitario su TikTok accettando una serie di impegni vincolanti sulla trasparenza degli annunci.
Il quadro che emerge è quello di un esecutivo europeo che usa in parallelo strumenti diversi – Dsa, diritto della concorrenza, potere di accettare commitments – per ricondurre le grandi piattaforme entro un perimetro regolato. Su X si interviene per interfacce giudicate ingannevoli, opacità dell’archivio degli annunci e blocco dell’accesso ai dati pubblici per i ricercatori. Su Meta si apre un dossier da abuso di posizione dominante legato alla possibile esclusione dei fornitori di servizi di intelligenza artificiale di terze parti da uno snodo cruciale come WhatsApp. TikTok, a sua volta, evita una sanzione accettando di ristrutturare il proprio ad repository e offrendosi come caso di scuola di “compliance negoziata”. Nel mezzo, lo scontro politico con Washington e le accuse di voler imporre una forma di censura mascherata alle piattaforme statunitensi, respinte pubblicamente dalla Commissione.
X sotto il Dsa
La decisione che colpisce X è il primo vero banco di prova del Dsa. La Commissione parla di una decisione di non conformità e fissa una sanzione da 120 milioni di euro, stabilita tenendo conto della natura delle violazioni, della loro gravità per gli utenti europei coinvolti e della durata delle condotte contestate. Il fascicolo trae origine dal procedimento avviato il 18 dicembre 2023 per verificare il rispetto del regolamento in alcune aree particolarmente sensibili: diffusione di contenuti illegali, contrasto alla manipolazione delle informazioni, trasparenza della pubblicità, accesso ai dati per i ricercatori e divieto di interfacce ingannevoli. Su parte di questi capitoli – in particolare sulla diffusione di contenuti illegali e sulla manipolazione informativa – l’indagine rimane aperta. Su tre aspetti, invece, Bruxelles è giunta a una valutazione definitiva: il sistema della spunta blu, le carenze strutturali dell’archivio degli annunci e le restrizioni all’accesso ai dati pubblici da parte di soggetti accreditati.
La contestazione sulla spunta blu incide sul nuovo modello di funzionamento della piattaforma. X consente a chiunque di acquistare lo status di account “verificato” senza svolgere controlli sostanziali sull’identità del titolare. Per la Commissione, il social impiega un segno grafico che evoca autenticità e attendibilità senza fornirne le premesse, ingannando gli utenti ed esponendoli a truffe, account falsi e impersonificazioni. Nel comunicato ufficiale si precisa che il Dsa non obbliga a verificare l’identità degli utenti, ma vieta alle piattaforme di attribuire la qualifica di verificato quando non è stato effettuato alcun controllo reale.
La seconda violazione riguarda l’archivio degli annunci pubblicitari: X non fornisce informazioni complete sul contenuto degli annunci, sui criteri di destinazione e sulle entità pagatrici, e introduce ostacoli tecnici e ritardi che rendono difficile per ricercatori e società civile monitorare campagne, operazioni coordinate e pubblicità irregolari, in contrasto con gli obblighi dell’articolo 39 del Dsa. Ancora più marcata è la critica sull’accesso ai dati pubblici: condizioni d’uso che vietano anche ai ricercatori qualificati di accedere autonomamente ai dati, procedure che ostacolano la consultazione e insiemi informativi incompleti in violazione dell’articolo 40.
Il significato politico della decisione è riassunto dalle parole della vicepresidente esecutiva Henna Virkkunen, in una dichiarazione ufficiale che accompagna il provvedimento: “Ingannare gli utenti con le spunte blu, oscurare le informazioni sugli annunci ed escludere i ricercatori non può avere spazio online nell’Unione europea. Il Dsa tutela gli utenti, offre ai ricercatori gli strumenti per individuare potenziali minacce e contribuisce a ricostruire la fiducia nell’ambiente digitale. Con la prima decisione di non conformità adottata ai sensi del Dsa, riteniamo X responsabile per aver compromesso i diritti degli utenti ed evitato la necessaria responsabilità”.
