Le auto elettriche sono il futuro dell’Ue. O forse no. Il 2024 è l’Annus horribilis per il comparto, che segna una forte contrazione di vendite nel Vecchio Continente. Le basse emissioni delle auto elettriche possono compensare quelle di ben quattro auto a combustione, ma ad agosto le auto elettriche immesse sul mercato sono state solo il 12,5% del totale, e le vendite hanno segnato un -10,8% rispetto all’anno scorso.
Con lo stop alle auto a combustione fissato per il 2035, la produzione di veicoli elettrici o ibridi dovrebbe aumentare, e invece diminuisce. Allo stato attuale, il contrasto tra la normativa Ue e la realtà fattuale avrebbe un solo esito: le multe alle case produttrici, con annesse conseguenze sull’economia europea e sui consumatori. Per questo, parlando con France Inter, Luca de Meo, Ceo del gruppo Renault e presidente dell’Associazione europea dei costruttori di automobili (Acea), chiede a Bruxelles “un po’ di flessibilità” per evitare la débâcle del settore. In questo contesto sempre più incerto, il governo italiano ribadisce a gran voce la richiesta di rinviare lo stop ai motori termici, fissato dall’Ue al 2035.
Crollo auto elettriche in Ue
Negli ultimi giorni, l’industria automobilistica europea ha lanciato diversi segnali preoccupanti: per la prima volta, Volkswagen ha parlato esplicitamente di possibili chiusure di stabilimenti in Germania, ricordando come il settore non si sia più ripreso dopo la pandemia: “Volkswagen da sola ha perso vendite per circa 500mila auto, l’equivalente di circa due stabilimenti” ha detto il direttore finanziario Arno Antlitz incontrando gli operai nello stabilimento di Wolfsburg.
Anche Volvo ha abbandonato l’obiettivo di vendere solo auto elettriche entro il 2030 a fronte di un calo globale della domanda di auto alimentate a batteria. Secondo indiscrezioni di stampa giapponesi, persino Toyota ha ridotto di circa il 30% il suo obiettivo di produzione globale di veicoli elettrici per il 2026, abbassando il target a 1 milione di unità.
Secondo le simulazioni Dataforce, società di analisi di mercato, il Gruppo Volkswagen dovrebbe avere una quota di vendite di BEV e plug-in del 36%, il doppio dell’anno scorso. La realtà è che sarà un successo per l’azienda già arrivare alla soglia del 16%. Allo stesso modo Stellantis, che entro il 2025 dovrebbe vendere più di un “auto green” ogni quattro (26%), ma che supera a malapena il 13%.
Situazione analoga per Ford, il cui target era del 35% al 2025 e invece ora si trova poco sopra al 13%, in calo rispetto al 15% dello scorso anno.
La crisi che il settore dell’elettrico sta vivendo in Germania rende gli scenari ancora più ostili.
Il rischio multe per le aziende Ue
Le multe dipendono dalle emissioni di CO2 medie delle case produttrici. Finora sarebbero scattate sopra la soglia media di 116 gr/km di CO2 (95 se con la vecchia omologazione NEDC), ma quasi tutte le aziende le hanno evitate. Per alcune è bastato vendere una quota di elettriche e ibride plug-in, altre hanno dovuto comprare crediti di carbonio da Tesla o da Geely.
Il problema riguarda il prossimo futuro: dal 2025 il limite scende del 19% a 94 gr/km, una soglia per cui, con l’attuale produzione, non c’è compensazione che tenga. Per rispettare le norme, i costruttori dovrebbero ridurre la loro produzione di “oltre 2,5 milioni di veicoli” ha spiegato de Meo. Ritardi sulle installazioni delle colonnine, incertezza sugli incentivi e uno scetticismo diffuso su questi tipi di motori sta ostacolando la vendita delle BEV in Ue. Una retromarcia, più che un rallentamento. Secondo il Ceo di Renault e presidente di Acea, “l’industria Ue rischia multe per 15 miliardi di euro”.
Da qui la richiesta di flessibilità all’Unione europea, condivisa con forza dal governo Meloni a fronte di “un’impostazione del Regolamento troppo ideologica e poco concreta”. Con queste parole, un anno fa, il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, accoglieva il rinvio all’ok definitivo sullo stop alle auto termiche dal 2035. Alla fine, però, il trilogo si è concluso positivamente e i ministri dei Ventisette hanno ratificato a maggioranza lo stop ai motori a combustione interna dal 2035, fatta eccezione per quelli che verranno alimentati con e-fuel, come proposto dalla Germania.
L’Italia continua a parlare di “follia ideologica” e chiede di revisionare la norma.
L’Italia chiede il rinvio dello stop ai motori termici
In questi giorni, il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin è tornato sullo stop del 2035 a margine del forum Teha Ambrosetti di Cernobbio: “Lo considero un’assurdità, lo dico convinto che il motore elettrico farà la parte del leone, era una visione ideologica. Ma le condizioni attuali, il mercato e le case automobilistiche ci dicono che non sta in piedi”, ha spiegato il ministro.
D’altronde, per gli addetti ai lavori il rinvio dello stop è cosa quasi certa. Ciò che l’Italia chiede è che la revisione normativa venga fatta in anticipo sui tempi previsti. La conferma arriva dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, anche lui presente al forum Ambrosetti di Cernobbio: “Ho intenzione di parlarne nel meeting che la presidenza di turno ungherese ha organizzato per il 25 settembre a Bruxelles sul settore il giorno successivo la presenterò al consiglio sulla competitività che si terrà sempre a Bruxelles”, spiega Adolfo Urso che parla di “collasso dell’industria automobilistica” causato da una revisione normativa imposta “senza “adeguate risorse e investimenti pubblici”.
Perché anticipare la revisione
I danni, come dimostrano i numeri sono già evidenti; i proclami delle istituzioni insufficienti a far cambiare scelte di acquisto. In questo contesto, il ministro Urso chiede di anticipare la revisione normativa sullo stop alle auto termiche “perché – spiega – se lasciamo l’incertezza fino al 2026 si rischia un’ondata di scioperi e proteste europee come hanno fatto gli agricoltori e rischiamo il collasso dell’industria”. “Se si vogliono mantenere tempi stringenti – aggiunge Urso – occorre sostenere l’industria con imponenti risorse pubbliche europee, con un piano tipo Pnrr per l’automotive e comunque la tempistica deve essere adeguata alla sostenibilità economica produttiva e sociale del nostro Paese”.
Dà una scadenza precisa Emanuele Orsini, presidente di Confindustria che chiede all’Ue di intervenire entro il prossimo novembre. Secondo le stime riportate da Orsini, in Italia “lo stop al motore endotermico nel 2035 mette a rischio il lavoro di 70mila persone. In Ue, gli occupati dell’automotive sono l’11% del totale e “per questo dobbiamo agire subito, entro novembre, per salvaguardare la neutralità tecnologica e il know how dei Paesi”.
Sempre a Cernobbio, il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini si dice “contento” che i dubbi sul “tutto e solo elettrico dal 2035” ora riguardino “anche la Germania”. Il riferimento è all’ipotesi che Volkswagen chiuda un impianto per la prima volta nella sua storia.