La batteria europea si è esaurita, Northvolt ha dichiarato fallimento

Il colosso svedese doveva essere il fiore all'occhiello della produzione europea di batterie elettriche, ma è fallito
1 giorno fa
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Sweden Automobile Bankruptcy Northvolt
La sede svedese di Northvolt (Afp)

Doveva essere il fiore all’occhiello della produzione europea di batterie elettriche, invece Northvolt ha dichiarato bancarotta dopo aver generato debiti per circa 7,5 miliardi di euro.

Fondata nel 2015 da due ex dirigenti Tesla con il sogno di ridurre la dipendenza dell’industria automobilistica occidentale dalle cinesi Catl e Byd, l'(ex) startup svedese aveva raccolto investimenti per oltre 9 miliardi da colossi come Volkswagen e Goldman Sachs. Bruxelles aveva virato con decisione verso l’elettrificazione del settore e Northvolt doveva essere il motore europeo di questa transizione green. L’azienda aveva i suoi principali stabilimenti in Svezia, e centri di ricerca e sviluppo in California.

Gli esperti del settore erano concordi: Northvolt era la principale azienda europea nel campo della produzione di batterie elettriche, forse l’unica in grado di competere (e di far competere le case automobilistiche europee) con le corrispettive cinesi e statunitensi. Almeno prima dello scorso novembre, quando il colosso svedese ha presentato istanza di fallimento negli Stati Uniti per aver esaurito i fondi a disposizione. Con questa mossa l’azienda ha chiesto di accedere al Chapter 11, una sorta di amministrazione straordinaria statunitense, che permette di restare operativa concordando con un tribunale un piano di risanamento dei debiti.

L’istanza ha dato all’azienda qualche mese di tempo per cercare nuovi partner industriali e cercare di stabilizzare le sue finanze, ma nessuna delle due cose è avvenuta e oggi, 12 marzo, Northvolt ha dichiarato bancarotta. Le operazioni dell’azienda svedese in Germania, Nord America e Polonia restano fuori dal processo fallimentare.

Le ricadute del fallimento

Oltre 5.000 dipendenti sono coinvolti in questa crisi e più della metà (circa 3mila) perderanno il lavoro. Nonostante ciò, il governo svedese ha sempre escluso la possibilità di fornire aiuti economici diretti all’azienda, a differenza di quanto avvenuto nella storia dei rapporti Italia-Fiat.

E anche a differenza di quanto fatto dalla Commissione europea, che in Northvolt ha investito 298 milioni di euro tramite il Fondo europeo per gli investimenti strategici, che fa riferimento alla Bei, sperando di contrastare lo strapotere del Dragone.

Seppure annunciato, il fallimento di Northvolt è un duro colpo per i sogni europei di autonomia produttiva e per i creditori, tra cui figura anche Fondaco, la società di gestione del risparmio italiana partecipata da Compagnia di San Paolo, Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e Narval. Un liquidatore giudiziale procederà alla vendita delle attività di Northvolt con l’obiettivo di soddisfare, per quanto possibile, i creditori che hanno prestato oltre cinque miliardi alla startup svedese. La cessione potrà avvenire in blocco oppure attraverso un ramo delle attività.

Perché Northvolt è fallita?

Il crac del colosso svedese è l’emblema di quanto avvenuto in Europa con le auto elettriche, le cui vendite non hanno mai raggiunto i target di Bruxelles. Alla base del suo fallimento c’è proprio il drastico calo degli ordini e la cancellazione di quelli già effettuati.

Fino a un anno, fa Northvolt era tra le principali start up europee, con una valutazione di circa 12 miliardi di dollari nel 2022. Nel 2023 la società ha persino cercato di quotarsi in borsa, prima di desistere. Secondo indiscrezioni, la start up svedese avrebbe voluto raccogliere 20 miliardi di dollari con la Ipo (Initial public offering). Segno che le aspettative fossero molto alte.

Non era ancora finito il 2023, quando iniziava il crollo: l’azienda registrava una perdita di 1,2 miliardi di euro dovuta principalmente al calo dei prezzi imposto dai produttori asiatici di veicoli elettrici. Una situazione diffusa che, nel 2024, avrebbe portato la Commissione europea a imporre dazi sulle auto elettriche di Pechino, accusata di concorrenza sleale per presunti finanziamenti alle sue aziende.

Un altro colpo durissimo è arrivato a giugno 2024, quando Bmw ha cancellato un ordine da 2 miliardi di euro per ritardi di produzione e problemi tecnici. Il tutto mentre la domanda di veicoli elettrici rallentava in tutto il mondo e soprattutto in Europa. Il taglio del 20% del personale era solo un’avvisaglia: con 30 milioni di dollari in cassa (sufficienti per sopravvivere una sola settimana), il 21 novembre scorso Northvolt ha presentato una richiesta di Chapter 11. Secondo Bloomberg, la società aveva debiti per 5,84 miliardi di euro. L’indomani, il 22 novembre, il Ceo Peter Carlsson si è dimesso e ha avvertito i Ventisette: “L’Unione Europea rischia di rimanere indietro sui progetti verdi se non riusciamo a risolvere questa crisi“.

L’emendamento al Regolamento Auto

Che l’aria attorno all’automotive europea fosse cupa, lo si era capito da tempo. Persino la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, madre e strenua protettrice delle politiche green europee, ha dovuto fare delle concessioni al settore, dopo mesi di lettere e ammonimenti da parte delle aziende e degli Stati membri.

L’esecutivo europeo proporrà un “emendamento mirato” alle norme sulle emissioni inquinanti dei veicoli, in modo da dare più tempo alle case automobilistiche per rispettarli, ha fatto sapere von der Leyen. Durante il secondo meeting nell’ambito del Dialogo strategico sul futuro dell’industria automotive europea si è discusso anche della “transizione verso una mobilità pulita. C’è una chiara richiesta di maggiore flessibilità sugli obiettivi di Co2“, ha spiegato la politica tedesca che non ha abdicato ai supi principi: “Il principio chiave è l’equilibrio: da un lato abbiamo bisogno di prevedibilità ed equità per i first mover, coloro che hanno svolto con successo i loro compiti”, e quindi “dobbiamo attenerci agli obiettivi concordati”.

Il rischio, più volte sottolineato da Bruxelles, è che una netta inversione di rotta finisca per penalizzare quelle aziende che hanno investito tanto e bene nella elettrificazione. D’altra parte, ha sottolineato la presidente von der Leyen, “dobbiamo ascoltare le voci e le parti interessate, che chiedono più pragmatismo, in questi tempi difficili, e neutralità tecnologica, specialmente se parliamo degli obiettivi del 2025 e delle relative sanzioni in caso di non conformità”.

Concretamente, Bruxelles ha rinviato e ammorbidito il rischio delle multe dando più tempo alle aziende europee, senza eliminare lo stop alle auto a motore termico previsto per il 2035. “Invece del rispetto annuale, le aziende avranno tre anni. Gli obiettivi rimangono gli stessi, devono rispettarli“, ha chiosato von der Leyen.

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