WhatsApp nella lente dell’antitrust
Sul fronte Meta, la Commissione non ricorre al Dsa ma riattiva lo strumento dell’articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell’Unione. Il 4 dicembre è stata avviata un’indagine antitrust formale per verificare se la nuova politica sull’accesso dei fornitori di servizi di intelligenza artificiale a WhatsApp possa configurare un abuso di posizione dominante. La misura contestata incide direttamente sull’utilizzo della piattaforma: gli sviluppatori di sistemi di Ai non potranno più impiegare l’infrastruttura WhatsApp Business quando l’assistente algoritmico rappresenta il servizio principale offerto; l’impiego dell’Ai rimarrà consentito solo come funzione di supporto, ad esempio per automatizzare l’assistenza ai clienti. Meta prevede di applicare questa modifica immediatamente ai nuovi entranti, a partire dal 15 ottobre 2025, e dal 15 gennaio 2026 agli operatori già presenti. Nel frattempo, la propria soluzione “Meta AI” continuerà a essere disponibile su WhatsApp, con un vantaggio evidente rispetto ai servizi concorrenti.
La Commissione sottolinea che WhatsApp non è soltanto un’applicazione di messaggistica personale, ma una rete infrastrutturale utilizzata su larga scala dalle imprese per gestire le comunicazioni commerciali. Limitare l’accesso dei fornitori esterni di Ai a questo canale, mentre la soluzione interna rimane pienamente operativa, corrisponde al tipo di comportamento che il diritto della concorrenza considera potenzialmente preclusivo. Un orientamento che trova conferma nelle parole della vicepresidente esecutiva Teresa Ribera: “I mercati dell’intelligenza artificiale stanno crescendo rapidamente in Europa e nel resto del mondo. Dobbiamo assicurarci che cittadini e imprese europee possano beneficiare appieno di questa trasformazione tecnologica e intervenire per impedire che operatori digitali dominanti abusino del proprio potere per estromettere concorrenti innovativi”.
L’indagine copre l’intera Area economica europea, con l’eccezione dell’Italia, dove l’Autorità garante della concorrenza sta già valutando la condotta di Meta e l’eventuale adozione di misure cautelari. La scelta di aprire un fascicolo autonomo a livello europeo indica la volontà di sorvegliare fin da ora l’evoluzione dell’Ai come mercato strategico, senza attendere che eventuali effetti escludenti diventino irreversibili. Meta contesta l’impostazione della Commissione e sostiene che le accuse siano infondate, attribuendo la revisione delle regole al sovraccarico dei propri sistemi dovuto alla crescita dei chatbot che operano tramite l’interfaccia Business. L’azienda aggiunge che il settore dell’intelligenza artificiale è altamente competitivo e che gli utenti possono accedere ai servizi preferiti attraverso molteplici canali, dagli app store ai motori di ricerca fino alle integrazioni con altri servizi digitali.
Il caso TikTok
TikTok arriva allo stesso tavolo con un profilo diverso. Il 19 febbraio 2024 la Commissione aveva avviato un procedimento formale per possibili violazioni del Dsa, focalizzandosi – tra l’altro – sull’archivio degli annunci, sui meccanismi algoritmici con effetti potenzialmente dannosi per gli utenti, sui sistemi di verifica dell’età, sull’accesso ai dati da parte dei ricercatori e sugli obblighi di tutela dei minori. A maggio 2025 Bruxelles aveva diffuso una valutazione preliminare: l’archivio pubblicitario della piattaforma non riportava informazioni sufficienti sul contenuto degli annunci, sui gruppi di utenti raggiunti e sui soggetti che li finanziavano, né consentiva una consultazione completa e filtrabile.
È lo stesso insieme di obblighi oggi utilizzato contro X. La differenza, nel caso della piattaforma controllata da ByteDance, è che il fascicolo sulla trasparenza pubblicitaria si chiude con un pacchetto di impegni vincolanti accettati dall’esecutivo europeo ai sensi dell’articolo 71 del Dsa. Nel comunicato ufficiale si legge che la Commissione “ha ottenuto l’impegno di TikTok a garantire archivi pubblicitari che assicurino piena trasparenza sugli annunci presenti nei suoi servizi, come richiesto dal Digital Services Act”, precisando che tali impegni “rispondono a tutte le preoccupazioni sollevate” nell’indagine e nei rilievi preliminari.
