Mentre i fuochi d’artificio e le celebrazioni illuminavano le Alpi per il primo agosto, Festa Nazionale elvetica, a rovinare la festa è arrivata la decisione di Donald Trump: il presidente degli Stati Uniti ha annunciato dazi del 39% su tutte le importazioni dalla Svizzera, uno dei tassi più alti imposti finora nella sua guerra commerciale globale. Per un Paese esportatore come la Svizzera, è uno schiaffo in pieno volto.
La delusione del governo e lo smacco diplomatico
La presidente della Confederazione, Karin Keller-Sutter, ha cercato di mantenere un tono istituzionale parlando alla nazione dal celebre prato del Rütli, luogo simbolico della nascita della Svizzera. Ma il senso di frustrazione era evidente: “La Svizzera è abituata alle tempeste”, ha detto, “ma oggi celebriamo il nostro giorno, il giorno del popolo svizzero”. Il tentativo di scongiurare la misura con una telefonata personale a Trump, nella notte precedente l’annuncio, non ha prodotto alcun effetto.
Le ragioni (vere o presunte) di Trump
Secondo l’amministrazione statunitense, la Svizzera avrebbe rifiutato di ridurre le sue barriere commerciali e non avrebbe fornito “concessioni significative”. Il rappresentante commerciale USA, Jamieson Greer, ha spiegato che “la Svizzera esporta enormi quantità di prodotti farmaceutici negli Stati Uniti” e che “vogliamo produrre quei farmaci in casa nostra”. Ma il dato più controverso è il surplus commerciale elvetico con gli USA: circa 38 miliardi di franchi nel 2024. Una cifra che ha probabilmente irritato Trump, da sempre attento a riequilibrare le bilance commerciali.
L’industria in allarme: decine di migliaia di posti a rischio
Le reazioni dell’industria svizzera sono state immediate. Swissmem, l’associazione che rappresenta i settori della meccanica e dell’elettronica, ha parlato di “shock totale”, stimando che i nuovi dazi potrebbero mettere a rischio decine di migliaia di posti di lavoro. Jean-Philippe Kohl, vicedirettore di Swissmem, ha definito le tariffe “arbitrarie e senza fondamento razionale”. L’economia elvetica, già sotto pressione per il salvataggio di Credit Suisse e per i requisiti di capitale richiesti a UBS, riceve così un nuovo colpo.
Il caso farmaceutico e l’ombra di nuovi dazi
Per ora, i grandi gruppi farmaceutici come Roche e Novartis sembrano esclusi dall’aliquota del 39%. Ma Trump ha avviato un’indagine di sicurezza nazionale (Sezione 232) sull’intero settore farmaceutico, con la possibilità di imporre dazi aggiuntivi fino al 200%. Il settore, avverte l’associazione Scienceindustries, è parte di catene di approvvigionamento globali e un’interruzione potrebbe avere conseguenze drammatiche anche per i pazienti statunitensi.
Secondo Switzerland Global Enterprise, il nuovo schema tariffario degli Stati Uniti – entrato in vigore gradualmente a partire da marzo – prevede dazi aggiuntivi sui settori chiave per l’economia svizzera:
- Acciaio e alluminio: dazi già attivi dal 12 marzo 2025 senza eccezioni.
- Veicoli e componenti auto: dal 3 aprile al 25% sulle auto e dal 3 maggio anche sui ricambi.
- Orologeria, meccanica e alta gamma: colpiti dal nuovo dazio del 39%, salito dal 31% precedente.
- Prodotti con contenuto USA: soggetti a dazio solo sulla quota non americana del valore.
- Spedizioni postali: abolita l’esenzione doganale per merci sotto gli 800 dollari.
Esclusi invece da queste misure, per ora, semiconduttori, smartphone e alcune categorie di elettronica, oltre a beni già soggetti a dazi su acciaio, auto o elencati in allegati speciali del provvedimento presidenziale.
Un errore di calcolo politico
Fino a poche settimane fa, il governo svizzero era convinto di aver raggiunto un’intesa di principio con Washington. Il 16 luglio era stato approvato a Berna un testo quadro, che sembrava preludere a un accordo commerciale. Ma il segnale dalla Casa Bianca non è mai arrivato. Ora si apre un momento di seria riflessione politica, mentre gli analisti parlano apertamente di fallimento negoziale e danno la colpa a un eccesso di ottimismo.
Una lezione geopolitica: la Svizzera guarda all’Europa
Il ministro della giustizia Beat Jans, intervenuto alle celebrazioni di Schaffhausen, vicino al confine tedesco, ha tratto una conclusione netta: “La casa della Svizzera è in Europa. E oggi lo sentiamo più che mai”. Un messaggio chiaro in un Paese tradizionalmente neutrale e prudente, ma sempre più esposto alle turbolenze geopolitiche.
Umiliazione simbolica, oltre che economica
L’ironia amara della presidente Keller-Sutter, che ha scherzato sul fatto che Trump pensasse che “1291” fosse il nuovo tasso doganale, ha suscitato qualche risata. Ma la realtà è che la Svizzera, settimo investitore diretto negli USA, non si aspettava di finire nel mirino. E ora dovrà decidere se piegarsi a nuove richieste americane o cercare sponde altrove.
Berna nella trappola del bilateralismo trumpiano
La decisione americana di imporre dazi così alti alla Svizzera rivela quanto poco contino, nell’attuale scenario, i buoni rapporti personali, le promesse diplomatiche o gli investimenti passati. L’America di Trump negozia da posizioni di forza, spesso improvvisando. E anche un Paese ricco, stabile e pacifico come la Svizzera può scoprire di essere solo un altro bersaglio in una strategia più ampia: quella del potere economico come leva di dominio geopolitico.
Foto di Dino Reichmuth su Unsplash