La resistenza antimicrobica non si vede, ma avanza. Secondo le stime congiunte del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC) e della Commissione europea provoca ogni anno oltre 35.000 decessi nell’Unione europea e nello Spazio economico europeo, con un impatto economico stimato in 11,7 miliardi di euro l’anno, tra costi sanitarie e perdite di produttività. È una crisi che mette in discussione la base stessa della medicina moderna: la capacità di curare infezioni un tempo banali. L’Organizzazione mondiale della sanità la considera una delle principali minacce globali del secolo.
L’Unione europea ha deciso di rispondere con un approccio che supera i confini della medicina tradizionale: One Health, un modello che riconosce l’interdipendenza tra salute umana, animale e ambientale. È il filo conduttore di numerose iniziative scientifiche e politiche che ogni anno, il 3 novembre, trovano visibilità nel One Health Day. Non una ricorrenza formale, ma un’occasione per riaffermare la necessità di un’azione coordinata contro la resistenza antimicrobica (AMR) e l’uso improprio degli antibiotici.
La Raccomandazione del Consiglio del 13 giugno 2023 (2023/C 220/01) ha fissato obiettivi misurabili per il 2030: ridurre del 20% il consumo totale di antibiotici nell’uomo, portare al 65% la quota di antimicrobici appartenenti alla categoria “Access” dell’OMS e diminuire le infezioni ematiche da Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (–15%), E. coli resistente alle cefalosporine di terza generazione (–10%) e Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi (–5%).
“L’uso prudente degli antimicrobici deve diventare parte integrante di ogni politica sanitaria”, ha ricordato la Commissione europea nel messaggio diffuso in occasione dell’One Health Day.
Il piano europeo
Ogni Stato membro è chiamato ad aggiornare il proprio Piano nazionale contro la resistenza antimicrobica, integrando pienamente l’approccio One Health e assicurando risorse dedicate. L’Italia sta rivedendo il Piano nazionale di contrasto all’AMR (PNCAR) dopo le osservazioni della Commissione, che hanno evidenziato la necessità di rafforzare la cooperazione tra sanità, agricoltura e ambiente.
Il piano europeo si fonda su tre pilastri:
- sorveglianza integrata, che mira a unificare la raccolta e l’analisi dei dati su infezioni e consumo di antibiotici in ambito umano, veterinario e ambientale — inclusi acque reflue e terreni agricoli;
- uso prudente, che prevede controlli più rigidi sulle prescrizioni, la digitalizzazione dei registri veterinari, la raccolta dei farmaci non e la formazione obbligatoria per operatori sanitari e allevatori;
- innovazione, punta, invece, a stimolare la ricerca di nuove molecole, vaccini e strumenti diagnostici, superando un modello economico che scoraggia lo sviluppo di antibiotici a uso limitato.
Per sostenere queste azioni, Bruxelles mobilita i programmi EU4Health e Horizon Europe, con il supporto della Banca europea per gli investimenti. Il principio è che prevenire costa meno che rincorrere le emergenze. L’Oms stima che investire nella biosicurezza degli allevamenti richiederebbe meno dell’1% di quanto è stato speso per fronteggiare la pandemia da Covid-19, ma eviterebbe migliaia di infezioni resistenti ogni anno.
L’anello animale e ambientale della catena antimicrobica
La politica europea sugli antibiotici non si limita alla salute umana. La Strategia Farm to Fork e il Piano d’azione “Zero Pollution” puntano a ridurre del 50% le vendite complessive di antimicrobici destinati agli animali da allevamento e all’acquacoltura entro il 2030.
Negli allevamenti, l’uso preventivo di antibiotici è stato per anni una prassi. Oggi Bruxelles chiede di puntare su vaccinazioni, biosicurezza, minore densità animale e gestione corretta dei reflui. Anche la gestione dei reflui e dei fertilizzanti naturali è parte della stessa strategia: letame e fanghi di depurazione possono trasportare geni di resistenza nel suolo e nelle acque, alimentando il ciclo di diffusione.
L’ambiente è entrato a pieno titolo nella rete di controllo. Le direttive aggiornate su acque e rifiuti obbligano gli Stati membri a monitorare la presenza di antibiotici e batteri resistenti nei fiumi, nelle acque costiere e negli impianti di depurazione. Questi ultimi sono considerati punti critici, dove residui farmaceutici e microorganismi si incontrano in condizioni ideali per la selezione di ceppi resistenti.
La salute del suolo, dell’acqua e degli animali è parte della stessa catena che arriva fino alle corsie ospedaliere. Per la prima volta, l’Europa impone una cooperazione strutturata tra autorità sanitarie, veterinarie e ambientali, con sistemi di raccolta dati interoperabili.
L’Europa investe dieci anni e 253 milioni di euro nella ricerca One Health
Lo scorso 23 settembre 2025, la Commissione europea ha presentato l’European Partnership on One Health Antimicrobial Resistance (OHAMR), un programma da 253 milioni di euro che coordinerà ricerca e innovazione per il prossimo decennio. Finanziato da Horizon Europe con 75 milioni e coordinato dal Consiglio svedese per la ricerca, il partenariato coinvolge 53 organizzazioni di 30 Paesi.
“L’Europa è pronta a guidare la lotta globale contro la resistenza antimicrobica”, ha dichiarato la commissaria Ekaterina Zaharieva, responsabile per Startups, Ricerca e Innovazione. “Questa partnership incarna il nostro impegno a innovare e a proteggere le fondamenta della medicina moderna.”
OHAMR dà continuità alla Joint Programming Initiative on Antimicrobial Resistance (JPIAMR), che dal 2011 ha finanziato oltre 180 milioni di euro in progetti di ricerca. La nuova alleanza punta però a creare un sistema stabile di collaborazione: bandi congiunti, progetti transnazionali, scambio di dati e sostegno alle politiche nazionali. L’obiettivo è trasformare la ricerca in strumenti concreti — test diagnostici rapidi, protocolli di prevenzione, nuovi antibiotici e vaccini — e assicurare che i risultati arrivino alle politiche pubbliche.
La partnership rientra nella Strategia europea per le scienze della vita, che punta a rendere l’Unione il polo più competitivo per la ricerca biomedica entro il 2030. Ma soprattutto segna il passaggio da un approccio reattivo a uno strutturale: la lotta alla resistenza antimicrobica diventa infrastruttura permanente dell’Unione, dove sanità, ambiente e innovazione industriale convergono in un’unica politica europea.