Le modifiche concordate impongono a TikTok di rendere pienamente leggibili gli annunci pubblicati sulla piattaforma, includendo nell’archivio il contenuto completo così come appare agli utenti, con le relative URL. La società dovrà inoltre aggiornare il database entro 24 ore, indicare i criteri di destinazione scelti dagli inserzionisti e fornire dati aggregati sul pubblico raggiunto – genere, fasce d’età e Stato membro – oltre a rafforzare gli strumenti di ricerca per chi usa e analizza il repertorio pubblicitario.Il Dsa richiede infatti alle piattaforme di grandi dimensioni di mantenere un archivio degli annunci accessibile e interrogabile, ritenuto “fondamentale per consentire a regolatori, ricercatori e società civile di individuare truffe, pubblicità illegali o inadatte ai minori, annunci falsi e operazioni informative coordinate, anche nel contesto elettorale”. TikTok dovrà attuare gli impegni tra un minimo di due e un massimo di dodici mesi, a seconda del punto, mentre la Commissione controllerà il rispetto dei tempi e del contenuto delle misure adottate. Restano aperte le altre parti del procedimento Dsa, in particolare quelle sui rischi legati ai sistemi algoritmici, sulla protezione dei minori e sulla gestione dei contenuti connessi alle elezioni e al dibattito civico.
Sul piano politico, la società mette l’accento sul principio della parità di trattamento. Una portavoce afferma che la piattaforma ha “lavorato in modo costruttivo con la Commissione Europea per risolvere la questione”, dichiara di “prendere sul serio” gli obblighi previsti dal diritto dell’Unione e “ribadisce la richiesta di parità di trattamento”, aggiungendo: “Ci aspettiamo che gli standard previsti dal Dsa siano applicati in modo equo e coerente nei confronti di tutte le piattaforme”.
Come Bruxelles regola le piattaforme
Mettendo in fila la multa a X, il dossier antitrust su Meta e gli impegni su TikTok, la strategia europea appare costruita su più corsie che convergono sullo stesso obiettivo: limitare la discrezionalità delle piattaforme dominanti e garantire che l’infrastruttura digitale non sfugga al controllo pubblico. Il Dsa viene impiegato per colpire design ritenuti ingannevoli, opacità sui contenuti sponsorizzati e chiusura dei dati alla ricerca indipendente; il diritto antitrust entra in scena quando una piattaforma sembra trasformare il ruolo di canale essenziale – come WhatsApp per l’Ai – in un vantaggio escludente per il proprio servizio proprietario. Sullo sfondo, la capacità di Bruxelles di usare la minaccia di sanzione come leva per ottenere impegni vincolanti, come avvenuto con TikTok sull’ad repository.
Il quadro non è privo di frizioni esterne e interne. Sul caso X, il vicepresidente Usa J.D. Vance ha denunciato la multa come una punizione per la mancanza di censura, alimentando la lettura di un Dsa usato per comprimere la libertà di espressione delle piattaforme americane.
A Bruxelles la portavoce capo Paula Pinho ha risposto ricordando che la Commissione “concorda di non essere d’accordo” con chi, negli Stati Uniti, legge la legislazione digitale europea come censura e rivendicando la coerenza degli interventi con il quadro regolatorio approvato da Parlamento e Consiglio. Allo stesso tempo, l’argomento della “parità di trattamento” evocato da TikTok intercetta una sensibilità reale: il Dsa si applica a un gruppo definito di Very Large Online Platforms e Very Large Online Search Engines, che include anche operatori non statunitensi, e il rischio di una percezione selettiva dell’enforcement non è secondario né per Bruxelles né per le aziende coinvolte.
In parallelo, la scelta di escludere l’Italia dal perimetro dell’indagine antitrust su Meta per non sovrapporsi all’Antitrust nazionale mostra quanto la nuova stagione di enforcement richieda un coordinamento stretto tra Commissione e autorità nazionali: il rischio è una frammentazione temporanea delle condizioni di accesso ai servizi, in attesa di decisioni definitive che, per i casi antitrust, non hanno scadenze prefissate e dipendono dalla complessità delle prove e dal grado di cooperazione delle imprese sotto indagine.
